case della donna

stabile a due piani, tredici stanze, occupasi

la cronistoria dell’occupazione di Villa Franchin a Mestre, ovvero «un grande amore che come ogni grande amore non è mai l’ultimo».

febbraio 1978

gennaio ’76 – Il collettivo Radio Donna di Mestre si serve dello strumento radio per avviare assemblee di donne interessate alla creazione di una Casa della Donna a Mestre.
Ottobre – Il Coordinamento dei collettivi femministi cittadini promuove la occupazione. La casa individuata è villa Franchin, di proprietà privata, stabile a due piani, tredici stanze, due bagni,- due terrazze, ancora in buone condizioni, gemella di un’altra casa analogamente non utilizzata, entrambe poste in un parco di 9.000 m2, destinato a verde pubblico dal Piano Regolatore nel 1963, posto sotto vincolo dal Comune dal 1973, con Variante che dovrebbe stabilirne l’esproprio ferma in Regione da mesi. Le trattative di acquisto da parte della Provincia si trascinano da cinque anni.
13 Novembre – Occupiamo. Stendiamo lo striscione. Entriamo nella casa. Il PCI condanna l’occupazione, il PSI si mostra più geghegé, il Gazzettino soffia sul fuoco. Con telegrammi e comunicati, appoggiano l’occupazione le seguenti forze: Consiglio di fabbrica della Montefibre, AMMI, MGM -Federazione dei lavoratori ospedalieri INPS, CGIL, SISM, CISL – Coordinamento sindacale unitario lavoratrici scuola provinciale – Sezione sindacale unitaria ITIS Pacinotti – Commissione femminile provinciale CISL – Psichiatria Democratica – Centro formazione culturale permanente quartiere 1866 -Collettivo donne quartiere Cannareg-gio – Collettivo donne porto e aeroporto – Rappresentanza sindacale femminile delle Generali Ve CGIL, CISL, UIL – Lega dei disoccupati – Collettivo redazionale Effe – Commissione donne FLO – MLD, Casa della Donna di via del Governo Vecchio, Roma – Assemblea studentesse Scuola Superiore di Servizio Sociale – Coordinamento Lavoratrici CGIL – Le compagne della FGCI.
22 novembre – Riunione della Consulta Femminile sull’occupazione.
24 novembre – Confronto col consiglio di quartiere, dove viene presentata una mozione della Casa della Donna, approvata in assemblea.
25 novembre – Riunione straordinaria della consulta. Si rimanda il discorso ad .appositi seminari.
26 novembre – Il consiglio di quartiere approva la mozione presentata dal PCI dove si propone un gruppo di lavoro aperto sugli spazi donna, ma non approva la mozione PSI che dice «il consiglio di quartiere pur non condividendo il metodo usato si impegna a mettere in atto tutte quelle iniziative atte ad evitare lo sgombero forzoso delle occupanti», né quella di DP in cui «si riconosce che l’occupazione di villa Franchin è espressione di esigenze ormai mature in una grande parte del movimento femminile, che l’esigenza di uno spazio specifico di aggregazione e organizzazione del movimento esprime il bisogno di riappropriarsi di uno strumento per passare ad una fase che veda le donne incidere in primo piano, concretamente, in una realtà da cambiare».
29 novembre – L’Unità esce col titolo «Su iniziativa del Comune a Venezia si discute il progetto per un ‘centro per la donna’».
2 dicembre – La Casa della Donna va a Roma, alla manifestazione nazionale dell’FLM.
10 dicembre – In uno spazio che non è la Casa della Donna il comune avvia un gruppo di lavoro su «Strutture sociali e condizione femminile». Le conclusioni sono rimandate. La riunione successiva si scioglie per mancanza di presenze.
16 dicembre – Manifestazione con l’UDI perché la Variante torni dalla Regione al Comune. Pestiamo i calli alla DC, ci «riscattiamo» di fronte a papà PCI.
28 dicembre – La polizia sgombera, civilmente, vera polizia di un Comune di sinistra.
Cinque giorni dopo, l’assessore alla Condizione femminile, PCI, ribadisce l’impegno preso per costituire a Mestre ‘uno spazio donna’», dove tutte le donne, organizzate e no, trovino un punto di riferimento per discutere, approfondire, promuovere un’iniziativa onde avviare un processo di reale emancipazione della donna».
La liberazione si è persa per strada

