Cinema

dal libro al film

una romanziera diventa regista e avvia un discorso sullo distruzione della parola. Questo scritto si può considerare una chiave di lettura di tutto il lavoro di una regista tra le più rappresentative del cinema contemporaneo.

settembre 1978

una sera, a Le Havre, prima della guerra, due donne assistevano ad uno spettacolo cinematografico, in una sala di periferia. A quell’epoca lo spettacolo comprendeva un documentario di attualità e un film. Le due donne non erano mai andate al cinema prima di allora? 0 ci andavano sempre «in quel modo»? Ecco, il testimone del fatto non l’ha mai saputo. Tant’è che le due donne ignorando l’esistenza dell’attualità, hanno visto quella sera un film di cui un episodio si svolgeva prima dell’intervallo. Sono rimaste deluse della loro serata? Affatto. Il testimone (seduto dietro di loro) racconta che dopo un certo sbigottimento, a furia di ipotesi diverse, di ragionamenti, erano perfettamente riuscite ad integrare il documentario col racconto del film. E non ci avevano messo molto. Rapidamente avevano deciso il contenuto del film, del loro film. In questo, i personaggi (tra le altre peripezie) assistevano ad una partita di calcio — perchè no? — mentre da qualche altra parte il capo del governo inaugurava un ponte e contemporaneamente, da qualche parte ancora, scoppiava un terremoto, ecc. Dopo essersi diluita in un accadimento quotidiano, familiare, la narrazione principale riprendeva il suo corso fino alla fine dello spettacolo.
Sicuramente questi spettatori — cosi creativi — non esistono più. La sintassi del cinema è ormai conosciuta. Un bambino di 7 anni sa leggere un film attraverso il montaggio. Ma questo rimane ugualmente là; il cinema è fatto dallo spettatore. Il libro presuppone un apprendimento, il film no. Una pratica è sufficiente per diventare spettatori di films.
Qui sta la differenza sostanziale tra il cinema e tutto il resto. In questa potenzialità — grandissima — e perciò incontrollata.
Uscite di casa un mattino, il cielo è azzurro, c’è il sole. Sulla soglia di casa ricevete questo choc del cielo azzurro e del sole. In qualche parte di voi, del vosto organismo fisico o mentale, la cosa si traduce con la folgoranza della sensazione: «azzurro il cielo stamattina il sole». Più tardi quando questa folgoranza sarà attenuata dal passare del tempo, se voleste farla uscire, dirla ad altri, la tradurreste in una frase, detta o scritta, che espliciti in quali circostanze, un bel mattino, uscendo di casa, siete stati colpiti dal cielo e dal sole. È questo senza alcun dubbio il percorso più ovvio che conoscerà l’avvenimento da voi vissuto. Ma ce ne sono altri, migliaia, fra cui la poesia, per esempio, o il cinema. Fra tutti i modi di esprimersi, il cinema sarà indubbiamente l’ultimo ad essere scelto, perchè si presenta come il più inaccessibile- per il fatto tecnico- e il più separato dall’avvenimento. In realtà, al contrario, proprio questo mezzo si dimostrerà il più adatto a ricreare lo shock dell’avvenimento «azzurro il cielo stamattina il sole» e a trasmetterlo a più persone. Quattro parole, due immagini, articolate fra loro da una sintassi muta’, invisibile, molto prossima a coincidere in un non-detto, con la sensazione originaria.
Cos’è questa potenzialità? Da dove viene?
Il lavoro di un cineasta di fronte ad un film — non parlo dell’intoppo, del freno posto a questo lavoro dall’apparecchiatura tecnica — si pone a un livello diverso da quello dello scrittore di fronte a un libro. Prima di arrivare al film, il cineasta passa attraverso un libro la cui scrittura non avrà mai luogo ma che, nella catena creativa, ha valore di scritto. Egli passa al di sopra di questo libro e ritrova, invece della sua lettura, precisamente quella dello spettatore.
