Consumi

perché non abbiamo un ministro?

quasi un’intervista a Catherine lalumiére, ministro dei consumi nel governo mitterrand, intervenuta a roma ad un convegno europeo in cui è stato presentato il “movimento difesa consumatori”

aprile 1982

Signora Ministro…, l’italianizzazione di Madame le Ministre ci diverte e Catherine Lalumiére abbandona il tono della cordialità ufficiale e diventa semplicemente cordiale. Catherine Lalumiére è in Francia “il ministro dei consumi” dell’attuale governo Mitterrand. Noi in Italia non abbiamo mente di simile e tanto meno una Signora Ministro. Forse per questo sono rimasta così impressionata da lei. Forse se non avessi saputo chi era…In realtà mi ero trovata davanti il potere impersonato da una donna. Una donna dall’aspetto molto femminile. Chiedo scusa. Occhi chiari ridenti, alta, sottile, dolce e luminosa e tutta francese secondo un mio clichè paesano della donna francese. Parlava persuasiva e tranquilla, soprattutto tranquilla, sicura di sé. Certe cose le sapeva solo lei, un sapere esoterico quello dei consumi, almeno per me. Le facevano domande stupide che lei traduceva in risposte intelligenti. Il pubblico, quasi tutto maschile, umile e attento. Insomma un personaggio “de premier rang”… affiancato da due biondi paredri, pardon, due giovani collaboratori. L’evocazione di antiche divinità femminili accompagnate da un giovane maschio (il paredro appunto, uno non due!) doveva già mettermi in guardia contro fantasie di identificazione con il “potere femminile”, quello di Johann Jakob Bachofen, buonanima, che faccio sempre fatica a rinnegare e invece… Ma tant’è, non serve a niente essere culturalmente smaliziate e sapere che il matriarcato non è mai esistito, rimanerci male con Engels che adotta questa nozione o leggere con fastidio l’interpretazione viscerale dell’Orestea della Kate Millet. Ed eccoci, pensavo, sempre pronte a rispolverare vecchie teorie di interesse solo antiquario, nostalgiche di una improbabile ginecocrazia del passato, disinvolte nel travisare in ideologia tutto quello che riguarda il mondo classico (solo perchè alle radici del pensiero occidentale’!) e nello stesso tempo così inerti nel rapporto con le strutture tutte del potere, abbarbicate ancora a uno sterile rivendicazionismo. Senza ancora riscontro con la storia.
Un applauso. Catherine Lalumiére ha finito di parlare. Comincia la parte frivola della serata. Ci presentano, conversiamo.
Signora Ministro…le donne? Anzitutto fare in modo che le donne si organizzino e prendano in mano loro stesse i loro interessi. Ma come?
La tesi precedentemente sostenuta e che pretende di fare della donna individualmente un soggetto che di sua libera scelta decide e garantisce un mutamento dei rapporti interpersonali e sociali (e quindi di produzione), mi sembra poco realista, dato il condizionamento della vita moderna nella complessità delle sue strutture economiche. Ora, poiché, sia pure contro venti e maree, un movimento delle donne esiste e malgrado il non pieno ascolto che gli viene accordato, ha acquistato un’esperienza e un peso reali, dobbiamo fare in modo che esso oggi diventi partecipe a pieno titolo delle grandi decisioni di politica economica e sociale.
Ma per raggiungere questo mancano strutture di movimento e ci si vergogna di ripartire dalle vecchie forme associative…
Eppure si dovrebbe avere il coraggio di rafforzare le associazioni di donne, di crearne di nuove e fare in modo che sviluppino i loro strumenti di studio e di azione sia a livello nazionale che nelle regioni e nei comuni. Per esempio, uno dei mezzi di azione più efficaci oggi e di cui il movimento delle donne dovrebbe poter disporre è l’accesso ai grandi media pubblici, sia nazionali che locali. E nello stesso tempo si deve pretendere un’informazione adeguata. Comunque un movimento delle donne che abbia influenza e organizzazione, dotato di una reale capacità di studio e di proposizione, con grandi forze e con grandi risorse di informazione, deciso a esprimersi e a sviluppare le responsabilità dei poteri pubblici: ecco la prima condizione per trasformare la posizione delle donne nella società. Ma alcune cose le abbiamo pur fatte, anche se con lacune e incoerenze: il divorzio, il referendum, la legge sull’aborto, sui consultori, sulla violenza sessuale, il nuovo diritto di famiglia, la parità…
E perchè non la cosa più elementare che è quella di rimettere ordine nella legislazione esistente, renderla più semplice, in alcuni casi più chiara, rafforzarla e soprattutto unificarla e farla applicare?
Una carta dei diritti della donna… ? Perchè no? Tutta ancora da fondare. Sì, ma alla base dobbiamo creare griglie di decifrazione di tutti gli interessi e le aspirazioni delle donne, in tutti i campi: un lavoro di largo respiro, ma di tempi lunghi, di fatica improponibile forse al particolarismo di fondo delle donne, un particolarismo, certo, “storico “, ma che spesso ci fa essere pigre e socialmente infeconde. Certo, ma quello che conta soprattutto è introdurre il senso e la dimensione dei diritti della donna al centro delle decisioni economiche e sociali, non è più possibile farci considerare l’ultimo anello della catena, un male necessario…
