ARTE

un alloro tutto per sè

giugno 1982

la femminilità trionfante ha infervorato molte pittrici: accanto alle superbe vendicatrici dipinte dalla gentileschi affiorano sulla tela diverse costruzioni ideali…

 

La Storia

Quella più vicina: il movimento degli anni sessanta ed il tentativo di documentarla e di trasmetterla come patrimonio di tutte le donne e non solo delle donne. ’’Fundi” la storia di Ella Baker filmata da Joanne Grant. Fundi è una parola che deriva dallo swahili: indica un individuo che in una comunità esercita un dato mestiere che ha imparato con l’aiuto degli altri e lo trasmette così in modo non istituzionale. Il messaggio della militante negra Ella Baker era semplice e chiaro: impara dagli altri, trasmetti ciò che impariamo, combatti per un mondo giusto e libero. Anche una storia del movimento nonviolento negli USA visto dall’interno, nelle sue contraddizioni, fuori dalla retorica del sacrificio.

Quella più lontana: ricostruita minutamente attraverso interviste, ricerche di luoghi e di immagini, contro il tempo che sembra inghiottire/disperdere le tracce, validamente coadiuvate dalle amnesie-rimozioni dei libri degli specialisti, quando si tratta delle lotte delle donne. A volte però resta un qualcosa, come un’aura che emana da scritti o da foto spinge altre donne a cercare, a capire, a far rivivere, Così Marie Bardischewshi e Ursula Jeshel sono partite dalle immagini di Tina Modotti, fotografa e rivoluzionaria degli anni trenta e attraverso un pedinamento metodicQ, sicuro sin troppo di poter arrivare allo scopo, hanno ripercorso gli itinerari, gli incontri, gli amori di questa travolgente italiana che partecipò da protagonista ad avvenimenti come la guerra civile spagnola e ad esperienze come quella della Lost Generation americana, per morire quasi in modo emblematico in un taxi che la portava in un’ultima corsa attraverso Mexico City.

Quella impossibile i cui esili fili si annodano e spezzano in un continuo rimando al presente nel gioco dell’evocazione e dello scacco esistenziale che la morte pone ad ogni tentativo di far riaffiorare il passato.

Storie di donne, storie di donne e dì uomini.

Storie di donne sole quelle di Libane De Kermadec, tragicamente sole come nello splendido ’’Aloise” dove Isabelle Huppert e Delphine Seyrig si danno il cambio nell’interpretare una differenza che diviene a poco a poco follia e non ritorno. Sole ma con ironia, fantasia e coraggio le due donne sole ma non troppo, una madre fotografa ed una figlia che dovrebbe andar via di casa ma forse non lo farà, del ’’Petit Pommier ’ ’ sempre . interpretato da Delphine Seyrig e realizzato per la televisione francese. Sole, anzi separate, le donne del movimento femminista ironicamente ed affettuosamente messe in scena in ’’Mersonne ne m’aime” dove si narra delle indagini compiute da un commissario (Michel Lonsdale in parodia di se stesso) per la misteriosa uccisione di Brigitte de Savoire e della sua cosmica confusione di fronte alla realtà ed alla logica femminile per lui ormai incomprensibili.

Donne sempre tese al confronto, al dibattito con gli uomini che sono sempre al centro dei nodi affettivi e sociali che devono essere sciolti nei film della signora del cinema ungherese: Marta Meszaros.

E’ rispetto agli uomini che il destino delle donne si compie, quando Juli in ’’Nove mesi” decide di lasciare Janos e tenersi il figlio che questi le ha dato, Barbara ritrova le sue lontane radici polacche in Marek che al termine del viaggio abbandonerà per tornare alla sua quotidiana routine di famiglia. Ma l’intensità della comunicazione tra le donne è altissima, nei gesti, negli sguardi nei legami che sono legami di ’’Adozione” come nel film omonimo o quasi di identificazione come il ”Les héritierès” l’ultimo film di Marta Mé- szàros nel quale Silvia, che è sterile, chiede all’amica Irene di concepire un figlio con suo marito nella cornice dell’Ungheria borghese ed un po’ decadente dell’anteguerra Irene è povera ed ebrea. Quando il gioco delle parti rischia di saltare con un altro figlio concepito da lei e dal marito di Silvia, questa, che potrebbe farlo, non lo salverà dalla deportazione in Germania.

