ancora polemiche

chi è questo famigerato movimento femminista? Chi può firmare dei manifesti come Movimento Femminista e decidere che altre donne ne sono al di fuori?

maggio 1978

sentirsi chiamate ripetutamente in causa attraverso gli organi dell’informazione — con accuse che coinvolgono tutte le donne che fanno riferimento al Consultorio di San Lorenzo — ci ha portato a fare chiarezza fra di noi, con una discussione all’interno del Collettivo, su quanto avvenuto sabato 8 aprile nella assemblea svoltasi al Governo Vecchio nella settimana precedente.
Si può sorvolare sulle accuse grossolane che ci hanno definite fasciste o protette da particolari organi di informazione (il che vuol dire vendute a certi partiti) in quanto già da giovedì 6 abbiamo pubblicato un comunicato, diramato tramite ANSA ed apparso anche su Lotta Contìnua, in cui si precisavano le nostre posizioni sull’aborto: no a questa legge che è la negazione delle nostre lotte; sì ad una regolamentazione che assicuri l’aborto libero, gratuito e assistito, garantito per tutte le donne (anche se minorenni) che lo richiedano, nelle strutture sanitarie — ivi compresi i consultori — e in quelle gestite e controllate dalle donne.
Siamo scese in piazza con queste parole d’ordine, consapevoli dell’utopia delle nostre richieste e altrettanto coscienti che qualsiasi legge fosse passata la nostra attività sarebbe dovuta continuare come lotta contro le istituzioni, per conquistare il massimo degli spazi e come attività di autogestione per ampliare il nostro patrimonio conoscitivo sul nostro corpo, cosa che ci permette non di colmare delle deficenze sanitarie ma di poterle controllare attivamente.
Ma ritornando al famoso giorno della manifestazione noi ci chiediamo:
Chi è questo famigerato Movimento Femminista? Chi può firmare dei manifesti come Movimento Femminista e decidere che altre donne ne sono al di fuori, in un momento come questo in cui sappiamo bene che esistono altre posizioni?
Se l’accordo di mercoledì non contemplava uno striscione con scritto «aborto libero gratuito e assistito» in quanto secondo alcune compagne esso sarebbe stato ambiguo e di appoggio al progetto di legge in discussione al Parlamento, non prevedeva neanche i 5 striscioni, che pure sono sfilati, inneggianti al referendum. E se l’assemblea di venerdì 7 non è riconosciuta come valida da alcune donne in quanto viene considerata non un aggiornamento di quella del mercoledì precedente ma una nuova convocazione, diramata all’improvviso e quasi di nascosto, noi vorremmo far presente che l’avviso è stato trasmesso a Radio Città Futura e pubblicato su Lotta Continua e sul Manifesto e che erano presenti tra gli altri i collettivi di Pompeo Magno, Donne e Cultura, Donne e Politica, Garbatella, Appio Tuscolano, Ostiense, Gruppo Femminista per la salute della donna, Tiburtina che non si ‘può negare siano rappresentativi del Movimento Femminista. Certo, da parte nostra, quando abbiamo deciso di scendere in piazza, c’è stata l’ingenuità di pensare che fosse ancora ricostituibile un’unità nel Movimento Femminista. Ma, al di là dell’attuale sbandamento dei Collettivi e delle singole compagne, un tempo il quadro politico era più chiaro in quanto l’MLD era MLD e non «Movimento Femminista», intendendo come tale quell’area di compagne che non faceva riferimento a nessun partito politico. Del resto bisogna far chiarezza anche su altri fenomeni — certo più dolorosi — che confondono le acque e che noi stesse per molto tempo abbiamo coperto. Ci sono alcune donne che una volta hanno lavorato nel Movimento Femminista ed ora lo usano in modo strumentale per un’affermazione della propria persona, cosa che succede frequentemente per quanto riguarda il Consultorio di San Lorenzo il cui nome viene usato da alcune donne che non sono presenti nel nostro collettivo e identificato con il CRAC (non ci stancheremo mai di ripetere che il CRAC non esiste più) o con il Coordinamento dei Consultori.
Per questo alla diaspora per la testa del corteo noi ci sentiamo del tutto estranee, giudicando che tutte e due le parti hanno agito nella stessa logica di potere. Ed aggiungiamo ancora che siamo stanche che un Collettivo di cinquanta compagne sia identificato con tre o quattro nomi, alcuni dei quali non hanno mai (o quasi mai) contribuito al dibattito o al lavoro all’interno del consultorio.
