divorzio

tutte per il no meno una

aprile 1974

Il grande interrogativo del referendum sul divorzio, si sa, sono le donne e non perché il 12 maggio saranno in maggioranza a votare ma perché il divorzio tocca l’istituto familiare del quale la donna è il pilastro, relegata costrittivamente nel ruolo di moglie e di madre. Le donne fanno politica nel loro quotidiano. E questa è un’altra ragione per cui il loro atteggiamento di fronte al divorzio è un interrogativo. Anche le informazioni le donne se le passano con una velocità estrema e pur non avendo giornali, né canali televisivi, né luoghi di riunione ufficiali: sezioni, stadi, circoli, bar. Pur non leggendo i quotidiani. Dall’informazione all’azione il passo è breve, le donne hanno fretta, non possono separare il loro tempo così prezioso in momenti pubblici in cui si fa politica e in momenti privati in cui si lavora, si fa l’amore ecc. Così è anche per il divorzio. È capitato in questi giorni che due giornalisti impegnati nella preparazione di un programma sul referendum per la televisione svizzera cercassero di focalizzare il «fermento» dei quartieri romani, soprattutto delle donne, nei riguardi del divorzio. Lo scopo della trasmissione dovrebbe essere quello di portare agli emigrati la voce del significato divorzista. Soprattutto la voce del dibattito di base dei rioni popolari, non quella dei vari Fortuna né quella degli slogans che partono dai vertici.
Programma difficile si sono detti i tivuasti dopo tre giorni di> inattività e angoscia: i quartieri sembravano tacere e nei mercati le donne passavano velocissime sempre in ritardo con il piano di lavoro giornaliero. Poi finalmente, come succede nei fumetti di topolino, si è accesa una lampadina e a uno di loro è balenata l’idea che forse qualche femminista poteva conoscere il vissuto delle donne nei quartieri. Così sono arrivati a Effe e io sono andata con loro a fare visita a Gabriella nel quartiere Torrevecchia. Gabriella è una femminista attiva. È conosciuta da tutto il circondario perché è molto aperta ai problemi degli altri, è piena di vita, generosa; la sua casa è aperta a tutti i bambini che amano moltissimo giocare con lei. Gabriella dice che impara molto dagli altri, soprattutto dalle donne che vanno regolarmente a discutere con lei di problemi comuni: elezioni, aborti, anticoncezionali, lavoro domestico e non, rapporti interpersonali, ecc. Quando Gabriella deve fare qualcosa nel quartiere e ha bisogno di un po’ di ottimismo dice che «il popolo è forte e le donne sono il meglio del popolo» e con questo spirito niente è impossibile. Le discussioni «politiche» dalle case si spostano, seguendo il lavoro delle donne, nei negozi e per le strade. E così anche le programmazioni delle azioni d’intervento. Così si spargono le voci sulle posizioni da prendere. I due tivuasti sono rimasti entusiasti di questa «politica del quotidiano» nel quartiere Torrevecchia. Hanno chiesto di poter filmare il teatro di strada che è già stato presentato una volta in una strada del rione. Spettacolo che ha avuto un’eco molto forte anche se non tutte le donne sono riuscite a vederlo.
«A Gabriè, dovemo cucina la domenica mattina, la prossima vorta facciamolo di pomeriggio» è stata la protesta, e «Organizziamolo meglio perché nella strada c’era umido e i bambini seduti per terra si prendono il raffreddore». «E non facciamolo più quando c’è un dibattito del P.C.I, sul divorzio perché io nun posso veni». «Parliamo anche di divorzio ‘n’artra volta» ha commentato una donna dopo aver assistito alla pantomima sull’eccidio delle 129 operaie nella fabbrica di N.Y. ricordato quest’anno dal gruppo teatrale «la Maddalena». Soprattutto nel quartiere si parla di divorzio in modo serio con tutte le implicazioni possibili che le donne conoscono troppo bene. E anche prendendo posizione per il divorzio le donne sono di una lucidità estrema e colgono l’occasione per mettere a nudo le dinamiche familiari, le strumentalizzazioni fatte dall’alto, l’inettitudine dei loro mariti. «Stando a ‘ste regole dovremmo lascia tutti i mariti» è stato il risultato di una votazione anonima fatta da un gruppo di base sui