Guardate bene certi film: tutto questo vi si legge, vi si legge la trama dello scritto. Si vede la fase della scrittura nascosta, cosciente o no, il suo posto, il suo passaggio. (Non penso certo al cinema commerciale, fatto di ricette di cucina e che si pone agli antipodi di qualsiasi scrittura). A questo punto della sua creazione, il cineasta si trova dalla parte opposta a quella dello scrittore con libro. Si può dire che il cinema si scrive a rovescio? Si può dire qualcosa di simile, mi sembra. E dal posto dello spettatore che il cineasta vede, legge, il suo film, mentre lo scrittore si terrà — in generale (escludo il commercio della scrittura) in una oscurità che nessuna lettura può ancora leggere, indecifrabile persino a chi la affronta.
Il cineasta si trova dopo questa oscurità. Fare del cinema quando si sono già scritti dei libri, è cambiare posto in rapporto a quello che si sta per fare. Io sono davanti a un libro da scrivere. Io sono dietro a un film da fare. Perchè? Perchè si prova il bisogno di cambiare questo posto, abbandonare quello in cui ci si trova? Perchè fare un film è passare attraverso un atto di distruzione del creatore del libro, precisamente, lo scrittore. È annullarlo. Che sia l’autore di un libro «in pieno» o di un libro «in vuoto”, in effetti lo scrittore sarà distrutto dal film. Lo scrittore che è in ogni cineasta, e lo scrittore, semplicemente. E anche questo sarà espresso. La rovina che sarà diventato, diventerà il film. Il suo «detto» sarà questa materia liscia, il fluire delle immagini.
Tra qualcuno che non ha mai scritto e uno scrittore, c’è meno distanza che tra uno scrittore e un cineasta. Chi non scrive e il cineasta non hanno intaccato ciò che io chiamo «l’ombra interna” che ciascuno porta in sé e che non può uscire, filtrare all’esterno, se non; attraverso il linguaggio. Lo scrittore, lui, l!ha intaccata. Ha intaccato l’integrità dell’ «ombra interna» il comune silenzio sostanziale: egli ha operato la riducibilità di questo silenzio. E ogni azione che frena questa riducibilità, per esempio il cinema, fa indietreggiare la parola scritta. Non è vero che il cinema dice tanto scritto quanto il linguaggi0 scritto. Il cinema fa risalire la carola verso il suo silenzio originario. Una volta distrutta la parola attraverso il cinema, non ne rimane più nessuna parte in nessuno scritto. E per il cineasta è la’ piega stessa di questa distruzione che diventerà esperienza creatrice. £ su questa disfatta dello scritto che — per me — si costruisce il cinema. È in questo massacro che risiede il suo tratto essenziale e determinante. Perchè questo massacro è proprio il punto che vi conduce dalla parte della lettura totale. E ancora più lontano; dalla parte stessa del subire tout court, che presuppone tutta l’esistenza vissuta nella società attuale. In altre parole: la scelta quasi universale della gioventù per il cinema è una scelta — cosciente o intuitiva — di ordine politico.
Voler fare del cinema è propriamente voler andare dritto verso il luogo del suo subire: lo spettatore. E questo evitando, distruggendo la fase — tuttora privilegiata — dello scritto,
La fenomenale dipendenza ruffianesca dal capitalismo che il cinema ha avuto fin dalla sua nascita, ha formato 4 o 6 generazioni di spettatori, e oggi ci troviamo davanti un Himalaya di immagini che costituisce senza dubbio la più grande raccolta storica moderna. Parallela alla storia del proletariato, è la storia di questa oppressione supplementare; quella del tempo libero fabbricato dal medesimo capitalismo che l’ha asservito, il cinema dei suoi sabati. Per decenni solo il capitale ha avuto i mezzi per fabbricare il cinema. L’accesso al film è stato un privilegio di classe. Non dico che non lo è più lo è semplicemente un po’ meno. E basta guardare la collera dei cineasti commerciali di fronte a questo «un po’ meno” per comprendere a qual punto sia stato vero, a qual punto essi avrebbero voluto restare padroni del cinema mondiale. Ho sentito una volta parlare Henri Verneuil dei Cahiers du Cinema; schiumava di rabbia anche se i Cahiers sono centomila volte meno letti di quanto non siano visti i film dello stesso Verneuil.
Voler fare del cinema è anche propriamente uscire dal ruolo di consumatore del cinema-capitalismo, tirarsi fuori, svezzarsi da questa consumazione-riflesso, di cui si può dire che ha chiuso in modo clamoroso il cerchio infernale del consumo tout court. Ciò facendo si lancia un’accusa. Si può dire che tutto il cinema parallelo lancia un’accusa.