Non solo a noi ma a tutto il Movimento Femminista nuoce essere riconosciute in poche persone perché ci si lega a scelte politiche di singole, scelte che si modificano nel tempo e non sono sempre.
Eppure non solo la stampa ma noi per prime tendiamo ad attribuire ad alcune compagne molto più potere di quanto in realtà non abbiano.
A questo punto sentiamo il bisogno di aprire il discorso sul Collettivo di San Lorenzo e sulle pratiche che alcune compagne stanno faticosamente svolgendo da molto tempo. Si tratta di una realtà complessa e ricca, di un Consultorio Femminista il cui interesse fondamentale è la salute fisica e psichica delle donne, affrontata con pratiche e strumenti femministi. Non si tratta di residui del CRAC, ma di un aspetto evolutivo della struttura di coordinamento che si occupava essenzialmente del problema dell’aborto e che si è allargata successivamente ad altri problemi della salute tra cui contraccezione, prevenzione, salute psichica. Le iniziative vengono prese partendo dai bisogni che le donne esprimono nel consultorio, così si è formato un gruppo di informazione sulla contraccezione, cosi due donne del nostro gruppo hanno imparato a fare la visita al seno per la diagnosi precoce dei tumori della mammella; altre donne studiano i problemi dell’alimentazione per poter socializzate tra no) la necessità di una dieta più sana; è continuato il lavoro sull’aborto sia organizzando i viaggi a Londra sia attraverso i nuclei di autogestione.
Soprattutto si è allargata la pratica del self-help o auto-cura, strumenné agli altri partiti: tutti questi ripetono meccanicamente i nostri slogan senza rispetto dei nostri contenuti: dal PCI che ha permesso il passaggio di una legge che nega l’autodeternamento fondamentale dell’approccio femminista al problema della salute. Self help significa intendere la salute e la malattia, il rapporto tecnico-personale (nel caso specifico, donna) in modo fondamentalmente nuovo: mentre il tecnico eventualmente migliora le sue conoscenze attraverso anni di pratica e di esperienza, e tradizionalmente non ci si aspetta che la donna possa approfondire le sue conoscenze sul suo corpo e la sua salute, nel self-help la donna passa dal ruolo di «paziente» al ruolo di «protagonista». Attraverso questo processo tutte le donne conoscono il proprio corpo, hanno parte attiva nella gestione della loro salute, considerano la salute come un modo d’essere sociale, psicologico, fisico e politico.
Volendo approfondire l’aspetto della salute psichica, un gruppo di donne, nato dall’evoluzione di gruppi di autocoscienza e self-help, ha intrapreso un lavoro su se stesse che tende alla decodificazione del linguaggio dell’inconscio considerandolo come un grande patrimonio di tutte le donne. Questo gruppo di formazione e di trasformazione tenta inoltre una revisione di testi psicanalitici alla luce della nostra ottica femminista. Queste ed altre attività che sono dettate dai bisogni che le donne che vengono al Consultorio e noi stesse sentiamo, hanno l’immediato riscontro della soddisfazione del bisogno e allo stesso tempo vengono portate avanti con prassi femminista, anti-elitaria e antitecnicistica, Cerchiamo di non dimenticare che il nostro livello di coscienza è stato il frutto di un lento lavoro su noi stesse con l’aiuto di altre donne e non cerchiamo di imporlo alle altre; facciamo ogni sforzo per rispettare le diversità e non ci consideriamo l’«avanguardia cosciente». Cerchiamo di portare strumenti femministi (autocoscienza e autovisita) all’esterno nelle strutture pubbliche (consultori) facendole scaturire dai bisogni inespressi di altre donne.
Alle inarticolate e rozze accuse di serve del PCI, del PDUP, dell’UDI basterebbe rispondere che l’essere femministe per definizione lo esclude. Esclude di fatto un rapporto di dipendenza e servile con i partiti e permette invece un rapporto di forza perché, essendo estranee alla logica di potere dei partiti stessi non ne siamo facilmente ricattabili. Non possiamo essere serve di nessun partito, né prestarci loro manovre, né farci strumentavate da loro; non siamo come gruppi legate al partito radicale né al PCI nazione della donna ai radicali che dopo aver sventolato a lungo la bandiera del referendum svendono l’ostruzionismo in Parlamento in cambio di altri referendum da farsi entro giugno.

