intervista a maria magnani noja
continua il confronto con le donne che militano nei partiti della sinistra
D – Le femministe, come sai, partono sempre dal privato. Quello che vorrei chiederti riguarda perciò la tua infanzia, il tipo di educazione ricevuta, i rapporti con i genitori…
M – La storia della mia vita è abbastanza semplice. Ho un solo fratello, che ha due anni più di me. Mio padre era impiegato, mia madre casalinga. La mia infanzia è stata caratterizzata soprattutto dal fatto che mio padre è stato prigioniero durante la guerra, cosicché siamo stati allevati da mia madre negli anni più formativi, e dal fatto di aver vissuto intensamente gli anni della resistenza. La famiglia di mia madre era antifascista e questo ha influito molto sulla mia formazione politica successiva.
Mia madre era una donna molto severa, ma ci ha allevato — me e mio fratello — nello stesso modo e mi ha sempre spinto ad avere un mio lavoro, una mia indipendenza economica, anche se chiaramente al momento di scegliere quale strada intraprendere avrebbe preferito che io facessi le magistrali, e poi Lettere. Ma io sono sempre stata abbastanza testarda, e ho voluto fare il liceo, da un lato perché mi piaceva studiare, dall’altro perché l’unica scuola magistrale di Biella era tenuta dalle suore. Poi ho voluto studiare Legge. C’è stato qualche contrasto ovviamente, ma non certo violento. Nel complesso i rapporti coi i miei genitori sono stati buoni. Mio padre è morto d’infarto quando avevo vent’anni. Ho cominciato a lavorare abbastanza giovane. Al liceo davo lezioni ai ragazzini più piccoli, e poi all’Università vendevo libri.
D – Hai intrapreso la carriera di avvocatessa con tuo fratello?
M – No. Me ne sono andata da Biella dopo la laurea e mi sono trasferita a Torino. Ho cominciato a fare l’avvocato prima nello studio di un collega poi per conto mio. Dopo il matrimonio ho tenuto lo studio con mio marito, anche se facevamo lavori separati: lui si occupava soprattutto di diritto penale, io facevo civile, dedicandomi in massima parte al diritto di famiglia. Quando mio marito è morto nel 1968 mi sono assunta anche la sua parte di penalista per un motivo affettivo, perché volevo che il suo lavoro continuasse.
D – Tuo marito dove l’hai conosciuto?
M – Nelle aule del Tribunale.
D – Avete avuto figli?
M – No.
D – È stata una scelta?
M – No, la scelta anzi era contraria. Avremmo voluto avere dei figli, solo che non sono venuti. Avevamo deciso di adottarne uno quando mio marito è mancato, e tu sai che per una donna sola è pressoché impossibile adottare un figlio… Avevo tentato una volta, ma poi il giudice mi ha detto che me lo avrebbe dato al di sopra degli otto anni e un caratteriale… una donna sola non può assumersi l’impegno di allevare un caratteriale… Ti dirò che è una cosa che ha influito abbastanza negativamente nella mia vita perché mi sarebbe piaciuto molto avere un figlio.
D – Al socialismo quando sei arrivata? Tuo marito si occupava di politica? È stata una tua scelta indipendente?
M – È stata una mia scelta indipendente. Mio marito non si occupava attivamente di politica. Io ero sempre stata di sinistra e antifascista e mi sono iscritta al PSI nel 60.
D – Sei l’unica donna socialista in Parlamento. Dopo la guerra ce n’erano diverse. Come mai il partito socialista non ha saputo allargare la sua base di militanza femminile ed anzi ha tnarginalizzato le stesse donne che avevano combattuto nella resistenza?
M – Il partito ha riproposto al suo interno — un po’ come tutti i partiti, ma in modo più colpevole, essendo un partito della sinistra — le logiche di emarginazione che sono tipiche di questa società: le donne sono sempre relegate a dei ruoli abbastanza subalterni, prefabbricati. Si occupano di alcune cose, ma nel momento decisionale sono assenti.
D – A che cosa imputi questo? È forse colpa anche delle stesse donne che si sono ghettizzate in una commissione femminile?
M – Direi di no, lo imputo proprio a certe logiche, a certi meccanismi di emarginazione che il partito ha mutuato dalla società. In fondo il partito socialista, in particolare con il centro sinistra, non si è più posto come momento di differenziazione della società, di contestazione, come fa invece oggi. E nel momento in cui si è integrato, non solo a livello di governo, ma anche a livello di società, ha finito col riprodurre logiche che sono abbastanza emarginanti. I partiti sono fatti storici e risentono del momento storico in cui operano.
D – Vedi un cambiamento in questi ultimi tempi? Dall’ultimo congresso è uscito qualcosa che faccia sperare in una trasformazione?
M – Dall’ultimo congresso non è uscito molto. Anzi direi che c’è stato un comportamento abbastanza emarginante, volutamente emarginante, nei confronti delle compagne. Ultimamente però è cambiato l’atteggiamento delle donne socialiste. Oggi c’è maggiore combattività, c’è una grossa volontà di contare.
