lavoro

padronato e sindacato ci hanno di nuovo giocato

L’ accordo tra un’azienda mineraria e il consiglio di fabbrica ripristina “legalmente” il divieto di lavori pesanti per le donne

maggio 1982

Iglesias, aprile 1982
Una donna, venuta a conoscenza che presso la Carbosulcis SpA, un’azienda mineraria a partecipazione statale, si tengono corsi finalizzati all’immediata occupazione presso la stessa azienda, fa regolare domanda. Le si risponde che può partecipare alla selezione per il corso per N. 10 addetti ai servizi generali di miniere, a quello per N. 15 allievi elettro-idraulici di miniera — purché abbia una preparazione professionale di base in campo elettrotecnico — ma non può partecipare al corso per N. 30 allievi minatori perché è riservato agli aspiranti di sesso esclusivamente maschile.
Si viene così a conoscenza dell’accordo firmato il 21 gennaio 1982 tra Carbosulcis e Consiglio di fabbrica delle miniere di Seruci e Nuraxi Figus (assistito dalla federazione unitaria territoriale CGIL, CISL, UIL di Carbonia), accordo che di fatto chiude alle donne l’accesso alle miniere. Il pretesto per questo accordo è stato l’articolo 1 comma 4 della legge 903 del 1977 sulla parità tra uomo e donna in materia di lavoro, secondo il quale la contrattazione collettiva può ripristinare il divieto di lavori pesanti per le donne. Nell’accordo con la Carbosulcis c’è un lungo elenco di lavori particolarmente pesanti, come ad esempio: sollevamento di pannelli di legno e ferro, uso di martelli pneumatici, messa in opera di tubazioni, ecc. Le donne di Iglesias, collettivo femminista e UDÌ, hanno stampato un volantino e indetto una manifestazione per il 26 aprile, per chiedere al sindacato di “chiarire fino in fondo le motivazioni che l’hanno spinto a usare contro la donna una legge che avrebbe invece dovuto significare promozione per l’occupazione femminile… Riteniamo che la scelta del padronato e del sindacato vada molto al di là delle motivazioni tecniche o di tutela della salute della donna o di rispetto della legge e che si tratti invece ancora una volta di scelte politiche ben precise che nei momenti di crisi economica colpiscono prima di tutto le donne… Firmando l’accordo con la Carbosulcis, il sindacato si è reso responsabile di un grave attacco all’autodeterminazione delle donne, ha creato un precedente pericoloso per l’attuazione della legge 903 e perso l’occasione per aprire una vertenza su una diversa organizzazione del lavoro”. Il sindacato si difende dicendo che sei delle sette minatrici assunte in passato dalla Carbosulcis sono state spostate ai servizi generali e che una soltanto è rimasta a fare la grionista. A parte il fatto che molti uomini non resistono in miniera e chiedono di essere trasferiti, prima di trarre conclusioni affrettate ci si doveva consultare con le dirette interessate, per conoscere le reali motivazioni del trasferimento.
L’accordo con la Carbosulcis è comunque perfettamente legale in base alla legge 903.
Al momento — dato che non è possibile annullarlo — l’unica cosa che possiamo fare è aprire il dibattito sulla 903 e sui suoi limiti. “Questa legge — ha scritto Elena Marinucci sulla nostra rivista nel 1980 (1) — non è stata una “conquista” nel senso che non c’è stato — come per il diritto di famiglia, il divorzio, l’aborto, ecc. — una sensibilizzazione e una battaglia, né del sindacato, né delle organizzazioni delle donne, che abbia preceduto la legge e l’abbia accompagnata durante il suo iter parlamentare”. In realtà si è trattato di una legge promulgata in fretta per ottemperare ad una direttiva del Consiglio dei Ministri della Comunità Europea. Fu infatti approvata in tempi eccezionalmente brevi, quasi senza dibattito con “un generale e trionfalistico consenso formale e nessun coerente impegno per attuarla”. Per quanto riguarda l’occupazione femminile, in questi ultimi anni si è visto un aumento dell’offerta di lavoro femminile e un aumento dell’occupazione femminile nel settore terziario, sia pubblico che privato. Questi due dati positivi non hanno tuttavia cancellato i problemi tradizionali dell’occupazione femminile come l’alta disoccupazione femminile tra i giovani e la difficoltà del rientro al lavoro dopo il periodo “perso” per la maternità e la cura dei figli.

