luoghi di donne

via del governo vecchio trentanove

la difficoltà dì reggere una struttura in cui si accumulano troppe contraddizioni, oggi la lotta è per il riconoscimento delle attività politiche dei vari gruppi di donne che possono anche incontrarsi in altri luoghi.

novembre 1982

Parlare della lotta per la Casa della donna di via del Governo Vecchio n.39 di Roma, significa riattraversare il percorso del femminismo italiano dal 1976 ad oggi.
Esiste ormai un’ampia bibliografia sulle date fondamentali di questa lotta, tanto che in questo articolo vorrei precisare o almeno tentare di analizzare il significato, e non la cronologia, di tutta una serie di azioni e di fatti che ad essa si ricollegano. Questo perché, a mio parere, attraverso una simile analisi si riesce a decifrare la storia del mutato rapporto assunto non tanto dai gruppi femministi verso le istituzioni, quanto da queste ultime verso i gruppi femministi. Solo in questa chiave è possibile comprendere lo stato attuale della trattativa con il Comune di Roma, che da più di un anno si mostra preoccupato e incerto nel chiudere questo «dossier», di cui si è assunto l’incarico ufficiale attraverso la visita «in loco» del Sindaco Ugo Vetere.
I gruppi impegnati nella trattativa aspettano una risposta chiara e precisa, ma non solo loro, perché la risonanza nazionale assunta da questo problema nel recente convegno dell’Udi ha fatto comprendere come le donne, che intendono portare avanti una politica di movimento, riconoscono alla lotta del Governo Vecchio tutta l’importanza che essa ha avuto. Forse inconsciamente consapevoli del ruolo politico svolto da questa struttura, i pubblici amministratori tergiversano e temporeggiano nella conclusione di un atto che altrove in Italia, sotto amministrazioni ugualmente «di sinistra» ha già avuto esiti felici.
Forse subdolamente si attendono ulteriori ridimensionamenti e riduzioni di un movimento, che come tutti i movimenti, in un periodo di conclamata «crisi economica» trova grandi difficoltà a superare la morsa di un organizzativismo efficientista con il quale si attentano le libertà sociali. Possiamo anticipare da subito che il calcolo è sbagliato, le donne, abituate da sempre ad un regime di povertà e ad una contrattualità di scarso potere, hanno imparato che i tempi lunghi giocano in loro favore e non rinunceranno con facilità al loro obiettivo, magari utilizzando l’ossessiva ripetitività delle madri che vogliono convincere i figli a lavarsi le mani prima di sedere a tavola.
Comunque che la sede della Casa della donna di Roma sia un obiettivo del movimento delle donne è una certezza facilmente confermabile dalla periodizzazione che tenterò di fare, basata più sulle fasi politiche che sulla cronologia degli avvenimenti. Gli anni che vanno dal ’76 ad oggi a mio parere hanno avuto nella lotta del Governo Vecchio due fasi successive che si ricollegano a momenti diversi della vita del movimento femminista e del movimento delle donne. La confusione frequente tra questi due termini che spesso si incontra negli articoli delle riviste anche specializzate non aiuta affatto nella comprensione di un fatto politico rilevante come l’apparire del movimento femminista in Italia negli anni settanta e nello specifico non rende possibile decifrare certi avvenimenti importanti riguardo la storia della Casa della donna di Roma.
Infatti, quando il 5 ottobre del 1976, il Movimento di Liberazione della donna (MLD) occupò pacificamente i locali che allora erano patrimonio sottosfruttato del Pio Istituto, c’era una differenza notevole tra la pratica radicale che quell’organizzazione, allora federata con il P.R., dimostrava di voler portare avanti e i gruppi femministi ancora profondamente legati alla pratica del gruppo di presa di coscienza e del separatismo. Questo fece si che per quasi un anno quei gruppi, pur dimostrando l’esigenza di una propria sede di coordinamente, non confluissero al Governo Vecchio nel quale si svolgevano attività legate alla vita delle donne, ma indubbiamente intese come un servizio alle donne in campo sociale.
Il movimento femminista in quegli anni (’75-’76) attraversava una fase di grande protagonismo sociale, dovuta alla battaglia per l’aborto e, nello scontro frontale con l’istituzione, aveva raccolto intere generazioni di donne: da quelle uscite dai partiti della sinistra e della nuova sinistra, a quelle che probabilmente stufe del ruolo sociale finora ad esse assegnato intendevano partecipare attivamente ad un discorso di nuova identità collettiva quale era quello che i primi gruppi femministi avevano elaborato negli anni precedenti.
Gli slogan contro i ruoli imposti dal patriarcato e contro il potere del genere e del sesso maschile, la rivendicazione di un’autonomia delle donne nella gestione della loro vita e della loro sessualità, erano un messaggio comune delle donne al di là delle differenze di classe o di età e costituivano l’idea politica fondamentale su cui si moltiplicava geometricamente la crescita dei collettivi.
