ci rivedremo il 1° giugno
“Quel giorno che il mondo impazzì” è il titolo di un racconto giunto in redazione come regalo a Effe per l’8 marzo e con il quale apriamo questo numero. Forse siamo impazzite pure noi a voler persistere in questa folle idea di continuare a fare uscire il giornale.
Molto spesso in questi ultimi mesi ci è preso lo sconforto e siamo state sul punto di mollare tutto. Poi c’è venuta l’idea di tradurre l’Almanacco Donne e Russia e molte lettere sono giunte in redazione ringraziandoci per l’azione di informazione che Effe continua a svolgere, e con le lettere molti abbonamenti. Le lettrici dunque continuano a sostenerci, gli abbonamenti dunque continuano ad arrivare (nonostante i ritardi con cui vengono inoltrati e di cui ci scusiamo) : di pubblicità nemmeno l’ombra… Dunque?… dunque l’unico modo per continuare ad uscire è di ridurre i costi. E così ci siamo messe a studiare un nuovo progetto di giornale. Con fatica ma con rinnovato entusiasmo. Contiamo di essere in edicola il 1° giugno. Troverete un Effe tutto diverso: carta più “povera” (ma sempre al costo di L. 750 al kg., dopo c’è solo la carta dei quotidiani, per intenderci) formato grande “quasi tabloid”, che ci consentirà di tagliare i costi sull’allestimento, la copertina a due colori, e due colori li troverete anche nell’interno. Ci saranno molte più fotografie e disegni, vorremmo dare molto più spazio alla comunicazione per immagini. Insomma stiamo lavorando ad un progetto “calibrato” per raggiungere l’obiettivo di ridurre i costi, per riprendere la periodicità regolare senza tuttavia dover impoverire troppo, e rendere meno bello, il nostro giornale.
Dal punto di vista contenuti, stiamo discutendo molto in questi giorni. L’8 marzo non abbiamo partecipato al corteo che ha sfilato per le vie di Roma. Anche noi come le compagne del Movimento Femminista Romano abbiamo preferito prenderci un giorno di riposo e ritrovarci a Piazza Farnese.
Riteniamo che si sia consumata una fase del movimento. In quest’ultimo periodo le tematiche femministe si sono progressivamente ridotte. Da utopia rivoluzionaria a progetto di legge con tutte le contraddizioni e gli schematismi che comporta. Contraddizione che abbiamo vissuto nel-l’accettare di far parte del Comitato promotore della Legge contro la violenza fisica e sessuale, convinte tuttavia che una legge, pur sempre utile, non rappresenta compiutamente le esigenze e i bisogni delle donne. La manifestazione del 29 marzo ha dimostrato in modo inequivocabile che il femminismo è passato in qualche modo nelle organizzazioni tradizionali femminili e di partito, in particolare nell’UDI, che l’hanno recepito però senza che ci sia stato da parte loro un contributo di riflessione nuovo, facendolo coesistere con il principio della delega, della rigida organizzazione. Erano trentamila le donne che hanno sfilato per Roma. Ma la manifestazione non aveva niente della carica vitale che aveva contraddistinto le nostre precedenti uscite. Non basta un simbolo femminista disegnato su una guancia per fare femminismo. Noi di Effe stiamo riflettendo su questa nuova situazione che ci pone conflitti e problemi, che cercheremo di evidenziare nella impostazione del nuovo progetto di giornale. Effe, in questi ultimi sette anni, ha sempre cercato di seguire le fasi del movimento femminista e delle donne. Crediamo che con la manifestazione del 29 marzo si sia chiusa in modo definitivo una fase, alla quale abbiamo comunque partecipato. Ma quale sarà la prossima non lo sappiamo ancora, o forse riusciamo solo ad intuirlo. Sentiamo però l’esigenza di reagire.