difetti dei propri mariti a proposito di «piantate in asso vostro marito se…» pubblicato sul n. 2 di Effe. Ogni donna in base a un «difetto» citato nel documento scriveva si o no in un bigliettino che finiva in una ciotola. Solo la lettura finale dei bigliettini le costrinse ad ammettere che il «Piantate in asso vostro marito» non esagerava affatto in difetti. «Ma se li dovemo tene’ per forza, chi se li piglia più, la fregatura l’abbiamo presa una volta. Se tornassimo indietro,..». Eppure in tutto questo le salva un forte senso dell’umorismo che sdrammatizza anche l’oppressione più dura. Le salva la loro vivacità e dinamicità la loro capacità di rapporti umani. «Certo che le cose le dobbiamo dire come stanno, dobbiamo dire pane al pane e vino al vino» ha detto una casalinga parlando del divorzio. Intanto all’arrivo dei due «signori con la pipa» della televisione svizzera la voce nel quartiere si è sparsa in un baleno. «Non dobbiamo fare una brutta figura con i nostri lavoratori» è stata la preoccupazione di una donna. Gabriella ha fatto con il «seguito» televisivo un giro per il mercato per invitare le donne a un confronto in casa sua. Ma il giro organizzativo proprio per questa prassi politica del quotidiano è diventato un momento di vivo confronto politico, una «battaglia per il divorzio» in prima persona. In pochi minuti in tutto il mercato si «urlava» del divorzio. «Ovarola…» «So’ con voi, so’ divorzista» e Gabriella annotava sul quaderno la partecipazione della venditrice di uova all’appuntamento in casa sua.
«Bananara… E come no? A me nun serve, ma po’ servì pe ‘ll’artri». E Gabriella annotava la bananara. «Pollivendola…». «Nun te posso da’ retta adesso… ma ne ripariamo… e come no! E sti svizzeri nun li sfruttassero troppo i nostri che so là». «Verdurara… «Certo che so’ pel divorzio, ce mancherebbe! Però lunedì pomeriggio lavoro, ci mando mia figlia a parla co’ voi».
E Gabriella annota la figlia della fruttivendola. Intanto anche quelle che fanno la’ spesa si fermano e dicono la loro e si impegnano a spargere la voce nella loro zona. «Io lo vorrei butta fori mi marito, ma nun ce va, manco un uovo sa cucinasse e nun lo vo’ nessuno». Dice ridendo un’anziana donna con un grande borsone pieno di verdure. «Certo che sto voto è ‘na cosa seria, non tanto perr divorzio e chi se ne frega, ma perché ne vogliono profitta per date un giro de vite alla democrazia». Lo svizzero vuole intervenire. «Nun te preoccupa’» dice una donna con un bimbo in braccio «che io so’ d’accordo cor divorzio e voto sì» «E te lo prendi in culo!» le risponde un’altra, «nella scheda dovemo mette no perché la – legge già c’è e nun la volerno cancella’». «Mi sa che ci imbrogliano» commenta la donna delusa, «lo fanno apposta pe’ mbroglià». «C’imbrogliano sì se non stamo attente». Al mercato le donne sembrano tutte divorziste e i due svizzeri sono sorpresi, «Meno Cecilia» dice Gabriella.
Cecilia è una donna eccezionale, simpaticissima. Quando si parla di femminismo non vuole sentire ragioni e dice che se in mezzo a noi c’è una femminista questa è lei, con un marito e tre figli maschi grandi, chi più di lei può conoscere la condizione della donna? Quindi dobbiamo tacere tutte. Sul divorzio poi nessuno la smuove: lei è antidivorzista perché dice che Dio nella sua grande giustizia ha dato ai suoi figli cretinagine e egoismo in parti uguali e, visto che è riuscita già a piazzarne due, e spera di sistemare anche il terzo, è terrorizzata al pensiero che con il divorzio glieli rispediscano tutti a casa. Quindi chiedendomi scusa mi dice che nella scheda metterà un no grande così. Io la ringrazio calorosamente e lei va a dire in giro che io sono una gran donna perché anche se qualcuno la pensa in modo contrario al mio sono felice ugualmente. Tutte le donne sono coalizzate nel nascondere a Cecilia che se mette no nella scheda lascerà in piedi il divorzio ma non lo fanno per imbrogliarla. Sono tutte convinte che con i tempi che corrono i suoi tre figli, se non cambiano rotta, anche senza divorzio se li vede rispediti a casa comunque, e che sarebbe anche ora che grandi e grossi come sono imparassero a lavarsi i pedalini