ABORTO

come si sono realmente svolti i fatti

Ancona: dal dibattito sui processo, alla ginecologa “cucchiaio d’oro” della città, un momento di riflessione sul nostro rapporto con le istituzioni.

dicembre 1978

dopo circa un mese dal processo tenutosi qui ad Ancona contro la ginecologa Di Gregorio, di cui le compagne saranno certamente a conoscenza per la diffusione che la notizia ha avuto dalla stampa e dalla televisione, abbiamo deciso di “rompere il muro del silenzio” e di uscire all’esterno con spunti e contributi di dibattito che, partendo dal processo, facciano chiarezza su quelli che sono stati i presupposti, i motivi e le conseguenze della nostra azione, e soprattutto ci facciano capire che cosa ha significato questo processo per noi, come l’abbiamo vissuto, aspettative e delusioni, come possiamo crescerci ed andare avanti. Se soltanto oggi riusciamo a scrivere qualcosa, ciò è dovuto alla grossa difficoltà che abbiamo provato nell’esprimere sulla carta le nostre sensazioni, confusioni e i nostri contenuti, e così abbiamo deciso di registrare una delle tante discussioni che si sono svolte tra di noi dopo il processo.
Lo stimolo più grosso che ci ha spinto a scrivere e quindi a riportare il nostro dibattito è venuto da alcune lettere apparse su quotidiani o pervenuteci direttamente. Ci riferiamo alla lettera apparsa sul Manifesto del 7-9-78 e quella apparsa su Lotta Continua del 19-9-78, entrambe scritte da compagne di Ancona, che non hanno partecipato alla crescita del movimento femminista anconetano negli ultimi anni.
La prima deforma in malafede i fatti, affermando una inverosimile unità fra i Collettivi femministi e l’Udi in occasione del processo, in un momento in’ cui la spaccatura fra noi e l’Udi si era fatta ancora più profonda a proposito della legge 194 sull’aborto. Ricordiamo che l’Udi si era presentata all’ultimo momento a chiedere la costituzione di parte civile al processo, quando ormai la portata del fatto faceva prevedere grossi utili politici, facendosi paladina di quella stessa legge che noi, anche tramite il processo, volevamo denunciare come inadeguata e anzi, idonea a mantenere inalterate le strutture di potere che da sempre gestiscono la salute della donna. La seconda lettera ci è sembrata soprattutto un rimprovero a non aver seguito una fantomatica “via al femminismo” suggerita da questa compagna in maniera puramente ideologica senza conoscere la situazione reale del movimento qui ad Ancona, né tanto meno interessarsi a quali potrebbero essere stati i risultati dell’azione stessa.
Ci è poi pervenuta una lettera a firma dell’AED di Bergamo, della quale non varrebbe nemmeno la pena di discutere per il tono violento e offensivo nei nostri
confronti; vogliamo tuttavia dire a queste “compagne” che con la nostra azione contro la Di Gregorio non abbiamo “voluto punire la ginecologa per le trecentomila lire richieste”, e che, comunque, non ci fanno assolutamente pena medici come questi che “rischiando la galera” si sono fatte le ville, «per aiutarci», né ci sentiamo assolutamente “pedine della borghesia di Stato”, perchè la nostra azione è nata e si è sviluppata dalla lotta che noi del Centro della donna abbiamo portato avanti da diversi mesi perchè le donne possano abortire nonostante l’obiezione di massa e nonostante le manovre di boicottaggio che questa legge truffa permette e copre.
un dibattito per fare chiarezza
Adriana: È da tempo che alcune di noi sentono l’esigenza di uscire fuori con qualcosa di nostro, che serva anche per far chiarezza su come sono andate le cose realmente, come noi le abbiamo vissute e sentite, anche perchè, io ritengo, che, aldilà del modo scorretto e deformante di quelle lettere o articoli, noi dobbiamo anche renderci conto che, chi l’ha vissuta da fuori questa cosa, le notizie le ha ricevute solo dalla stampa nazionale, e chiaramente può anche essersi fatto un’idea sbagliata di come sono andate le cose.