i giovani, i vecchi

Le società più avanzate economicamente sembrano anche le più attente ai problemi dell’adolescenza sembra quasi che sia più difficile divenire adulti dove l’infanzia può durare più a lungo. Qualche volta in realtà non ci si re- sce, come racconta Christina Olofson in ’’Soltanto un bambino”. C’è chi decide di avere un figlio sperando che questo le dia un ruolo sociale, la garanzia di una casa propria, di un lavoro. Il viaggio è poi sempre sinonimo di educazione sentimentale anche quando si compie con lo zaino in spalla tra treni ed autostop come fa la protagonista confusa e giovane di ’’Inter Rail” di Birgitta Swensson. Della stessa autrice un remarke non nostalgico dell’adolescenza negli anni ’60 in ’’Maggie” e dell’olandese Barbara Meter il racconto di una crescita durante la guerra, lo sguardo sempre più adulto e sempre più critico di una bambina su un ambiente autobiograficamente descritto dall’autrice in ”La distanza delle cose vicine”. In ’’Casa Paradiso” di Gunnel Lindblom sono due anziane amiche, a riflettere nella luce morbida dell’estate svedese su tre generazioni di donne e uomini del loro paese.

Colpisce, scorrendo la biografia dèlie maestre della pittura, il legame tra certi episodi della loro vita e le consuete trame dell’esistenza di ogni donna. La loro dedizione all’arte è, infatti, connessa non solo con la ricerca di una pianificazione dell’attività professionale in equilibrio con il ruolo domestico, ma lavoro e famiglia sono i poli tra i quali si alternano bisogni e desideri: conflittualità tra ’’pubblico e privato” che si rivela anche nella rappresentazione di sè perchè questa tradisce, pur nella canonica ufficialità degli autori- tratti, flussi di tensione affettiva oltre alla necessità di conferme narcisistiche e costruzioni ideali.

Infelicemente sposata ad un libertino spendaccione Elisabeth Vigée Lebrun, in un famoso autoritratto ispirandosi alla Madonna della seggiola di Raffaello, stringe tra le braccia la sua bellissima bambina, certa di catturare lo sguardo dello spettatore anche nelle vesti di giovane e tenerissima madre. “Il giorno della nascita di mia figlia non avevo potuto lasciare l’atelier, stavo lavorando…durante un intervallo mi presero i dolori” ricorda nei ’’Souvenirs”. Arcangela Paladini morì di parto. Lavinia Fontana ebbe tra il 1578 e il 1595 ben undici gravidanze; le rimasero però solo tre figli. Davanti allo specchio, in mano la penna, Rosalba Carriera confidava al suo diario: “Il mio impegno che troppo mi occupa ed un naturale assai freddo mi hanno sempre tenuta lontana dagli amori e dai pensieri di matrimonio ”. E in risposta all’impertinente Rapparini che l’avvertiva che oltre Venezia esistevano mondo, uomini e pane Rosalba puntualizzava: “deve essere certa che sò benissimo che anche fuori dalle Lagune c ‘è mondo, huomini e pane, ma che m’accordo ai voleri del cielo; chè li miei viaggi siano al tavolino e che mi contenti di poco pane; chè in quanto agli huomini creda questa gran verità che non c’è cosa del mondo che meno mi dia pensiero” e conclude “non accetterei nemmeno il signor Rapparini se non considerassi in lui la metà della signora Margherita”. Tanta dedizione al pennello e alla tavolozza merita un premio e Rosalba se lo concesse volentieri dispiegando per sè un piccolo trionfo: sul capo mise in età avanzata foglie d’alloro.

Cosi fece pure Artemisia nell’autoritratto conservato a Palazzo Corsini a Roma dove si mostra incoronata d’alloro alle prese con un volto maschile. Anche sulla carta oltre che sulla tela si sono celebrati i fasti della donna di genio per mano di Madame de Staèl che scomodò trombettieri per l’apparizione della sua scintillante Corinna tra drappeggi, lire e pergamene e non è un caso che a dipingere M.me de Staèl, una delle donne più ammirate del suo tempo, nelle vesti di Corinna, provveda l’idolo Elisabeth Vigée Lebrun.

