università di roma

le donne scendono in lotta

giugno 1976

fino ad oggi le donne non avevano mai avuto un posto all’Università, che fosse, luogo d’incontro comune per i singoli collettivi femministi universitari per tutte, da cui fare sentire che esistiamo anche noi, studentesse e lavoratrici universitarie. Da tempo discutevamo della possibilità di trasformare il luogo in cui dovrebbe essere- creato un asilo nido in un Centro per la donna. Le lavoratrici dell’Università stesse nel portare avanti la loro lotta per l’asilo nido, non rivendicavano solo un luogo fisico in cui «depositare» i figli, ma in cui ci fosse intanto la possibilità di controllo da parte delle donne sulla gestione (verificare soprattutto che tipo di educazione e di rapporto si stabiliva con i bambini) e partendo da quello farne uno spazio per le le donne stesse.

In quest’anno è cresciuto un po’ in tutta l’Università il nostro Movimento, che ora comincia a fare sentire la sua presenza. Un momento importante è stata l’occupazione dell’aula D di Chimica, partita come un’assemblea permanente, ma con l’obiettivo di tenere l’aula e procurarsene l’agibilità politica, fino a che non sarà data la divisione VI. Vogliamo usare questa come forma di lotta e perciò non essere anonimamente presenti nelle ore in cui l’aula è aperta agli studenti, ma cominciare a organizzarci rispetto all’esterno e rispondere collettivamente ad esigenze fin qui affrontate da ognuna di noi isolatamente.

In questi giorni si è molto discusso di quello che il Centro .per la donna dovrà diventare, sul perché occupiamo; abbiamo avuto alcune incertezze all’inizio, dovendo inventare un po’ tutto, l’organizzazione delle giornate, come proseguire la lotta, da cosa partire. Ma il confronto ha tirato fuori le idee e le proposte.

Si è parlato in questi giorni del rapporto tra noi e il nostro corpo, della medicina per la donna, dell’ignoranza in cui spesso viviamo, e dell’ignoranza della scienza stessa che se non è fatta a misura d’uomo, tanto meno tiene conto delle esigenze e delle conseguenze che la donna subisce. Un’esperienza pagata duramente l’abbiamo fatta con gli aborti, praticati ancora con metodi vecchi oltre che in condizioni di clandestinità e disagio tali da diventare spesso causa di traumi se non di morte violenta. Abbiamo discusso dell’esperienza dei gruppi di self-help che dimostrano la possibilità di (una) conoscenza scientifica da parte delle donne della propria fisiologia, attraverso uno studio collettivo su se stesse; un’esperienza che ribalta l’esclusione di anni delle donne come soggetto dalla ricerca scientifica, nella forma di partecipazione in prima persona e considerando come «fine» la donna stessa.

È questo un modo concreto di cominciare a far sentire la nostra voce anche nel più vasto campo della cultura e di incidere sui suoi contenuti, che sono stati uno strumento storicamente fondamentale della nostra oppressione. Partendo dalla nostra condizione di studentesse vogliamo cominciare a creare conoscenza, a non subire più il tradizionale rapporto donne-cultura. Dalle discussioni che abbiamo sviluppato tra di noi abbiamo -messo in evidenza da cosa partire e quindi l’esigenza di organizzarci in futuro intanto in un gruppo che studi i vari metodi di contraccezione, in un modo tale che la conoscenza tecnica si accompagni alla critica dei tradizionali modelli culturali in campo sessuale. Un altro gruppo dovrebbe organizzare i viaggi a Londra per le donne dell’Università. Inoltre vogliamo mettere su, per ora un giorno a settimana, un «asilo in cui i bambini si incontrano con un gruppo di animazione formato da compagne. In queste giornate sono stati messi alla luce anche alcuni problemi: la partecipazione all’occupazione non è stata quella che ci aspettavamo, infatti. Ma l’esternità di molte compagne rispetto a questa che era una nostra scadenza, preparata e discussa insieme, non è dipesa soltanto dal fatto che siamo a maggio e ci prepariamo tutte agli esami più o meno afiannosamente. C’è un pròblema che sta a monte e che è stato criticato da diverse compagne ed è il rapporto che per alcune di noi manca tra l’esperienza di piccolo gruppo e la esperienza «collettiva». Alcune compagne vivono come un’esperienza fine a se stessa, quella del piccolo gruppo, e non riescono a legarla a momenti più vasti di presenza nel proprio ambiente di vita (di studio o di lavoro oltre che nel quartiere). In questo modo il piccolo gruppo diventa un ghetto più o meno rassicurante, e non un luogo di presa di coscienza che trova il suo sbocco necessario in un’azione di trasformazione della società stessa. Noi vogliamo la valorizzazione totale della donna, quindi anche come forza attiva nella società, come soggetto politico e lo stiamo dimostrando. Gli strumenti tradizionali che usiamo, l’occupazione, l’assemblea, li riempiamo di contenuti nuovi e li finalizziamo alla difesa dei nostri interessi. Non vogliamo più delegare l’azione politica, ma esprimerci direttamente come movimento delle donne, come nuovi soggetti storici, come nuova forza sociale che cerca un suo spazio in un fronte di forze politiche e sociali di sinistra.