poesie
donna
Implacabile donna ravviata
ritornata fusa estatica
formata dalla vista
come nessuno ha merito
al maturare di un frutto
Ignoro io stessa
la tua essenza
e il tempo che ti muta
e la lingua che ti intende
ti scruta di percuote
la bocca di questo mattino
che ti versa nel giorno
nella sognatrice essenza
del tuo luogo di pena
Occhi disegnati
Essere donna al calore del giorno
mordere le castagne
frutto del tuo seno
è adorare la vita al suo nascere
E forse ogni sterilità
dona molli ombre
e carne e bruciore di metallo
e fantasmi al tuo grembo
infinita pianura
profonda immaginaria
tremante terra
radura di innocenza
contatto d’inferno
dove anche la tristezza
conta la noia
e inaugura una nuova” ‘speranza
nella tua miseria
Una volta ancora proverai
la leggera limpidezza
una figura orlata di vento
carezzata di silenzio
distesa di assoluto
dissimulato piacere
Prima inventata
guizzante vergine di natura
Tilde Romeo
sera
Che deserto questa casa
senza volti!
I giochi dei bimbi sono muti.
Le ore scandite dalla tecnica
indicano
fredde immagini
Mi abbandona
questa giornata piena di avvenire.
Ludovica Cantarutti
il nascondiglio
Una mano in tasca:
una manciata di sogni
serrati in silenzio.
Mio testimone, questo silenzio,
corre
con i miei passi e la mia ombra,
come un’anima di carta
allegra in esili fantastici.
C’è un epitaffio senza senso
per il mio silenzio,
un amore incompiuto,
un esilio sicuro.
Le albe livide
bagnate di nuvole
vagano sperdute.
Nessuna traccia
di sentieri battuti,
di coste spumeggianti:
l’arena
bagnata di lacrime
tace al tramonto,
anch’essa solitaria
Ludovica Cantarutti
il mio dolore diventa coraggio
Molti giorni passati come l’acqua
e ancor meno
scorsi via senza lasciar traccia
Molte notti strizzando gli occhi
dal dolore
arrabbiate per la solitudine
impaurite dal buio
e dalle mani di un uomo
umiliate dallo splendore del mattino
che sorge
noi così squallide timorose ignoranti
Molti giorni infine a pensare
la storia passata e quella presente
con la testa frastornata più che mai
con le mani nervose più di sempre
donne sole arrabbiate in una gabbia
Molto tempo
continuare a vivere
a pensare il timore
che diventa coraggio
l’ignoranza che diventa
una nuova coscienza
squallore per una nuova e piena vita finalmente nostra.
mio pianto è da battaglia dalle lacrime fioriranno spine e non rose
Voglio spezzarmi senza pietà
voglio accusare ed accusarmi
Scende un fiume
che infrange argini di secoli
argini di schiavitù
Non voglio più tradirmi
né essere rifiutata.
Barbara Fagorzi
lungo righe parallele
Un bisogno aspro
tira le mie dita
l’ansia scivola
in una trasmissione di segni
come un riprendere di pienezza
Ora con il distacco inconsapevole
con la lontananza della certezza
richiudi i gusci di una conchiglia
A spirali si volge la mia mente
lungo righe parallele
spezzate dalla certezza
piegate
con dolorosa estensione
si riconciliano
alla quotidiana lotta di vivere
Questo ebbro bisogno di parole
che le urie sulle altre
me le fa accavallare
che fanno sentire chiuso
un periodo di vita
che danno sfogo
allo strappo doloroso
delle mie fantasie
si accavallano come lune turbinanti
come sogni impazziti
Riposo
è giunta l’ora
giunto il fine del lungo ed agile
rettilineo
sta a noi
affrontare i gomiti e le anse
le piene curvature
dei nostri colloqui
Finito l’abbandono
al dolce conoscersi
Ginevra Malagoli
immagine di Venezia
O Dio, che sorgi
dai merletti antichi
e ti espandi
nei muschi avidi
e sinuosi,
ci sorridi di onda in onda
fino a quando i lampioni
delle calli
giocano a rimpiattino
sulla soglia dell’aurora.
Poi lasci il tuo odore
di mare e di immensità
al primo sole
di un mattino veneziano.