Un male necessario? Lo sa che sta citando Esiodo, un poeta greco di 700 anni prima di Cristo? Rovesciare questa prospettiva, ci si accorgerà allora che noi possiamo essere protagoniste di una rimessa in causa più profonda del modello di società quale oggi siamo costrette a vivere, senza averlo mai scelto. È in nome di un progresso presentatoci come inevitabile che ci hanno imposto certi beni, forme di habitat, di trasporti, di città, di tempo libero, una cultura…La società che conosciamo è nello stesso tempo opprimente per ciò che ci impone e ingiusta per ciò di cui ci priva. Ma la crisi economica… Sì, certo, a prima vista può sembrare che la difficile congiuntura nazionale e internazionale, la situazione di crisi non sia favorevole allo sviluppo di una politica delle donne e in favore delle donne. C’è invece da fare un’analisi diversa: la società del benessere che finora abbiamo conosciuto ha effettivamente basato le sue possibilità di espansione (e i suoi sprechi) sul lavoro della donna nella famiglia, il lavoro domestico “socialmente necessario” e finalizzato al lavoro sociale cioè ai rapporti di produzione. Infatti, pur nella trasformazione storica della famiglia in connessione con la trasformazione dei rapporti sociali (e cioè di produzione), la nostra società, per organizzare la riproduzione dei rapporti di produzione, si basa ancora sul lavoro domestico della donna nella famiglia, le cui funzioni sono in relazione di corrispondenza strutturale con le condizioni di produzione capitalistica. Ed è per questo che il lavoro sociale della donna fuori della famiglia è considerato come categoria economica complementare (non a caso viene chiamato lavoro extradomestico) e si ha la contraddizione della donna che, pur producendo lavoro socialmente necessario, “non lavora”, è fuori cioè dai rapporti sociali capitalistici, sebbene “viva” in una realtà che in tutta la complessità dei suoi fenomeni è costruita su questi, cioè sul lavoro sociale. In base a questa analisi, l’obiettivo per ora è uno solo (a meno che non vogliamo fare la rivoluzione!): dobbiamo ricercare una produzione più adatta alla domanda delle donne, ai bisogni delle donne e per far questo ci vuole potere, il potere di un movimento organizzato che con la forza della sua mobilitazione imponga la politica delle donne. È una necessità storica.
Si, ma il problema resta sempre quello di tradurre tutto questo in contenuti concreti e strutture di movimento e intanto rinnovare vecchie forme di organizzazione, associazioni, coordinamenti. Io addirittura penso a un sindacato delle donne…
Questo non lo so, varrebbe la pena discuterne tutte insieme e a tutti i livelli. Posso dire solo che gli obiettivi, intermedi o ultimi che siano, della politica delle donne vanno concepiti oltre i limiti delle proprie frontiere nazionali. Donne di tutto il mondo unitevi? Tenendo presente che la donna non è uno stereotipo. In ogni paese si è condizionati da leggi e da costumi spesso molto antichi, da modi di vivere diversi dai nostri e invece… E invece spesso esportiamo femminismo, femminismo eurocentrico, cosi come esportiamo Garibaldi o la rivoluzione francese. Ma mi dica ancora una cosa. L ‘8 marzo ci hanno sgridate perchè non riusciamo a passare dall’Utopia alla Politica e ci hanno chiesto, “Donna in cucina è bello?”. Qualcuna allora ha creduto doveroso fare dichiarazioni pubbliche su torte dagli ingredienti imprecisati (non ne dava la ricetta!) e con l’angoscia di essere una “femminista pentita” (angoscia? ma se il pentimento istituzionalizzato sancisce il riscatto di tutti i Fratelli d’Italia!). E comunque il punto è questo: “Che fare”, “qui e ora”, come è d’uso dire…
Grazie, Signora Ministro, lo so che all’ironia non c’è risposta, ma grazie per avermi evocato il fantasma del potere di una realtà (che fortunatamente è anche la sua) con la quale moltissime di noi hanno perso ormai ogni contatto. Chiedo anche scusa per aver saccheggiato, parafrasato e sicuramente travisato tutto quello che Lei ha detto nella sua relazione a proposito dei consumatori. Ho cambiato il soggetto del discorso, ecco tutto: va da sé che questa conversazione è tutta inventata. Con C.L. infatti ho parlato finora del più e del meno, fra l’altro, con un attacco di irrefrenabile vanità le ho anche detto che forse andrò a lavorare a Parigi e stavo anche per dirle (senza più ritegno ormai) che scrivo con una Waterman d’oro come Virginia Woolf che io trovo noiosa, ma ci siamo dovute salutare. Un vecchio signore, un vecchio compagno le sta rivolgendo la parola. Arrivederci. Resto a guardarla, voglio che dica: “Io sono una donna che ha sempre fatto politica come donna, all’interno di un partito e ora in un governo. Immagino che lo dica in italiano, ma il vecchio compagno non riesce a Capirla. A pochi passi da Madame le Ministre due sindacalisti infervorati nei loro discorsi, sentendo parlare francese si girano e sorridono come due ebeti.