“di fronte alle istituzioni hanno solo la forza fittizia dello slogan e dell’insulto”

Le rozze accuse delle «compagne» (quali? Non hanno avuto il coraggio di firmare e neanche di riportare i nomi dei rispettivi collettivi) sui giornali, a Radio Donna, verbali, oltre a scritte non firmate comparse in Via dei Sa-belli, vicino al nostro Consultorio, rivelano da una parte la loro impotenza: di fronte alle istituzioni hanno solo la forza fittizia dello slogan e dell’insulto ma una nulla o scarsa pratica femminista sul problema dell’aborto (quante donne delPMLDA lavorano in un nucleo di autogestione o in consultori pubblici o si occupano del problema della salute della donna?), d’altra parte cercano disperatamente un capro espiatorio in un collettivo o peggio in poche compagne, che vengono più o meno pesantemente accusate di revisionismo e servilismo verso questo o quel partito politico.
Nasce così il dubbio che si tenti una volgare strumentalizzazione: «chi non è con noi è contro di noi», dimenticando che il Movimento Femminista non è un partito e che esiste al suo interno una grande differenza di posizioni. Nonostante tutti gli sforzi maldestri delle firmatarie di quella lettera, non sappiamo se più indecente o più ridicola, oltre che anonima, le «compagne» non sono riuscite a strumentalizzare come volevano gli altri Collettivi.
Queste «compagne» che pure ci hanno utilizzato e continuano a farlo per i loro aborti, la loro contraccezione, le loro visite ginecologiche, non si sono accorte che il nemico non siamo noi, donne di S. Lorenzo, ma è dentro di loro, nella loro pratica autoritaria di sopraffazione inesorabile di escalation che da settembre ad oggi ha preteso di identificare l’obiettivo della lotta sull’aborto nelle parole depenalizzazione e referendum, continuando ad ignorare che, come la legge non poteva esprimere i nostri contenuti, così anche il referendum non è in grado di farlo. Tuttavia questo, come altri tentativi di egemonizzare il movimento femminista, sono perdenti e non è certo la violenza di poche «compagne» a renderli possibili oggi.
La legge, da quando è stata presentata alla Camera, alla vergognosa forma attuale, come abbiamo sempre detto nelle assemblee, non rispettava e neppure oggi rispetta il diritto fondamentale delle donne che è l’autodeterminazione. Per questo motivo nessun collettivo, tantomeno quello di S. Lorenzo, ha mai potuto farsi paladino di questa legge. È ugualmente difficile immaginare che anche in futuro ciò possa succedere perché le leggi non sono fatte da noi ma saranno ancora frutto di compromessi ed esprimeranno contenuti che non sono nostri. Le leggi inoltre sono fatte dagli uomini e funzionano da portavoce dell’ideologia maschile che si permette di legiferare su un argomento, la gestione del nostro corpo, che riguarda solo noi donne.
L’equivalente «al femminista» per assurdo sarebbe la nostra pretesa di ottenere una legge che regolamenti la produzione e l’utilizzazione dello sperma.
Allora dobbiamo continuare a lottare perché i nostri contenuti passino. Perché quando diciamo aborto libero vogliamo che esso sia veramente così solo su richiesta, quando e come la donna lo chiede, sia che una legge lo faccia suo, sia che il referendum e la depenalizzazione portino ad una legge «migliore», ben sapendo che legge e referendum non sono strumenti nostri né l’espressione dei nostri bisogni.
Quando diciamo gratuito vogliamo dire che chi pratica l’aborto, sia la struttura sanitaria sia i nuclei di autogestione, lo facciano senza alcun compenso in denaro (sulla gratuità dell’intervento dei nuclei si preferisce non parlare nelle assemblee perché anche questo spesso non avviene).
Assistito non significa soltanto con l’assistenza sanitaria ma con l’accompagnamento, l’aiuto e il controllo sulle strutture sanitarie da parte delle donne, per scelta della donna che riceve l’aborto. Significa lotta perché l’aborto diminuisca, sostituito dall’uso di anticoncezionali innocui e finalmente soprattutto maschili.