D – Come pensi che possa essere portata avanti questa battaglia? Oggi esiste una Commissione femminile. Ho sentito parlare della costituzione di un movimento autonomo femminile.
M – Si parla di un movimento autonomo femminile. Io ho qualche perplessità. Da una parte credo che un movimento autonomo abbia dei vantaggi come quello di poter essere presente in modo più diretto tra le masse femminili, di poter essere un momento di maggiore aggregazione, di essere anche un momento di elaborazione autonomo. Quello che mi lascia perplessa è il fatto che un movimento autonomo potrebbe significare che il partito si scarichi completamente di tutta la questione femminile. Temo che ci si dica: avete il vostro movimento: pensateci voi, noi pensiamo alle «cose serie»… Io credo invece che debba essere il partito, in prima persona a farsi carico dei problemi delle donne, in tutta la sua strategia, in tutta la sua elaborazione politica, anche perché se le scelte politiche sono fatte tenendo presente in modo centrale la questione femminile sono scelte di un certo tipo, se invece le scelte si fanno dimenticando la questione femminile sono scelte di un altro tipo. Credo siano molto più di sinistra le scelte che vedono come uno dei nodi centrali la questione femminile… l’alternativa si fa in gran parte sulla questione femminile.
D – E la Commissione femminile, così come è strutturata oggi, non ha esaurito i suoi compiti?
M – Non credo abbia esaurito i suoi compiti, in quanto un momento di elaborazione autonoma delle donne è giusto che ci sia. Un momento in cui le compagne elaborano linee politiche che poi il partito dovrebbe assumere come sue proprie.
D – Ma è sempre un modo per ghettizzare le donne…
M – Lo sarebbe se le donne si limitassero a lavorare solo nella Commissione per i problemi delle donne. È importante invece che le donne siano presenti anche nelle altre commissioni di lavoro.
D – Ma questo è quello che auspicate. Non è quello che avviene oggi.
M – È quello che auspichiamo, anche se abbiamo delle donne inserite in altre commissioni, abbastanza poche a dire il vero.
D – Alcuni anni fa la Commissione femminile si è autosciolta. Cosa è successo?
M – Quando la Commissione femminile si è autosciolta si è visto che le donne non solo non venivano maggiormente valorizzate, ma dei problemi delle donne il partito non se ne è più occupato. Quindi per il momento non sciogliamo niente. Cerchiamo di tenerci degli strumenti, magari limitati, ma sempre strumenti di lavoro.
D – E il problema delle quote? Nel partito socialista francese, le donne ad un certo punto si sono contate ed hanno visto che rappresentavano il 10% degli iscritti al partito. Hanno chiesto ed ottenuto una quota del 10% in tutte le direzioni, i comitati, Oggi mi sembra siano arrivate al 17%.
M – L’adozione di un sistema di quote è stato accennato in Comitato Centrale, sollevando un mare di discussioni. Quando l’ho sentito mi si sono rizzati i capelli: ma come, facciamo gli invalidi civili della politica che ci danno un sistema di quote? Poi si è creata una certa diversificazione… le compagne milanesi e torinesi sono d’accordo. Ed io mi sono un po’ convinta in questo senso, pur rifiutandolo in principio. Se questo è il mezzo per effettivamente contare, allora prendiamocelo. Non mi piace, lo trovo sbagliato, lo rifiuto da un punto di vista concettuale, però se questo può dare la possibilità di avere un numero più nutrito di donne nel Comitato Centrale, nella Direzione ecc. allora adoperiamo tutti i mezzi…
D – Come parlamentare, che tipo di difficoltà hai incontrato nei rapporti con i tuoi compagni di partito e con gli altri deputati in genere?
M – Di difficoltà ne ho incontrate come ne incontrano un po’ tutti all’interno del PSI che come sai non è un partito molto organizzato… Le donne devono sempre essere un po’ più brave degli altri, in tutti i campi e quindi anche nel partito.
I miei rapporti con i compagni sono buoni. ‘ Non è che mi facciano sentire il fatto di essere donna, però mi accettano in quanto eccezione. C’è sempre nel partito, come in fondo nella società, questo fatto un po’ aristocratico di fare riferimento a una, due, tre donne che sono brave e sono considerate dei compagni e vengono trattate senza nessun tipo di discriminazione… ma di operare poi una discriminazione nei confronti delle masse, e quindi delle altre donne nelle singole sezioni.
D – E all’interno della Camera?
M – Direi di no. È vero che io ho anche cercato di occuparmi non soltanto dei problemi che attendono in modo più diretto alla condizione della donna, consultori, aborto, riforma della assistenza, ma mi sono occupata anche di altre cose: ‘ riforma carceraria, riforma del codice di procedura penale.
D – Di solito le donne che fanno politica nei partiti tradizionali si adeguano a dei modelli di comportamento maschili, si dimenticano del loro vissuto, del loro privato.
