racconto

il giardino

«quelle ombre erano come una lebbra che corrodeva tutto ma nello stesso tempo tutte le cose sembravano sprofondare in essa con un’estasi e una dolcezza senza fine»

marzo 1980

Ho molto amato mio fratello Georg e sono vissuta a lungo con lui e con un piccolo gruppo di angeli irregolari, Li chiamavamo così pur sapendo che ài angelico essi avevano solo la nascita e il nome e che la deviazione dalla loro origine era stata così profonda da apparire ormai irreversibile. Arrivarono nella nostra casa quando eravamo ancora bambini. Un giorno Georg venne a chiamarmi di corsa mentre suonavo il piano; — Grete! — disse — Vieni a vedere: c’è uno straniero bianco nel parco — Uscimmo tenendoci per mano, attraversammo il prato, i viali, scivolammo lungo la fontana e poi sotto i fantasmi corrosi delle Ninfe e del Fauno fin dove il giardino finiva e i cespugli si infittivano di ombre. Lo straniero era lì, bianchissimo sotto le foglie rosse dell’acero. Aveva il volto e il corpo di un giovinetto, gli occhi rotondi e celesti e i capelli bianchi e lucenti.
— Chi sei? — gli chiesi.
— Un angelo — rispose — Mi chiamo Helian.
— Sai suonare il piano?
— Certo.
— Allora rimani.
Helian rimase, In seguito lo raggiunsero Elis, Asrael e gli altri.
— Ci inseguono — dicevano — ci sparano addosso. Non sappiamo dove andare.
— Proprio come gli uccelli — dicevamo — Anche gli uccelli inseguiti dai cacciatori trovano rifugio qui.
— Il nostro parco è divenuto una riserva di angeli — dicemmo alla nonna — Anche loro si nascondono tra i rami, come gli altri uccelli. E’ una fortuna che il parco sia recintato e che i cacciatori non possano entrarvi.
La nonna sorrideva e faceva cenno di sì, come se li avesse visti anche lei, con i suoi occhi ciechi e impalliditi sotto le ciglia candide. Di giorno gli angeli pendevano addormentati dai rami, con le ali e i mantelli avvolti intorno al capo. Poi di notte, quando tutti dormivano, ci sedevamo al piano e accendevamo una lampada e allora essi, come per un segnale convenuto, si staccavano dagli alberi e volando silenziosi come pipistrelli attraverso il giardino, venivano a battere piano con il dito sulla vetrata, perché gli aprissimo. La casa era grande e la nonna si perdeva in un sonno ogni notte più profondo e così noi suonavamo fino all’alba mentre gli angeli ci ascoltavano fumando in silenzio, stesi sui tappeti e sui divani. Anche noi presto cominciammo a fumare dalla loro canna miracolosa e ad avere visioni, proprio come loro. Vedevamo la stanza animarsi e la specchiera moltiplicare le sagome evanescenti degli angeli come in una lunghissima onda musicale che si prolungava all’infinito.
— Sai, Greta — mi disse un giorno Georg — Noi non dovremo mai andarcene di qui, nemmeno quando saremo divenuti grandi. Gli angeli hanno bisogno di noi. Ce ce ne andassimo, verrebbero i cacciatori e li ucciderebbero tutti, Mi prometti di non andartene?
— Ma io da grande dovrò sposarmi — gli dissi.
— Ti sposerò io — disse Georg — Non preoccuparti. Nessuno deve sapere del nostro segreto.
Così ci fidanzammo, Georg ed io, ed Helian, Elis ed Asrael dissero che al momento opportuno avrebbero celebrato loro le nostre nozze. Con il passare del tempo gli angeli trasformarono il giardino; come per incanto la vegetazione cresceva ovunque violenta ed irregolare, invadeva le aiuole coltivate, si inerpicava lungo i corpi bianchi delle statue, pendeva e galleggiava .nella fontana e nello stagno. I sentieri scomparvero. Anche la casa non rimase la stessa: ombre si allargavano ovunque ed inghiottivano mobili tendaggi, come ricami di muffa si stendevano sugli specchi, sulle pareti, sui dipinti del soffitto, Quelle ombre erano come una lebbra che corrodeva tutto, ma nello stesso tempo tutte le cose sembravano sprofondare in essa con un’estasi e una dolcezza senza fine. Anche la nonna scomparve dolcemente, senza che ce ne accorgessimo e a lungo seguitammo a cercare il suo volto sul fondo dell’una o dell’altra delle tante pozze d’ombra della casa.
