Inchiesta

riapriamo le braccia all’uomo?

Forse non le abbiamo mai chiuse… Indagine sull’influenza della militanza femminista nel cambiamento del rapporto di coppia.

luglio 1979

l’anno scorso di questi tempi (luglio-agosto) avevo iniziato su Effe a riflettere perché molte di noi si considerano più capaci di amare degli uomini e al tempo stesso come relativamente incapaci di investire affettivamente sul lavoro. Accanto alle “spiegazioni” di tipo culturale, economico e sociale avevo ipotizzato che forse noi donne siamo più pronte ad innamorarci dei maschi, perché rischiamo di meno. Infatti se l’amore è anche un’esperienza di «regressione», noi donne ci troviamo a rivivere con l’uomo alcuni aspetti del nostro primo rapporto con una figura maschile, di solito nostro padre. Gli uomini a loro volta rivivono con una donna, alcune delle sensazioni vissute con la prima figura femminile, la madre, Ora all’epoca del suo primo importante rapporto con il padre, la bambina sa già camminare e parlare. Il maschio nel periodo in cui ha il primo rapporto con la madre non sa né parlare né muoversi. Da qui una maggiore paura maschile di ripiombare nell’innamoramento in una fase di estrema dipendenza e immobilità “di essere intrappolato” di cadere nella rete. Un maggiore bisogno dei maschi di difendersi dal codice materno, attraverso la creazione della cultura, del potere, per combattere la percepita potenza materna.

Da allora molte compagne mi hanno scritto, telefonato suggerendomi di approfondire questo tema, di esplorare anche l’innamoramento come regressione di tutti e due i sessi al rapporto con la madre, di proseguire insomma l’analisi, soprattutto esaminando come sonò mutati i rapporti con l’altro sesso delle donne che hanno militato nel movimento.

Così da mesi con un gruppo di compagne stiamo raccogliendo storie di vita, tentando di capire come la militanza nel movimento femminista abbia modificato il rapporto con il nostro corpo, il rapportò con nostra madre e i rapporti con i maschi e con le altre donne. Inoltre stiamo cercando di vedere anche come sta cambiando il rapporto uomo-donna in Italia in generale, seguendo i numerosi lavori che sono stati pubblicati o vengono fatti all’università. In questo numero sono riassunti, in due riquadri, i risultati di due ricerche particolarmente interessanti. La prima di Gaetana Cazora Russo riguarda migliaia di donne di tutti i tipi e mostra che accanto al persistere dei ruoli tradizionali, per le più giovani, le più istruite e quelle con accesso al lavoro qualcosa sta cambiando nei rapporti con il maschio. La seconda ricerca di Angela Contesini fatta su un numero ristretto di coppie cerca di capire cosa cambia psicologicamente in un rapporto di coppia quando la donna lavora.

Sento di aver raggiunto la capacità di scindere quella che sono io e quello che è l’esterno, le altre persone, di capire che è all’interno di me che voglio rimanere per poi scegliere dì 2 stare con gli altri “

In fondo sia dai dati di queste ricerche, sia dalle interviste, come in fondo probabilmente dalle nostre comuni esperienze quotidiane, emerge che ci troviamo in una grossa fase di transizione e sperimentazione. Per molte donne non femministe, si tratta di passare da un rapporto di subordinazione ad uno di maggiore parità all’interno della coppia, anche a costo di conflitti, regressioni e insicurezza. Per le femministe intervistate, il rapporto con le altre donne ha in genere promosso una maggiore sicurezza di sé e la capacità di sperimentare “cose che prima non mi sarei permessa”. Per alcune questo è stata la riscoperta dell’affettività tra donne, per altre un primo rapporto significativo con l’uomo, per alcune la coppia aperta, per altre il ritorno ad un rapporto di coppia dopo periodi di sperimentazione.