Con la stessa grazia di Rosalba Carriera e con la stessa decisione di Artemisia Gentileschi le donne non hanno mancato di provvedere ad autoincen- sarsi anche in letteratura:

“Non conosciamo mai la nostra altezza finché non ci chiedono di alzarci e alloro.se fedeli al progetto la nostra misura tocca i cieli” scriveva Emily Dickinson che liricamente provvide ad offrirsi una gran quantità di corone e titoli regali. Mentre Christina Rossetti innamorata chiedeva: “Innalzatemi un baldacchino di seta e piume, dipingetelo di vaio e porpora, scolpitevi colombe e melagrane e pavoni dai mille occhi, decoratelo di grappoli d’oro e d’argento, di foglie e di fiordalisi… “

 

“innalzatemi
un baldacchino
di seta e piume,
dipingetelo di vaio
e porpora, scolpitevi
colombe e melagrane
e pavoni dai

mille occhi…”

 

La femminilità trionfante ha dunque infervorato molte delle nostre pittrici. Il tema della donna famosa affascinò per esempio Angelica Kauffman che guardando indietro nel tempo scoprì motivi di ispirazione nella vita di Cornelia come di Cleopatra (”le sue eroine sono lei stessa” notava Henry Fuseli). Ma ancora prima del Settecento a popolare le tele delle artiste sono figure di donna eccezionali, frugate le fonti della storia antica, le cui memorabili gesta hanno suscitato curiosità ed ammirazione tra le maestre dell’arte figurativa forse perchè le une come le altre alle prese con un destino particolare, fortunosamente scampate al ruolo sociale loro assegnato. Così oltre agli autoritratti rimandano riflessi delle pittrici come se fossero altrettanti specchi, le immagini dei personaggi femminili da essa dipinte.

Sono Betsabea, Giuditta, Susanna, Lucrezia, Maddalena le eroine scelte da Aremisia Gentileschi e Madonne, Sibille, Giuditte, Maddalene, Porzia e Timoclea le preferite da Elisabetta Si- rani che dona loro dolci espressioni idealizzate in contrasto con le fiere vendicatrici di Artemisia e la sua sensuale Maddalena poco convinta del suo ruolo di penitente umiliata.

Accanto a tante spirituali Madonne con bambino, soggetti profani quindi anche per la romantica Elisabetta: una Timoclea che getta il capitano nemico nel pozzo e Porzia si mostra nell’atto di ferirsi una coscia per dimostrare a Bruto, il marito, la sua capacità di vincere il dolore.

Esaltare la femminilità eroica come il desiderio di gloria non era una semplice debolezza. Nasceva dall’esigenza di essere riconosciute e, del resto, l’eccezionaiità della loro esistenza le portava necessariamente a concepire e ad identificarsi in grandi personalità, lontane dalla banalità quotidiana.

Elisabetta e le altre non furono mai donne se non nella innaturalezza del prodigio. La femminilità eroica troneggia ma non rivoluzionaria, in questo vicina alle scelte e alle posizioni delle nostre pittrici; per farsi accogliere dal mondo artistico di cui non facevano parte e poterne da protagoniste seguire i tracciati, accettano e rispettano le sue norme, vi primeggiano e si conquistano un posto a parte, anche loro come le donne illustri varcano le porte del tempo inscritte nel libro della storia come un caso. Eccezioni ma non ribelli; Sofonisba Anguissola per prima, come poi-Lavinia Fontana ed Elisabetta Sirani ed in seguito Rosalba Carriera penetravano e profanavano regni stranieri ed ostili senza derogare dalla loro compostezza esteriore, esemplari modelli anche delle più tradizionali e conclamate virtù femminili. Dato istintivo che più le lega è, forse, questa capacità di rendere commensurabili la puntuale soddisfazione agli imperativi della vita quotidiana connessi alla loro condizione e le tensioni proprie di un’attività creativa. Esemplari madri di famiglia, grandi lavoratrici, zitelle benpensanti, signorinette pudiche. Curiosamente ci vengono alla mente i salti mortali che le scrittrici della prima narrativa femminile hanno imposto alle loro eroine, proiezioni di sè e insieme delle loro devianti fantasie, (valgano come esempio le gotiche damigelle di Mrs. Radcliffe), costrette a conservare dopo perigliosi viaggi abiti a posto e rispettabilità.

A nulla sono valse le gradevoli eccitazioni dell’avventura, nè l’incontro- inseguimento da parte di torvi quanto affascinanti uomini fatali: le intrepide fanciulle della Radcliffe passano sotto la furia di spettrali burrasche portandosi dietro il loro bagaglio di educazione e buonsenso senza mai rinunciare o tanto meno perdere di vista la stabilità formale e morale. I sensi sonnecchiano quieti e non sono disposte a lasciarsi scalfire il cuore le spericolate girovaghe, concentrate come sono a piazzarsi in primo piano sulla scena del racconto, a superare ostacoli e a raggiungere la vittoria finale.