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Caterina ross

“fare la regista è come fare le brioches” dice gabriella rosaleva, autrice del film “gli ingredienti devono essere buoni…” eccoli: un gruppo di archeologia industriale della bovisa, gli atti di un processo per stregoneria, un personaggio irriducibile.

novembre 1982

Dalle carte dell’Archìvio Comunale di Poschiano. Fase. N. 497 — Processo a carico — febbraio 1697
Sembra quella dell’ultimo soldato vittima di una pallottola vagante alla fine della guerra, dell’ultima fucilata che parte quando ormai non squillano più le trombe e la retorica si sgonfia nella prosa quotidiana. È la storia di una di quelle morti che più delle altre insensata e priva di giustificazione. Caterina Ross viene giudicata e condannata per stregoneria alle soglie del ‘700 e poco importa se il processo si svolge nello sperduto paese alpino di Poschiano ancora per un bel po’ al riparo dai “lumi della ragione”. Il grande scontro tra la chiesa e la stregoneria è ormai chiuso ovunque, le rivolte contadine sono finite nel sangue e con esse le streghe e la loro ribellione. Caterina infatti non è una visionaria, non riassume il ruolo di “nemica potente” non sfida e neanche è esplicitamente accusata da qualcuno. Sono bastate “voci” e la macchina della giustizia si è messa in moto quasi automaticamente. Ormai all’apparato ecclesiastico dell’Inquisizione si è sostituito lo Stato laico. Infatti l’interrogatorio è condotto dall’Honorando Magistrato e dai dodici consiglieri della comunità, non è una pratica d’esorcismo è un processo in cui i parenti temono che la cosa possa andare troppo per le lunghe dato che le spese sono a loro carico. In tutti i casi è evidente che un giudice fa ormai ben più paura del demonio ed i testimoni più che infierire contro la strega badano a non contrariare la corte ed a ribadire la propria appartenenza alla normalità dei più. D’altra parte i giudici vogliono sapere più che altro i nomi delle altre insubordinate, non l’elenco dei prodigi. Perché la stregoneria è ormai un qualsiasi segno di diversità, un’eredità non una scelta; a Caterina addebitano come colpa l’aver conosciuto sua nonna, strega anche lei e sua madre e da loro aver appreso le arti magiche. Per questo era già stata inquisita all’età di sette anni (era pratica consolidata bruciare anche le nipoti in tenera età delle streghe riconosciute). Sotto tortura la donna finirà per confessare di essere stata una “stria in forma di uccello” ma non farà neanche un nome delle compagne che con lei partecipavano ai sabba.
Il film
Inizia con una panoramica brivido sulle montagne, minacciosa quanto quella di “Shining” dall’interno di un’automobile che percorre i tornanti o da un aereo che non riesce a decollare, sotto un cielo maledettamente basso, quasi nelle montagne stessimo per entrare, schiacciati, dominati dall’oppressione. Poi il processo inizia scandito dalle date degli interrogatori come una via crucis. Dada Morelli è Caterina (bravissima) sempre in campo, prima nell’abito scuro delle contadine poi in quello bianco degli inquisiti e sul suo viso sempre più ravvicinato si giocano tutte le emozioni della vicenda, dall’attonito stupore di chi deve solo farsi perdonare il fatto di esistere alla coscienza precisa ma impotente di quanto sta accadendo ai lampi d’orgoglio, sino alla sofferenza devastate della tortura. L’inquisitore è fuori campo, una voce recitante, un po’ teatrale che invita con toni paternalistici ad una ragionevole confessione per una ragionevole sentenza di morte. Tutti molto ragionevoli, anche i contadini che in panni contemporanei testimoniano con le parole di un processo vecchio di trecento anni la loro attuale subordinazione. L’aula del processo è una camera umida che porta i segni dell’abbandono e gli esterni sono su spettrali capannoni ed edifici vuoti che minacciosamente incombono o si allargano su spazi squallidi e deserti di una viva forza drammatica. Ad intervalli il rumore del passaggio di un treno ci riporta al presente.