Mi sembra che il dato positivo che emerge sia quello della consapevolezza delle «non soluzioni» al problema del rapporto con l’uomo e al tempo stesso l’accettazione dei bisogni di affettività e d’amore con uomini e donne. Una nuova disponibilità a sentirsi persone a richiedere rapporti nutrienti. Questo desiderio si riscontra anche in quelle tra noi ancora prigioniere di rapporti fondati sul potere, sul ricatto e sulla paura. Sappiamo, per avere avuto delle intuizioni, che sono possibili altri rapporti basati sull’accettazione, il rispetto, la libertà. Sappiamo anche che ci sono conflitti, regressioni, arretramenti. Momenti diversi bisogni diversi. Sappiamo adesso che il lento processo di ristrutturazione sociale passa attraverso il nostro divenire autonome per poi permetterci anche di dipendere. Che questo processo viene facilitato dall’avere un’indipendenza economica, una casa decente, le possibilità di stare in un gruppo che lotta per il cambiamento. In quasi tutte le interviste la mancanza di spazio personale, economico e politico di fatto limita la sperimentazione nei rapporti interpersonali. Mi sembra però che dalla fase di scontro con l’uomo e negazione ‘(teorizzazione del non rapporto con il maschio, della non penetrazione come regole) ci sia in tutte le testimonianze come l’inizio d’un nuovo processo.

Pazientemente, da una posizione di maggiore forza, forse sapendo meglio cosa vogliamo (“investire sia nel pubblico che nel privato” — come dice una delle intervistate — “non accettare più quei rapporti in cui il mio bisogno di tenerezza non sia rispettato”) siamo ormai capaci di chiedere il tipo di rapporto di cui abbiamo bisogno. Non abbiamo più vergogna di contraddirci, di avere oggi bisogno di monogamia e domani di “spazi di libertà”, riconosciamo che in ognuna di noi ci sono varie istanze a volte anche in contraddizione l’una con l’altra. E che non è giusto né sano soffocare la nostra parte emotiva per far emergere solo quella razionale, spingere la nostra parte indipendente e far tacere la bambina bisognosa. Ci rendiamo sempre più conto della complessità dei nostri vissuti, intrapsichici e interpersonali, e di quelli dei maschi.

Quello che mi ha più colpito durante questi colloqui è stata la serenità con cui con queste compagne ci parlavamo delle nostre esperienze, dei nostri conflitti, dei nostri problemi. Non ci sentivamo più vittime, anche in situazioni difficili di conclusioni di rapporti, di separazioni. Una mi ha detto: “ora sto al buio, ma so che in fondo c’è la luce”. Come se l’accettare di esplorare le zone inconscie, i non-detti, gli aspetti sgradevoli del nostro essere donna — da sola e donna con altri — incluso il maschio, ci abbia dato una nuova fiducia nell’affrontare i rapporti e la vita.

Arrivare ad avere dei rapporti più “umanizzanti” ha implicato per tutte uscire di casa, cercarsi un lavoro anche part-time riprendere a studiare, fare militanza politica. Solo attraverso l’esplicarsi di queste altre attività si è riuscite a ridimensionare e dunque a gestire anche meglio il rapporto con gli uomini senza divenire come loro. Occorre approfondire però perché per talune di noi è così difficile canalizzare le nostre energie affettive fuori dal rapporto con l’uomo. Perché ancora tante si lasciano distruggere in rapporti mortiferi. Perché siamo ancora spesso dilaniate tra la voglia di fare e il fascino di lasciarci essere. Forse capendo come alcune di noi riescono ad integrare le proprie esistenze, riusciremo di più a vivere come vogliamo.

Mi sembra intanto importante riflettere sul fatto che per quelle di noi che sono riuscite a crearsi dei rapporti fuori da schemi precostituiti, anche da quelli femministi, questa nuova disponibilità si accompagna alla coscienza della necessità di allargare la sfera dei nostri investimenti affettivi. Non si tratta ovviamente di intrecciare rapporti con più uomini o donne (o almeno non solo questo); quanto di riuscire a mettere la nostra vitalità e la nostra passione anche nelle lotte politiche, anche nel lavoro, anche nell’arte ecc.

C’è una nuova ricchezza in noi, tra noi, un patrimonio da non disperdere ma da utilizzare anche per cambiare la società che ci circonda, oltre che noi stesse.

interviste raccolte con la collaborazione di Augusta Angelucci e Giovanna Sanna