Ludovica Cantarutti
ulrike e le altre
Se anche Ulrike si è uccisa
quanto lenti
i momenti
e crudeli
dovettero caderle
sul petto
e quanto gravide di scherno
dovettero essere
le frasi
che il potere sgocciolava.
Chiedetelo a Petra,
ai tonfi della sua fontana.
(una ragazza sarda ama il mare).
Se anche Ulrike si è uccisa
quanto sforzo
deve aver singhiozzato il suo povero corpo
a contenere la rabbia,
e quanto dovette annaspare
la sua voce per non riuscire più
che ad evocare suoni.
Chiedetelo a Franca,
a Maria Pia Vianale,
cosa vuol dire
lacerarsi le braccia con le unghie.
Se anche Ulrike si è uccisa
quante volte
si sarà rannicchiata sul suo corpo
e quante frasi
stroncate sul nascere non videro la luce.
Chiedetelo a Giorgiana
alla sua morte pallida.
(una ragazza sarda sul selciato
dalle profondità di sé in qualche
modo ancora grida).
Se anche Ulrike si è uccisa quanta disperazione rabbia gioia e ribellione
dovranno esplodere…
Chiedetelo alle donne,
a tutte le donne.
(una ragazza sarda
vuole vivere).
Se anche Ulrike si è uccisa
quanto a lungo dovettero echeggiare
e quanto ciechi
dovettero sbattere sui muri
i fervidi rosarii di violenza
le mani grasse e placide
degli uomini.
Chiedetelo a Rosaria
e l’ampio sguardo freddo
non potrà trafiggere
tutti i suoi carnefici.
(una ragazza sarda
ha un padre).
Se anche Ulrike si è uccisa
in quanti dovettero stancarla
ballandole dentro
nel cervello nell’utero
percorrendole folli
e senza mai pietà
tutte le vene.
(una ragazza sarda
sale sul tetto del suo fabbricato
e si lascia cadere).
Oria
come un’uccello
Amore l’esaltazione di un attimo
trovato tra i fiori, un poema lungo
di storie sgretolate tra i sogni,
un soffio sul viso, l’immagine calda
di un giorno infinito, amore l’aria
leggera dentro fredda come la morsa
del mattino, come l’atrocità dell’alba,
amore parole che rotolano
che scivolano
tra le carni, incise come volti sacrali
scolpiti dal cielo, dalla pioggia, amore
come un campo maturo, come
il sole caduto tra le genti
infuocate ammassate nella paura dello
alito di una giovane morte, come
il gioco della tua vecchia canzone
al mio sesso,
sventrato, procreato, amato nel
profumo del proibito nella eccitazione
di un dono senza guardiani senza
spettri, amore incontro tra il mondo
e il mio sorriso curvo sulla
luce di questa notte, agitata, confusa
tra i sogni e il rumore sottile del buio
sospetto, che spia queste paure
cresciute tra le foglie,
tra il scorrere lento delle tue attese,
amore la mente che scivola nell’anima
che sa di essere come una corsa
affannata, come il tuo corpo
acceso dalla vita dai sussulti di questa
estate bianca e sola come le sere
passate a cercarti sui marciapiedi, sulle
strade angosciate affollate di me, di
tutti, di niente, amore una finestra
appannata dal mio respiro spento,
accecato che guarda ingigantisce e
rotola, affonda tra
la rugiada tra i piccoli cristalli
assopiti sulla mia pelle stanca e corre
con il giorno, corre a chiamare,
a soffrire queste ore a parle a lottare
ogni minuto, amore questo piccolo
pezzo di me che traspare questo mostro
che toglie a brandelli la mia vita
marcia e candida, addormentata
tra i colori di questo amore
che non ha nomi, amore che sussulta
ogni istante tra le mie braccia
le mie cosce, tra il mio essere affannato
arrecata al tuo esistere intriso
della solitudine della tua antica forza
del tuo basso potere, amore queste
gocce rosse che sprigiona il mio corpo
questa forza incarnata qui tra i seni,
tra le mani, e nel tuo correre
felice come un cavaliere ubriaco
di noia, di gioia, di favole rattoppate,
amore la tua lingua che scorre
come un fiume tra le mie labbra
che bacia questa rosa recisa trucidata,
che beve questo sacrificio
di me, che si nutre di questa linfa,
di questo mutismo prigioniero,
amore una violenza leggera
come cristallo, antica, sepolta
nel sangue nel cuore come queste
radici che divorano la terra
amore come un uccello che vola, si
innalza, si schianta e si uccide.