 

attività interne
Per le prime settimane la villa è il punto d’incontro delle tremila donne presenti alle ultime manifestazioni. Sui muri delle stanze, i cartelli dei collettivi già formati o in formazione. Usciamo con tre volantini, di cui uno è una lettera aperta alle donne del quartiere, con azioni di animazione teatrale, col mercatino, con cartelli, speakeraggio, mostra fotografica, trasmissioni radio. «Vogliamo uno spazio adatto per la Casa della Donna che diventi un punto di riferimento per tutte le donne già organizzate, ma anche per tutte le donne che affrontano ancora isolatamente la loro condizione… Proponiamo di organizzare assieme: un Centro della Salute, un Centro di Informazione e Documentazione, un Centro del Lavoro (inteso come complessivo di tutte le attività in cui le donne si esprimono, producono, ricercano), un Centro di Difesa Legale per la donna…». Oltre alle assemblee, si tengono collettivi fin troppo frequentati, si suona e si canta, si parla vicino al camino con le donne del quartiere e si pernotta. Eppure, in un momento che nessuna di noi è ancora riuscita ad individuare con precisione, l’attività interna ha un calo.
Un po’ alla volta le assemblee si pongono come unico punto di discussione la risposta agli attacchi esterni, ed è comprensibile, dato lo stato di assedio e la possibilità di sgombero. Così, le vicissitudini istituzionali hanno l’effetto che ha un bacio di Christopher Lee sul collo di un’adolescente. Si crea una scissione tra le «istituzionali». e le «organizzative» da una parte, e le «creative» e le «passive» dall’altra: le prime, di buon accordo, fuori, le seconde, divise, in casa. (Schematizzando, non mi riferisco a singole persone; ma a potenzialità che tutte abbiamo). Le componenti che avrebbero assicurato il proseguimento dell’attività femminista interna ed esterna, cioè la componente organizzativa e quella creativa, non si incontrano, mentre coesistono i due momenti separati dell’istituzionalizzazione esterna e dell’immobilismo interno. Depauperati della necessaria componente organizzativa, tutta tesa al rapporto con le istituzioni, i collettivi, o per il troppo entusiasmo delle partecipanti che si sono iscritte a tutti i collettivi e non riescono a seguirne bene nessuno o per «voglia di stare insieme e basta», diventano una cosa grigia e fantomatica. Addirittura nasce una sorta di pudore a riunirsi per gruppi di interesse, quasi significasse escludere le altre: si aggiunga, ed è fondamentale, che stiamo quasi tutte negli stanzoni comuni, riscaldati, e raramente andiamo nelle stanze più piccole, gelate. Quando poi un collettivo si avvia, la sua vita viene ostacolata da chi non ne ha l’interesse specifico, che interviene rallentando quello che le altre fanno (caso tipico di «quelle che non gliene frega, però criticano»). Per ritrovare sicurezza, ci si abbarbica ai rapporti di amicizia e di alleanza, criticando in altre atteggiamenti non funzionali all’occupazione, che magari noi stesse (non ultima la. sottoscritta) abbiamo avuto nei confronti delle altre. L’informazione interna scarseggia, chi prende contatti con l’esterno è strozzata, non ha tempo di riferire e si muove da sola. Chi è fuori del giro organizzativo-istituzionale, o è contenta di non avere incombenze, o attende notizie, creando nella Casa la aspettativa di «quelle che sanno» e svalorizzando la propria presenza all’interno della Casa. L’autocoscienza fuori, l’intervento dentro, è ancora un obiettivo che riusciamo a realizzare solo individualmente.
Le assemblee, meno frequenti e popolate, diventano il momento in cui alcune riferiscono sulle prossime mosse, il che va ad aggiungersi alle malattie croniche dell’assemblea (difficoltà di parlare per alcune, prolissità di altre, diversità di codici e di esperienze, di fasi di maturazione e di posizioni, luoghi comuni cui non segue la capacità di modificare la situazione, come i ‘mi vivo male’). Molte si disamorano: villa Franchin è stata un grande amore. La volta che non risponde più la si odia. Due scadenze hanno sottolineato un’altra diversità: il 2 dicembre e l’occupazione di una casa da parte del proletariato giovanile, rispettivamente, scadenze accolte dal gruppo delle sindacaliste e dalle simpatizzanti dell’autonomia.
Anche la differenza generazionale viene avvertita: le più giovani lamentano l’autorità che le più anziane esercitano, e vedono come contrapposto il loro ruolo di «figlie-studentesse» con quello di «madri-insegnanti» delle anziane del Coordinamento, perdendo di vista i denominatori comuni a tutte di sfruttamento e disagio, cioè l’istituzione famiglia e l’organizzazione sbagliata del lavoro e dello studio. Un grosso momento di grossa presenza alla Casa si ha quando Luciana, Marisa e Paola portano il loro spettacolo («La braciola di Adamo»), che sottolinea ancora di più il vuoto lasciato dai collettivi sulle burattine e sul teatro. I due modi stanchi di porsi rispetto al professionismo nascono da questo vuoto: da una parte si criticano le donne professioniste, dall’altra non si elaborano interventi diversi. Un esempio è questo stesso articolo, che per due mesi ci si è riproposte di scrivere assieme, e che per esigenza e richiesta di informazione sto scrivendo da sola, cercando di rispettare la complessità dei fatti, ma dandone alla fine un taglio che non può che essere il mio.
Ora, dopo lo sgombero, è molta sentita l’esigenza di confrontarsi con altre esperienze di Casa della Donna. Villa Franchin è stata un grande amore. Come ogni grande amore non è mai l’ultimo.