M – Credo che le donne nel momento in cui si occupano di politica debbano farlo in modo diverso da quello degli uomini. Guai se facendo politica dimentichiamo di essere donne e dimentichiamo tutti i problemi che hanno le masse femminili, guai anche se facciamo politica mutuando i modelli maschili. La donna deve cambiare anche il modo di gestire il potere, la qualità del potere. Se non portiamo avanti cose di questo genere quando facciamo politica, se non lottiamo per cambiare questa qualità del potere, per cambiare il sistema, allora penso sia inutile essere donna o uomo.
D – Sulla questione dell’aborto, anche se il partito socialista ha portato avanti la posizione dell’autodeterminazione della donna, tuttavia in un primo momento era disposto a negoziare e noi femministe abbiamo avuto l’impressione ancora una volta di essere strumentalizzate e che la presa di posizione finale fosse più dovuta a giochi di potere che ad una presa di coscienza all’interno del partito.
M – Che ci possano essere state delle strumentalizzazioni, questo può anche essere vero. Credo però che il partito abbia veramente creduto a questo fatto dell’autodeterminazione della donna. Il partito ha avuto un certo shock dal referendum e si è accorto di quale salto di qualità le donne italiane abbiano fatto. Come socialisti neghiamo che la società possa mettersi nei confronti dell’individuo in posizione autoritaria, paternalistica, come verrebbe di fatto a porsi una commissione medica, se avesse potere di decisione. Non credo sia una strumentalizzazione proprio perché il nostro concetto del rapporto individuo-società è un concetto che vede un momento di armonizzazione tra individuo e società, e non un momento di prevaricazione autoritaria da parte del sociale nei confronti dell’individuo stesso; ed è questo un concetto che non riguarda solamente le donne. E poi le donne del partito hanno spinto molto affinché non si cedesse sull’autodeterminazione della donna. Ma certo non è sufficiente fare una battaglia sola e non collegarla a tutto il resto…
D – Come ti poni nei confronti del movimento femminista, delle sue tematiche sulla divisione dei ruoli, sulla famiglia, sulla sessualità, sull’oppressione uomo-donna?
M – Mi pare ci sia una grande differenziazione tra femministe e femministe. Per esempio io sono contraria al. gruppo per il salario alle casalinghe. Come socialista chiedo che il problema del lavoro della donna sia uno dei nodi centrali, anche perché credo che il giorno che si dovesse arrivare a una piena occupazione effettiva, maschile e femminile, la società debba automaticamente cambiare, anche i rapporti uomo-donna. Penso quindi che questo rimanga uno dei punti che dobbiamo rivendicare con molta forza. Ora le femministe accentuano meno questo tipo di problemi, mettendo molto di più l’accento sull’aspetto del privato, non soltanto partendo dal privato, ma limitando le loro battaglie al campo della sessualità e della famiglia, senza poi aprire un discorso sul sociale.
D – Secondo noi il privato è il punto di partenza di ogni nostra analisi. Non si può fare politica senza aver prima preso coscienza…
M – Questo è verissimo, sono d’accordo ed è anche vero che molte cose sono cambiate in questi ultimi tempi nel movimento femminista.
D – Il femminismo è in evoluzione, come è in evoluzione la società. Diventando un movimento di massa dovranno necessariamente cambiare alcune cose…
Siamo vicine alle elezioni. Come pensi si comporterà il partito socialista nella scelta dei temi da portare avanti e nella formazione delle liste.
M – Non so come il PSI farà le liste, mi auguro si dia maggiore spazio alle donne. Ma il problema non è di quantità. Non avrebbe nessun senso chiedere il 50% dei posti alle donne. Il numero è importante, ma quello che sarebbe veramente importante è il salto di qualità nella presenza e nella capacità di incidere veramente nel momento decisionale. Quindi non tanto spazio di candidate, ma candidare delle donne con effettiva possibilità di riuscita.
D – Se avranno luogo le elezioni circoscrizionali, non credi che questo possa essere l’ambito in cui veramente le donne possano contare e dare un contributo positivo?
M – Le donne si impegnano molto nelle circoscrizioni e nei quartieri. Ho notato che la donna socialista è meno presente in sezione, ma poi è presente nell’attività di quartiere. A volte in sezione, in federazione i discorsi sono molto astratti, mentre nel lavoro di quartiere la donna si scontra tutti i giorni con l’organizzazione, con problemi pratici ed enormi che incidono sulla sua vita, sul suo modo di essere. Sono problemi suoi. E nei quartieri, nelle circoscrizioni veramente si può tentare di fare politica in modo diverso. Ad esempio a Torino, nel quartiere di Le Grazie le socialiste lavorano insieme alle femministe per la costituzione di un consultorio.
D – Vorrei tornare per un attimo al tuo personale. Se tuo marito fosse vissuto e tu avessi avuto dei figli, come desideravi, credi che avresti potuto continuare ad occuparti di politica in modo così attivo?
M – Avrei fatto politica lo stesso. Personalmente non posso dire di aver sentito l’oppressione della famiglia. Con mio marito ho avuto rapporti pienamente paritari.
Direzione Nazionale: nessuna donna
Comitato Centrale:
3 donne effettive su 147
9 donne supplenti su 70
Altri dati non sono disponibili essendo ancora in corso i congressi regionali