Ecco perché questa volta nell’impaginazione siamo impazzite e abbiamo invertito l’ordine degli articoli. Incominciamo una volta ancora dalla creatività, dalla sessualità, da noi stesse. Non perché ormai non riteniamo più importanti le leggi o il lavoro o i temi emancipatori in generale, ma perché sentiamo che eventi esterni, lontani da noi, forze politiche anche femminili che non ci rappresentano rischiano forse di indebolire e normalizzare la grande, forza innovativa del movimento. Avevamo appena iniziato la difficile strada dello scoprire chi siamo e chi eravamo, quando cento, mille forze centrifughe ci portano ad essere quello che agli altri fa comodo che noi siamo. All’inizio della nostra storia avevamo detto che avremmo potuto ritrovare la nostra vera identità solo entrando nel nostro terreno e conoscendo noi stesse. Come scriveva più dì trent’anni fa Ann Lindbergh nel Dono dal mare «oggi la donna cerca ancora. Ci rendiamo conto della nostra fame e dei nostri bisogni, ma ancora ignoriamo che cosa li soddisferà. Il tempo libero di cui ora siamo padrone, ci porta più ad asciugare le nostre sorgenti creative che ad alimentarle. Con le nostre brocche, tentiamo a volte di annaffiare un campo, non un giardino. Ci dedichiamo senza discernimento a comitati e cause di svariate specie. Non sapendo in quale modo nutrire lo spirito, cerchiamo di fare ammutolire le sue esigenze con le distrazioni. Invece di tenere immobile il centro, l’asse della ruota, aggiungiamo alla nostra esistenza ulteriori attività centrifughe che tendono a farci perdere l’equilibrio…». Abbiamo parlato tanto di liberazione, ma i nostri recenti sforzi sono stati spesso solo sul terreno dell’emancipazione,- cercando di essere uguali all’uomo, gareggiando con lui nelle sue occupazioni esteriori, trascurando le nostre proprie sorgenti intime.
Per questo proponiamo oggi un’intervista a Julia Kristeva, pubblicata cinque anni fa su Les cahiers du GRIF, ma che riteniamo comunque di grande attualità perché ripropone il problema dell’identità delle donne e del loro rapporto conflittuale con la cultura, vale a dire con un aspetto delle istituzioni.
Per questo, oltre ai racconti e alle poesie pubblichiamo i risultati della prima inchiesta — svolta partendo da un questionario pubblicato su Effe — sulla sessualità della bambina. Le nostre figlie sono diverse da come eravamo noi «le bambine hanno un rapporto molto felice e genuino con il loro corpo. Non sono complessate ma disinibite, non vivono nell’immaginario e nelle loro fantasie, ma nel concreto di un corpo tangibile, non sono deluse e tristi ma piene di gioia di vivere e di fiducia in se stesse, non hanno scrupoli né sensi di colpa e non seguono i binari di una sessualità normalizzata…». Sono stati anche i risultati di questa inchiesta — la prima condotta utilizzando un canale non tradizionale come il nostro giornale — che ci hanno ridato carica. D’accordo, certi aspetti vistosi, appariscenti del movimento non esistono più, ma alcuni temi rimangono al centro della riflessione e delle iniziative culturali di gruppi di donne. Rimane il bisogno di studiare, di approfondire, di intervenire in profondità nella cultura. Il successo dell’Università delle Donne Virginia Woolf a Roma ne è una riprova. Tutto questo ci sembra sì rifletta abba–stanza bene in questo numerò della rivista: numero contraddittorio (creatività e leggi, sessualità e questionario sul lavoro) noi lo chiamiamo “di passaggio”. Non sarà l’unico, crediamo. Perché il ritorno a noi stesse e ai nostri temi non è una strada facile, né un ritorno indietro, bensì un continuare ad andare avanti riprendendo in mano i fili di un’esperienza decennale. Non possiamo cancellare questi ultimi due anni, in cui, anche per noi il confronto con le istituzioni è stato privilegiato, dobbiamo però capire ì motivi del nostro disagio.
I prossimi numeri di Effe sono, nelle nostre intenzioni, proiettati verso la riflessione e la chiarificazione di ciò che siamo state e che ruolo abbiamo svolto come testata. Riflessione che, una volta di più, vi chiediamo di fare insieme a noi, continuando a darci il vostro indispensabile contributo di lettere, poesie, discussioni, eccetera. Se Effe è sempre il vostro giornale, vi aspettiamo per lavorare insieme.