Con questo film (il suo primo in 16′ mm) Gabriella Rosaleva passa dalla memoria privata, quella intimista e delicatamente eversiva dei suoi superò, ad un tema “forte” quello della memoria collettiva, della storia delle donne e lo fa rimanendo accessibile e mantenendo contemporaneamente il carattere sperimentale della propria ricerca. Sono stati citati per “Caterina Ross” nomi davvero importanti: Straub, Drayer, Bresson). Porse nel panorama alquanto deludente del giovane cinema italiano c’è finalmente qualcuno capace di emozionare con chiara intelligenza.
gabriella primo ciack
“Non abbiamo rifatto neanche una scena, tutto buono alla prima” — dice Gabriella Rosaleva molto professionale e distaccata alla presentazione a Torino del suo film e continua — “è una scelta di metodo, sono convinta che anche con il più ricco dei budget mi sarei comportata alla stessa maniera. Non si poteva mica sbagliare niente, altrimenti non ce l’avremmo fatta”. “Gabriella è proprio un’equilibrista” le fa eco e controcanto Daniela Morelli con la sua ironia falso candida ma in realtà orgogliosissima del suo lavoro e della sua regista.
Vi ho sempre visto insieme. Com’è nato questo sodalizio? Gabriella: “Come un matrimonio, sai i bei matrimoni di una volta, non come adesso che non ci si capisce più niente! Abbiamo cominciato con i super8: “Cornelia”, poi “L’isola Virginia”, poi “La borsetta scarlatta” e abbiamo continuato. Sarebbe stata un’altra cosa, non so neppure cosa”.
“Dada, tu sei sempre stata bellissima nei supèr8 di Gabriella, stavolta sei una contadina tormentata e sconfitta. Come è andata questa nuQva esperienza?”.
Dada: “Anzitutto mi sono trovata bellissima anche qui, forse più di altre volte, poi addirittura la gente non mi riconosceva e per un attore è buon segno. Nel personaggio sono entrata assieme a Gabriella, senza provare. Gabriella pensa che anche questa fase è unica e irripetibile”. Avete lavorato con una storica? Gabriella: “No, questo processo è stato studiato da Luisa Muraro, le abbiamo chiesto se voleva collaborare ma ha risposto di no.
Vedi, non credo fosse disinteresse, ma anzi troppo amore. Comunque non ho cambiato neanche una virgola e ho rispettato rigorosamente i testi degli interrogatori. D’altronde non serviva stravolgerli: dicevano già tutto dell’inumanità del potere e della violenza del suo calmo procedere. Nessuna insulta Caterina, anzi la invitano a Se non ci fosse stata Dada non ci sarebbe stata neppure Caterina Ross o confessare in modo quasi ragionevole. Comunque le mie suggestioni principali restano sempre visive: un dipinto, un quadro su un muro sono sempre emozioni indicibili, mondi che si aprono, ma su su fino alle grotte di Aitamira”.
“A proposito di suggestioni visive; dove hai trovato quei luoghi da dopo l’apocalisse per gli esterni ?”. Gabriella: Esterni e interni sono la vecchia stazione della Bovisa, un pezzo di archeologia urbana. Ci passavo di fronte come pendolare, sono entrati in me a poco a poco… sapevo che prima o poi sarebbero venuti fuori. Progetti vicini?
Gabriella: “Questa volta abbiamo lavorato con venti milioni procurati da persone che credevano in me e nel progetto. Avevo chiesto l’appoggio della Regione Lombardia ma non c’è stato. Ora però vorrei fare qualcosa di diverso, un film di fantascienza e occorrono molti soldi.
E della professione di regista, che mi dici?
Gabriella: E’ come fare le brioches, gli ingredienti devono essere buoni, li metti lì e a poco a poco, se c’è stoffa, vengono croccanti e appetitose.