Francesca: Tutte noi abbiamo vissuto delle contraddizioni, c’è anche l’esigenza di parlare di queste cose… per esempio dell’uso che noi abbiamo fatto del potere repressivo: se era più giusto condurre l’azione senza ricorrere alla Magistratura (il che non ci avrebbe garantito però dei risultati legali), oppure fare come abbiamo fatto, con la vittoria dal punto di vista legale, ma l’impossibilità di parlare e di dire la nostra in Tribunale. Patrizia: Rispetto al processo in sé, il processo è andato bene, perchè un processo è fatto in quella maniera lì, ci sono determinate regole e c’è un risultato; il risultato che è venuto fuori è ottimo per un processo.

Si tratta di vedere cos’è che volevamo, cioè forse noi non volevamo un processo, volevamo qualcos’altro, solo che finché non ci abbiamo sbattuto il muso non lo abbiamo capito; adesso, per esempio, in un’occasione come questa, faremmo qualcos’altro, però in quel momento dalla discussione che c’era è scaturita questa indicazione. Marina A: Non avevo le aspettative che avevano altre, ma una volta entrata nel meccanismo mi è andata bene. Questo fatto dell’accettazione di parte civile è importante, perchè è un precedente che permette che da domani in poi tutti i processi delle compagne possano andare in maniera diversa.
Francesca: Ho una grande confusione … so che il processo non mi è andato bene per alcune cose… la costituzione di parte civile, ad esempio, mi sembra che implichi il nostro rientrare nella logica del potere…
Marina A.: …ma questo non vuol dire che da ora in poi devi fare solo processi, però in tante situazioni, come in occasione del processo di Ferrara, magari se questo era successo prima, poteva andare in maniera diversa. Patrizia: Direi di non cadere nel paradosso che ci dichiariamo talmente contro le istituzioni che poi ci ritroviamo dalla parte dei nostri nemici, come è successo per alcune critiche ci sono state mosse. Per quanto riguarda l’accettazione della nostra costituzione come parte civile, secondo me è un fatto innovativo importante, che certo costituisce un precedente, comunque teniamo presente che così come alla “giustizia” ha fatto comodo concederla in questa occasione, in mille altre occasioni ce la può rifiutare. Francesca: non so se noi abbiamo usato realmente le istituzioni… Marina A.: forse c’è la paura del compromesso…
Francesca: sì, va bene, usare le istituzioni per lottare contro di esse, purché le si usi realmente, ed io ho il dubbio che in questa situazione non le abbiamo usate; secondo me non ci siamo riprese la parola in quel processo, perchè tra costituirsi parte civile e riprendersi la parola, c’è una grossa differenza. Marina A.: se vuoi fare un processo, è chiaro che devi rientrare nella sua logica. O fai una denuncia pubblica o un processo popolare, leggi le testimonianze, e magari mi stava anche meglio… ma se fai un processo, poi ci sei in quella logica lì, e quindi mi sta anche bene ottenere il risultato migliore.
Francesca: io pensavo che potessimo parlare noi in prima persona… Carla: Il prendere la parola in tribunale io non l’ho visto come un fatto fisico, cioè fare il nostro bel discorso… e poi chi volevamo convincere? Il Pubblico Ministero?!… per me il riprendersi la parola è stato il riconoscimento come parte civile, ma soprattutto il dibattito che si è sviluppato durante e dopo il processo, in città. Quale altro strumento potevamo usare?
Mi vengono in mente tutti i processi per violenza alle donne che ci sono stati; allora, se estremizzi il discorso di non rapportarti alle istituzioni, prendi ed eviri lo stupratore. Invece è stata una conquista che si siano fatti, e si continuino a fare pubblicamente questi processi e si dia loro spazio.