la discriminazione sul lavoro costituisce un aspetto storicamente cruciale…

In un momento di crisi economica come l’attuale, il settore terziario probabilmente non potrà continuare ad assorbire l’offerta esplicita di lavoro femminile crescente. La politica del lavoro femminile in Italia dovrà dunque cercare da un lato di espandere l’occupazione femminile nei settori a prevalente occupazione maschile e dall’altro lato di difendere i livelli di occupazione femminile anche nei settori tradizionalmente femminili, sui quali comincia ad esercitarsi la pressione della concorrenza maschile. «Si riproporrà in altri termini — scrive Maria Vittoria Ballestrero (2) — il problema di dare tutela sostanziale e normativa al lavoro femminile mediante: l’incremento delle opportunità di lavoro delle donne, la promozione della mobilità professionale del lavoro femminile, la difesa dell’occupazione femminile stabile e garantita. Per realizzare una politica di sostegno dell’occupazione femminile, gli strumenti sono quelli delle cosiddette “discriminazioni positive” (o di “azione positiva”): misure, anche legislative, e interventi a vantaggio del lavoro femminile, adeguati alla specificità della condizione delle donne.
I settori in cui dovrebbero essere sperimentate misure di discriminazione
positiva sono essenzialmente:
la formazione professionale: penso non solo all’esigenza di adeguare la formazione ai problemi dell’offerta di lavoro femminile, ma anche alla necessità di incentivare l’accesso alla qualificazione e riqualificazione professionale delle donne; all’esigenza di curare l’orientamento professionale delle donne verso le professioni tradizionalmente maschili; all’esigenza di integrare l’attuale disciplina della mobilità con misure adeguate alla gravità dei problemi (di qualifica, di orario, ecc.) che la mobilità apre alle lavoratrici già occupate;
i servizi sociali: oltre ai servizi di base (trasporti, assistenza ai bambini e agli anziani, agli handicappati) dovrebbero essere riconsiderati i servizi per la socializzazione del lavoro domestico.
Gli interventi nel campo della formazione professionale e dei servizi sociali dovrebbero essere collegati ad una revisione delle politiche nei settori: del lavoro a domicilio, del lavoro nero e del lavoro precario, oggi riservati prevalentemente alle donne…
II problema più urgente è quello di integrare la legge 903 con una serie di misure, legislative e contrattuali (curando il giusto rapporto tra legge e contratto collettivo), dirette a sostenere l’occupazione delle donne ed a consentire loro l’ingresso e la permanenza sui mercati del lavoro in condizioni di sostanziale eguaglianza”.
La legge 903 è nata zoppicante anche per la mancanza di strumenti per il coordinamento delle iniziative in materia di parità e per il controllo (sia pubblico che sociale) sul funzionamento della legge.
Negli altri paesi della CEE, dove si sono emanate leggi di parità in materia di lavoro in ottemperanza alle direttive della CEE, sono state create Commissioni per l’eguaglianza delle opportunità o presso il Ministero del Lavoro o come organismi indipendenti. Non mi è possibile soffermarmi sull’esperienza dell’estero — d’altra parte già ampiamente trattate dalla nostra rivista (3) — ma vorrei informare su una proposta del Gruppo di Lavoro sulla Condizione Femminile operante (a livello consultivo) da un paio di anni — sotto la Presidenza di Sofia Spagnoletti Lanza — presso il Ministero del Lavoro, nell’ambito della Commissione Famiglia. Si tratta di una proposta articolata per l’istituzione di una Commissione per l’Eguaglianza delle opportunità in materia di lavoro che prevede appunto la creazione, presso il Ministero del Lavoro, di un organismo agile, con ampia rappresentatività sociale, provvisto di staffe di bilancio adeguato per attivare una serie di stimoli all’effettiva applicazione dell’eguaglianza della donna: stimoli conoscitivi (ricerche, informazioni, pubblicità sulla normativa); di critica e proposta (per modifiche legislative, organizzative e formative); di vigilanza e di controllo (sulle situazioni di fatto discriminatorie); di partecipazione delle donne nelle istituzioni competenti in materia di lavoro femminile, di sostegno alla difesa dei diritti delle donne (in sede anche ma non solo giudiziale); di progettazione di interventi per l’allargamento delle occasioni di lavoro e di formazione delle donne.
“Queste funzioni istituzionali — scrive Tiziano Treu, a cui si deve la bozza iniziale di progetto, che è stata poi discussa e integrata dia Gruppo di Lavoro — hanno come centro il lavoro e la parità. Pur riconoscendo che le condizioni di discriminazione della donna sono ampie e più radicate, si ritiene che la discriminazione sul lavoro costituisca un aspetto storicamente cruciale. Attaccare questo aspetto è praticamente il modo più efficace per partire e per allargare la lotta alle discriminazioni”.
In un recente convegno promosso a Roma presso il Circolo Mondoperaio, dalla Sezione femminile del PSI, le rappresentanti delle forze politiche si sono in linea di massima dichiarate d’accordo sulla creazione di un meccanismo ad hoc, anche se la maggior parte preferirebbe una Commissione molto più ampia, non specificatamente tecnica, presso la Presidenza del Consiglio.
non c’è tempo da perdere
Non vorrei però che questo fosse un modo per eludere e differire a tempo indeterminato il problema. È inutile nasconderci che oggi la creazione di una commissione per l’Eguaglianza delle Opportunità sul tipo di quella inglese, con un budget di più di dieci miliardi l’anno, è inattuabile. Volere troppo a volte sta a significare che non si vuole niente. Una Commissione presso il Ministero del Lavoro è l’unica che oggi si può realizzare a breve termine con risultati positivi e tra l’altro non esclude la possibilità di creare
in futuro un meccanismo più ampio. Esiste dunque un progetto. E stato elaborato da un Gruppo di lavoro altamente rappresentativo delle forze sociali e del movimento delle donne (anche se l’UDI ha rifiutato di farne parte nella sua costante altalena di incertezza se stare dentro 0 fuori dalle istituzioni), integrato da validissimi esperti quali Ballestrero, Livraghi, Treu, Ca-zora Russo, Zavattaro, Arangio Ruiz.
Apriamo dunque una seria discussione su questo progetto. Come l’esempio della Carbosulcis dimostra chiaramente, non è più il caso di perdere tempo: l’occupazione femminile è in pericolo, le conquiste delle donne sono in pericolo. “Respingiamo con forza le manovre di tutti coloro che vorrebbero risolvere i gravissimi problemi sociali che ci affliggono (primo fra tutti la disoccupazione) escludendo le donne dal mondo del lavoro” hanno scritto sul loro volantino le donne di Iglesias.
Senza uno strumento di controllo e di tutela ciò non è possibile.
Note:
(l)EFFE, marzo/aprile 1980.
Maria Vittoria Ballestrero, documento interno del Gruppo di lavoro sulla condizione femminile, Ministero del Lavoro.
EFFE, dicembre 1980.