Teresa
io, donna
Ho spezzato
il pensiero
ridicolo schiocco
o crepitio
funesto)
in grani
preziosi
di sale.
E l’Essere
ridonda
dentro il Verbo
ricolmo fino all’orlo
come coppa.
E scroscia
e spiccia
e soffia
spumoso
come mosto.
Ne intriderò
paziente
la farina minuta
della storia:
a rimpastare
il mondo
Maria Paola Bedini
economia politica
Quand’ero bambina,
la mamma, la zia
la nonna efficiente
mi hanno parlato di economia
mi hanno insegnato
o meglio, inculcato
l’insufficiente.
Così, sono anni
che vivo d’affanni
tirando il carretto
con tutto lo slancio
per fare quadrare
in modo corretto
il magro bilancio…
e poi le serate
— ma quante? —
passate
un po’ a districare
la confusa minestra
che avevano in testa
i poveri figli
che cambiavan maestra
tre volte in un anno!
La preoccupazione
del: poi come fanno?
e lì, la lezione
di storia, latino
perché ne sapessero
almeno un pochino
Quand’era di moda
comprare e buttare
per poi ricomprare
in maniera un po’ isterica
mettendosi in coda
a scimmiottare
la gran’America,
a me che restavo
ancora attaccata
alla mia economia
e che ricordavo
la lezione imparata
da mamma e da zia
mi han detto:
«retriva!
sei contro il progresso!
bisogna che impari
la vita di adesso!
non sei progressista!»
Ora dal BOOM,
sfiorando il CRACK
e l’inflazione
siamo passati
alla recessione:
quella politica capitalista
ci ha riportato in un mondo fascista;
ma sia come sia è sempre lo stesso
mi trovo a combattere
la mia economia
in casa ed in piazza
non so dove sbattere,
mi sembro una pazza.
E per non comprare
la carissima carne
potere saltare
bistecche e braciole
so io di capriole
se devo farne!
Non farsi incantare
dalla pubblicità
e saper comprare
per la qualità…
Non farsi incantare
da tutti gli stracci
che dicon di moda
e fare durare
quei due vestitacci
un po’ fuori moda…
Gli anni volati,
i figli cresciuti,
alti e spigati
iscritti al partito
politicizzati
dipingon cartelli
e vanno ai comizi
con questi e con quelli
e strillano: «Basta!»
Poi vengono a casa
e voglion la pasta.
E parlano parlano
di economia
e se ne intendono
ma solo in teoria.
Ed io come nonna,
poi mamma e mia zia
la faccio e maneggio
con queste due mani
da sempre mi batto
per l’oggi e il domani
ma più m’arrabatto
e più è sempre peggio:
se provo a parlare
o a criticare
il mondo fascista
nel quale viviamo
che col troppo lavoro
mi grava le spalle,
mi dicono in coro:
«stai zitta!
su’, andiamo
non dire le balle!
Tu sei qualunquista!
Non sei neanche iscritta
al nostro partito!»
Adesso ho capito:
la vera politica
la fanno loro
anche se solo a parole e parole
per noi, donne sole,
rimane la pratica
rimane il lavoro
e come ieri, oggi e domani
i calli a le mani.
M, Grazia Ombuen
i padroni del tempo
I padroni del tempo
hanno mani giganti
per ghermirti le ore
che sarebbero tue
se non ti fossi lasciata incastrare
dai truffaldini contratti
E si inceneriscono i giorni
nelle incombenze inutili
mentre fuori l’estate ritorna
a te sempre più estranea
Giorgia Stecher
ansia
Prima ero un’altra
ed il mondo era mio:
ora sono me stessa
ed il mondo è nemico:
là dove scorrevo ruscello
oggi scroscia un gran fiume.
Non chiedermi più
di ritirare le sponde
per potermi saltare.
Domanda piuttosto
se sono felice,
poiché è troppo crudele
perdere tutto
per trovare se stessi,
ed a volte,
anche al cuore del fiume
giunge il silenzio
delle sue rive
Graziella Pesaresi