Francesca: … ma allora le usiamo le istituzioni…
Adriana: non è possibile deciderlo in maniera così schematica; secondo me si creano degli schemi, dei gradi per cui una è definita più o meno femminista… L’AED, per esempio, secondo una sua scala di valori, si ritiene più femminista di altre… e questo, secondo me, esclude ogni dibattito all’interno del movimento… Esistono posizioni diverse, di chi le cose vorrebbe farle in un modo e chi in un altro, però esiste anche il problema che in tutti i casi in cui subisci una violenza, di qualsiasi genere, o ti fai giustizia da sola, oppure è chiaro che ci devi ricorrere al tribunale, o quello che sia… con tutti i limiti che ha, certo… Noi abbiamo parlato tanto di riprenderci la parola, quel giorno del processo, siamo state male perchè non abbiamo potuto leggere il nostro documento… poi, abbiamo avuto la possibilità, nei giorni successivi e tuttora, di parlare, con tutti i mezzi possibili, soprattutto la stampa… possibilità che non abbiamo usata,… anche questo significa riprendersi la parola, mentre, secondo me, leggere il documento davanti al pretore o davanti ad un uditorio composto in gran parte da noi, era parziale e riduttivo, visto che bene o male il processo stava andando in quella maniera, era, cioè, un “processo”. Secondo me, quando diciamo: “lì non ci siamo riprese la parola»… continuiamo ad usare degli slogans e delle affermazioni che rischiano lo schematismo e non ci fanno” crescere, soprattutto. Il discorso del rapporto con le istituzioni è grosso e va portato avanti: occorre fare chiarezza; quando si afferma che volevamo un processo alternativo, vediamo cosa significa questo, dentro un’aula di un tribunale, con un codice Rocco che risale al periodo fascista…
Marina A.: parlare di «processo alternativo” è una grossa mistificazione, è una giustificazione che una dà a se stessa: ho usato le istituzioni, però ho fatto un processo alternativo!!… Non ci raccontiamo balle!!…
Patrizia: io mi ero riconosciuta nel discorso della costituzione di parte civile, e sono stata molto contenta quando ci hanno riconosciute parte civile, mi sembrava, e ancora mi sembra, molto importante… dopodiché, l’interesse per il processo, a me, e subito calato. Sono rimasta in tribunale perchè c’era Angela e le compagne che dovevano testimoniare, altrimenti sarei andata sicuramente a casa… non me ne importava niente se la Di Gregorio prendeva dieci anni, tre mesi… e perchè anche, a quel punto, mi sono trovata in contraddizione rispetto al problema della “pena”, del fatto cioè che uno possa essere condannato ad andare in galera… Ho sentito questo fatto della condanna come una cosa senza senso, mi ci sono scontrata, pur avendo contro la Di Gregorio una grossissima rabbia, ho sentito quanto fosse insufficiente e nello stesso tempo indifferente, per me, mandarla in galera…
Marina M.: finora abbiamo analizzato le nostre impressioni dal processo, quello che abbiamo sentito, rispetto alle aspettative, rispetto ai risultati… io vorrei riportare il discorso a prima del processo… Io, dal processo, non mi aspettavo niente, né il processo alternativo, né di poter parlare noi; al limite riconosco anch’io che il riconoscimento di parte civile potrebbe essere l’unico aspetto evidentemente positivo, però dal momento in cui siamo entrate nell’aula del tribunale, per me è finito l’interesse. Quello che avrei intenzione di tirar fuori un’altra volta, non per rimangiarci nulla, perchè sono convinta che ci si cresce su queste cose, è come ci siamo arrivate a questo processo… non vorrei fare la disfattista rispetto ad un’azione fatta, ma è necessario guardare avanti… volendo dare al Centro della donna una struttura più definita, anche per capire come ci potremmo muovere una prossima volta… Io non voglio dire: “che stronze siamo state, abbiamo fatto il processo”, però mi vengono parecchi dubbi; per esempio, noi non abbiamo portato in tribunale la Di Gregorio perchè volevamo l’applicazione della legge sull’aborto, tutt’altro, però ad un certo punto, volenti o no, a causa dell’Udì, per tante cose, siamo forse rientrate in quest’ottica, non per volontà nostra, certo… ma secondo me perchè non poteva andare diversamente, visti i rapporti di forza… di fatto