Era chiaro come fosse impossibile per quei collettivi accettare un luogo delle donne organizzato come distributore di servizi ad un sociale e a delle istituzioni che si mantenevano ferree nella loro considerazione del «femminile». L’incontro fu possibile solo nel ’77, quando da una parte il mutamento di pratica dell’Mld, dall’altra l’esigenza di un luogo di incontro e di dibattito fra collettivi, resero indispensabile il pieno utilizzo del palazzo quattrocentesco, che per quanto fatiscente, aveva tutti i requisiti necessari ad un movimento cosi attivo e cosi presente nella sfera sociale da indire quasi più di due o tre volte all’anno manifestazioni numerosissime per il diritto all’aborto o contro i casi più clamorosi di violenza sessuale.
La prima fase della lotta per il Governo Vecchio ebbe dunque una caratterizzazione più in termini di politica verso l’esterno che di movimento interno di utilizzo di uno spazio per attività concrete e, direi quasi, stanziali, a quell’epoca molto limitate. In questa fase la Casa della donna svolgeva una funzione più di coordinamento e di scambio di informazioni, era il luogo delle assemblee più importanti e degli scontri quasi quotidiani con quei gruppi nuovi di donne che ripetevano al femminile l’adesione al movimento del ’77 ed alle pratiche di lotta che andavano conquistando una grossa fetta del movimento giovanile. La confusione tra gli obiettivi dei vari tipi di movimento: femminista, delle donne, universitario, armato etc, convinsero i gruppi legati alla pratica separatista ad evidenziare una caratterizzazione del Governo Vecchio come luogo delle donne.
In quegli anni le istituzioni, che molto temevano da parte di un centro politico che si era conquistato un così vasto consenso nel sociale, non cercarono mai di colpire direttamente l’occupazione; senza riconoscerla, ma anche senza mai trovare il motivo necessario ad un ‘operazione di polizia. Ad una simile lettura i gruppi reagirono tentando di organizzare alcuni servizi minimali come l’ostello e il bar, e soprattutto continuando l’attività politica non solo rivolta al coordinamento di atti esterni, ma anche dando vita ad iniziative destinate a continuare nel tempo, come la redazione di un settimanale, la radio, le attività seminariali, i centri di documentazione. Al termine di questa prima fase che a mio parere si può datare intorno al ’79, con l’avvio della raccolta di firme per la legge sui casi di violenza sessuale proposta dall’Udi. (Unione Donne Italiane), dall’Mld, dall’Mfr (Movimento Femminista Romano) di via Pompeo Magno, il Governo Vecchio, che ormai aveva alle proprie spalle una storia di centro politico femminista, si avviava a diventare il luogo delle attività culturali, sociali e produttive del movimento delle dorine. L’impatto con il femminismo aveva infatti profondamente intaccato in senso separatista anche le organizzazioni più antiche collegate ai partiti della sinistra, che stavano iniziando il loro percorso verso un’autonomia sempre maggiore. L’Udi infatti già nel congresso del ’78 aveva dato segnali precisi che permettevano una collaborazione più stretta con i gruppi femministi. L’attuale fase organizzativa che vede una profonda similarità tra gruppi femministi e organizzazioni delle donne, per gli stessi problemi da risolvere, fu in qualche modo anticipata dalla vita del Governo Vecchio nel secondo periodo, dal ’79 in poi quando la gestione comune di uno spazio per attività autonome, sollevò il problema delle differenze di pratica tra i gruppi che vi si trovavano.
In questo ultimo periodo la difficoltà di reggere una struttura in cui si accumulavano contraddizioni che avevano la loro origine in un sociale più vasto di quello presente all’interno della casa della donna ha convinto i gruppi femministi ad iniziare in modo sistematico una trattativa con l’istituzione rivolta ad assicurare un riconoscimento politico alle proprie attività.
Di fronte ad una simile richiesta che continua ad essere separatista, in quanto elaborata da gruppi che non aderiscono a nessun partito, il cauto operato del Comune di Roma nell’onorare l’impegno di sostituire al Governo Vecchio un’altra sede per la Casa della donna, lascia molto dubbiosi circa la possibilità di condurre lotte politiche e non solo partitiche in Italia. I gruppi femministi, con tutto lo sforzo dovuto all’assoluta mancanza di mezzi economici, hanno saputo far capo al loro problema delle differenze, i partiti non sanno sciogliere un semplice problema di gestione amministrativa; aveva dunque forse ragione la femminista americana che scriveva: «Dato che il mondo gestito dal potere maschile va così male si è radicata nelle donne la convinzione che se loro avessero il potere il mondo andrebbe molto meglio».?