— Grete — mi disse un giorno Georg — Io credo che l’estasi e il nulla siano la condizione più antica, quella di cui non si ha più memoria né traccia tra gli uomini, se non nella nostalgia con cui essi pensano agli angeli o agli dèi. Non dobbiamo lasciare questo giardino di incanti dove tutto è tornato come agli inizi della creazione. Io e te, Grete, nella notte della mente rischiarata solo dai lampi delle visioni. Che cosa può separarci se anche noi siamo tornati agli inizi e siamo come le prime creature uscite dalle tenebre?
Così Georg prese le mie mani fra le sue e io sollevai piano i miei occhi, guardandolo come per la prima volta.
— Oh, Grete — mi disse — Anche i tuoi occhi sono bianchi e tondi. L’inizio e la fine si confondono.
Era sera e la vegetazione dell’estate invadeva dalle finestre la stanza; infiniti occhi sembravano aprirsi sul mondo. Il giovinetto Helian entrò dalla vetrata e fissò la sua immagine riflessa nello specchio. Poi venne a sedersi ai piedi del nostro letto e suonò a lungo il flauto per celebrare, come aveva promesso, le nostre nozze,
— E’ notte — disse Georg — Gli occhi di Dio si sono chiusi. 
Ma gli occhi di Dio si riaprirono il giorno dopo, quando gli angeli erano già scomparsi nel parco. Noi eravamo ancora distesi immobili e ci sembrava di non poterci più allontanare l’uno dall’altra, di essere come due statue unite fra di loro da un fitto intrigo di rampicanti che lentamente ci corrodevano la pelle e succhiavano il nostro sangue. Da quel giorno odiammo la luce che entrava come una lama dalla fessura della finestra per tagliare tutti i legami che ci univano^ e lasciarci soli di fronte alla devastazione della notte. Aspettavamo la sera e con la sera Asrael. Asrael, l’ora della nostra morte, diceva Georg. Gli occhi di Astrael affioravano luminosi dal buio: — Quanta morte — diceva — quanto silenzio.
— Vivere non si può — rispondeva Georg — I nostri passi ci portano indietro, fra i morti e i non nati. Anche il nostro amore ci riporta indietro. Noi non siamo mai nati, Asrael, Infinite volte, come uccelli, gli angeli morivano e rinascevano. Vedemmo il fanciullo Helian scomparire nel fondo dello stagno e di lì fissarci con i suoi occhi tondi e vuoti e poi lentamente riaffiorare come il riflesso di una stella. E anche gli altri angeli precipitavano come foglie o stelle cadenti nello stagno e li vedevamo disfarsi e poi riapparire dopo molto tempo, sempre più trasparenti, come se in loro la morte si aggravasse ogni volta di più. Georg a quel tempo lavorava in una farmacia. ‘Le sue medicine li avrebbero tenuti in vita, diceva e avrebbero tenuto in vita anche noi. Ma sempre più spesso qualche angelo prendeva fuoco e veniva ad infrangersi come un meteorite, o impallidiva improvvisamente e veniva assorbito da qualche specchio o vetro della casa da cui non faceva più ritorno. Allora cominciai a pensare che anche noi saremmo morti come loro, prima o poi.
— Gli angeli scompaiono — dissi a Georg — Noi invece rimarremo imprigionati in qualche statua del giardino e ci dibatteremo per sempre chiusi nella pietra, nessuno potrà mai udire le nostre grida e invocazioni di aiuto.
— Forte è il silenzio della pietra — rispose Georg — forte e doloroso. Vedi quei due innamorati che si guardano.
La pietra ha assorbito di essi tutto l’amore e il dolore possibile. E a loro è rimasto il silenzio.
Così decisi di andarmene e lasciai Georg solo con gli angeli. Seguitammo a scriverci per molto tempo.
— Cara — diceva in una sua lettera — Ellis è rispuntato in un fiore di giacinto. Ho visto i suoi occhi mentre attraversavo il giardino. Com’è profonda la nostra colpa. I figli non nati hanno occhi anch’essi, Grete. Sono rimasti qui, fuori dal mio corpo e dal tuo: ricordano e non si aspettano di vivere.
E in un’altra lettera: — Vivo come un monaco. Vedo solo i peccati e lo sfacelo del mondo. Asrael con il suo lungo cappuccio nero è ormai la mia ombra.
E poi ancora: — Ricorda quante volte le nostre braccia si sono incrociate come rami e ciascuno di noi ha visto negli occhi dell’altro lo sguardo greve e mite dell’animale, di dio. Qui tutto, Grete, tutto è ora disfacimento. E io sono il monaco, il santo, l’assassino. Non aspettava che gli rispondessi. Credo che mi amasse di più, ora che appartenevo anch’io ‘al, passato. — Non so se esisti — diceva — non so se il passato esiste. Ma vedo ovunque i tuoi occhi, come quelli del fanciullo Helian che si aprono dove più la vita scorre e duole.