ci hanno risucchiato decisamente, perchè abbiamo richiesto l’intervento delle istituzioni repressive dello Stato… in pratica abbiamo la grossa vittoria del riconoscimento di parte civile, che però viene sminuita precisamente dal fatto che siamo state usate dal potere, che ci ha fornito la “legalità” su un piatto d’argento, perchè noi servendoci delle istituzioni dello Stato, è come se avessimo chiesto che questa legge, anche se fa schifo, venga applicata. Adriana: ma noi abbiamo fatto il processo non per chiedere l’applicazione della legge 194, anzi, volevamo dimostrare che, malgrado la legge, tutte le strutture speculative dell’aborto clandestino erano ancora in piedi, quindi volevamo dimostrare tutta l’inefficacia di questa legge… E questa azione contro la Di Gregorio non è stato un fatto isolato, ma seguiva la lotta iniziata questa estate, appunto contro la legge…
Marina M.: io vorrei comunque ugualmente riflettere su quello che volevamo veramente, io per esempio questa azione non la volevo…
Patrizia: io pure avevo tanti problemi…. però, dato che non ne avevo discusso con le compagne, non me la sono sentita di frenare le altre… così come quest’estate l’occupazione della Direzione Sanitaria dell’Ospedale ha causato la stessa situazione… Io mi rendo conto che ci sono dei momenti in cui alcune compagne decidono di fare delle cose, e molte altre magari si trovano ad un livello di discussione che è diverso… e questo causa dei problemi. Marina M.: Condivido il fatto che ci sono effettivamente dei momenti diversi… tuttavia in alcuni momenti, per una nostra giusta e sacrosanta voglia o esigenza di fare, dire delle cose, muoverci in una certa realtà — e abbiamo fatto dei passi da gigante — mi sembra che dimostriamo una certa ingenuità “politica”, un essere un po’ convinte che tutto sommato qualcosa ne verrà fuori.
Leila: Per quanto mi riguarda, la lettera di Rosaria e quella dell’ÀED non mi hanno affatto messa in crisi, mi hanno solo infastidito. Mi sembra che l’ottica in cui ci siamo mosse dal momento della nostra presenza a Villa Maria, con l’occupazione della Direzione Sanitaria dell’Ospedale Civile, al processo alla Di Gregorio, sia abbastanza coerente. Noi abbiamo cercato spazio, le possibilità di uscire all’esterno anche attraverso questa legge (di merda quanto vuoi), e penso che attraverso queste azioni le istituzioni possano essere smascherate nella loro falsità e nella loro incoerenza. Inoltre, le donne vanno a Villa Maria; a Villa Maria partoriscono e fanno aborti, a Villa Maria si incontrano medici obiettori che poi fanno gli aborti clandestini, e non certo per aiutare le minorenni o chi non vuole passare attraverso le trafile burocratiche. A me non fa assolutamente schifo mandare in galera uno di questi tipi, nonostante sappia che la “giustizia” repressiva dello Stato non serve a niente, si esercita solo negli spazi consentiti, si esercita sempre contro chi è avversario del sistema. Il problema è riuscire ad essere autonome, andare avanti e inventare mezzi nostri e in un rapporto con le istituzioni che non può che essere dentro e fuori, continuamente, secondo le varie situazioni. I giornali hanno parlato di noi in maniera falsa e distorta, e noi dobbiamo avere la forza di far sapere chi siamo e che cosa vogliamo. Sapevamo fin dall’inizio, fin da giugno, con chi avevamo a che fare, su che terreno ci muovevamo e non ho mai avuto l’impressione di stare a «chiedere la carità» alle istituzioni. Inoltre è importante anche quello che accade, che è accaduto tra noi, i discorsi, le liti, lo sconvolgimento dei rapporti personali. Il “fuori” è dentro di noi, continuamente, e allora affrontiamolo senza rimandarlo all’esterno, senza tante paure di essere state strumentalizzate, o tanti ripensamenti, e soprattutto «pentimenti” rispetto al processo; cos’è un processo lo sapevamo fin dall’inizio, e mi pare che anche le femministe “pulite”, ammesso che noi non lo siamo — ma chi lo è? vogliamo fare le tessere? — hanno usato da sempre certi strumenti; non è un prendere la parola, ma in parte è prendere la parola. Partiamo da qui e vediamo come vogliamo andare avanti, soprattutto che cosa significa «la parola» qui, oggi, per ciascuna di noi. Il mio problema è questo.