Sapevo che non avevo scampo. Georg non sarebbe mai cresciuto. Tutta la sua vita era un’infanzia che continuamente moriva per rinascere nei solidi fantasmi che si infittivano intorno a lui fino a soffocarlo.
— Qualcuno deve farlo — diceva — Votarsi alla notte per proteggere ciò che il giorno ha consumato e portato ad esaurimento. Per i nipoti non ancora nati. Perché ci sia di nuovo la vita, il giorno successivo. Ma per noi non ci sarà nessun giorno, dopo questa notte. Sono stato in barca con Asrael sullo .stagno. Remava così dolcemente e la barca scivolava avanti e indietro, senza direzione. Specchiandomi nell’acqua ho visto il tuo volto. Amarti non è servito, Grete, sono solo con me stesso, come sempre. Così ho pensato all’inferno. Credo che sì estenda all’infinito fuori dalle mura del giardino e che io ne sia come assediato, con te e con gli angeli. O forse anche peggio che assediato: dimenticato. L’inferno non si cura di noi, Grete. Siamo come una postazione isolata in un territorio conquistato dal nemico.’ La lotta non ha più senso, perché noi non siamo dalla parte di nessuno. Nascondere gli angeli non è servito: l’infelicità ha mutato il loro volto. Non sanno più chi amare e allora odiano. Angeli del dolore e dell’oblio. Angeli della morte. Anche loro complici dell’inferno.
Con il tempo capii che l’essere fuggita non aveva cambiato nulla, né per Georg, né per me. Seguitavo a vivere nel giardino e passavo il tempo aspettando che Georg mi mandasse mie notizie. Le sue parole, le sue immagini erano l’unico corpo che io avessi. — Non so qual è il mio volto, non so dove mi trovo — gli scrissi — Non riesco neppure a pensarmi. Mi sento estranea a me, come se qualcuno vivesse al posto mio. Tu, Georg? Ma anche per te è lo stesso. Penso a volte a quando, fissando intensamente un oggetto, la sua immagine si raddoppia e non si sa più qual è quella reale E non serve neanche allungare una mano e toccare, perché anche la mano si raddoppia e niente è più reale. Non so se si può parlare di colpa, ma se una colpa c’è stata, direi che si è trattato di un nuovo peccato originale. Anche nel nostro Eden c’era un serpente in agguato, anche il nostro peccato è stato un peccato di conoscenza ed è per questo che non si può tornare indietro. Ho scoperto questa legge, Georg: due immagini della stessa cosa immancabilmente si annullano. Divorziai da mio marito. Il mio unico figlio non riuscì a nascere. Georg venne a trovarmi in ospedale:
— Noi non possiamo avere figli, Grete — mi disse con stupore e rimprovero — Noi non vogliamo avere figli. Poi ci fu la guerra e questa volta fu Georg ad andarsene. Ricevetti da lui un’unica lettera, scritta poco prima della sua morte.
— Cara — diceva — Ti ho vista poco fa tra gli alberi. Gli angeli cadono da ogni parte come stelle fiammeggianti e si sciolgono in pozze di sangue. Sento da ogni parte lamenti e grida di aiuto. Sapessi come sono straziati i loro corpi. Non abbiamo potuto far niente per loro. Non siamo riusciti a nasconderli. Sento che non possono più farcela a guarire dalla morte. Oh, fin dall’inizio l’eternità è stata la loro malattia. E tu come eri triste. Ti ho sentita, hai suonato per l’ultima volta. E poi hai detto che il suono non veniva da te, ma dal vento dell’autunno, dalla notte. Così mi hai assolto e hai assolto anche gli angeli. Nell’ora della nostra morte. Sono uscito sul prato per venirti a cercare e li ho visti: pendevano tutti dai rami, dondolavano cullati dalla tua voce. I loro occhi sono bianchi e tondi come i tuoi. Oh, Grete, i cacciatori sono entrati nel nostro giardino… Mio fratello Georg si è ucciso. O meglio, ha lasciato che la sua barca affondasse nelle acque buie del sonno e della notte. Ora è in fondo allo stagno e mi guarda come il fanciullo Helian. Io so quello che mio fratello Georg ha voluto dirmi con la sua ultima lettera. So, come li avessi visti con i miei occhi, che anche Elis ed Helian pendevano da quei rami. Ma lui non ha voluto fare il loro nome, perché io capissi meglio. Così ho capito. Ora è notte, ho acceso la lampada e mi sono seduta davanti al piano. Sono bastate poche note ed è venuto .Nero, silenzioso, volando come un tempo attraverso il giardino. Ecco che la sua ombra si allarga dietro la vetrata. Batte piano con le dita cristalline e mi chiama. L’ultimo degli angeli. Asrael.