Io, Dacia Maraini soave e rabbiosa
La scrittrice, che ha appena terminato il suo ultimo romanzo autobiografico, “Lettere a Marina”, ci parla del rapporto con il padre, di sessualità, omosessualità, potere, piacere…
Il movimento femminista ha analizzato con particolare attenzione la struttura della famiglia, ed in particolare il rapporto con la figura materna. Perché non parliamo invece del tuo rapporto con la figura del padre?
Diciamo che io ho avuto un forte, complesso di Elettra, se così si può dire, un rapporto d’amore per il padre che però deve essere nato in seguito alle censura dell’amore per la madre^ In principio io volevo sposare mia madre, infatti spesso le dicevo «ti voglio sposare» e lei rispondeva: «non si può», cosicché pensavo: «allora sposo papà». Poi, in seguito, si è sviluppato questo amore per mio padre, anche perché lui era il contrario di tutti i padri che conosciamo generalmente. Non aveva nulla di paterno. Era un uomo molto giovane, mi ha avuta che aveva vent’anni, molto bello, affascinante, amato dalle donne, ed era sempre in viaggio perché faceva l’antropologo, l’orientalista. Quindi capisci, non era la figura paterna protettiva; tutto quello che riguardava la casa, gli studi, le tradizioni famigliari, l’apprendimento della cultura, il quotidiano, apparteneva a mia madre, era lei che reggeva la famiglia. Mio padre era sempre via: io identificavo lui con il viaggio, la partenza, l’avventura, e tutto questo mi affascinava. Quelle poche volte che Io vedevo, aveva un rapporto di gioco con me, mi portava a spasso, a fare le gite, in montagna, a nuotare nei fiumi, ero affascinata: quindi, dalla figura di mio padre, e per anni e anni e anni io ho vissuto con questo amore per la sua assenza. Tutta la mia infanzia, dai cinque ai dodici anni, è stata fortemente condizionata dal rapporto con mio padre. Poi in seguito, con gli anni, le cose sono cambiate, ed oggi infatti sono più vicina a mia madre che non a mio padre.
Questo rapporto con tuo padre ha influito sulle tue scelte affettive?
Ha influito moltissimo perché io per tantissimi anni ho continuato a cercare il padre, però quel tipo di padre, non il padre protettivo e rassicurante, ma quel tipo di padre affascinante, dedito ai viaggi, simile al mio; spesso negli uomini cerco, ho cercato, non una persona sicura, al contraria una assenza: nei momento in cui un uomo fugge, in cui scappa, nel momento in cui non c’è mi affascina.
La generazione di donne intorno ai quarant’anni, che ha avuto un impatto traumatico con i valori del femminismo, oggi vive profonde lacerazioni nel rapporto di coppia e in genere con il maschile, mentre la generazione intorno ai trenta sembra tentare una certa mediazione; per tutte comunque si impone una “rivisitazione” critica dei valori maschili. Come ti poni di fronte a quelli che per antonomasia sono considerati valori propri della cultura maschile: la violenza e il potere?
Io aggiungerei la competizione, che è forse il valore centrale di questa società. La violenza, tutto sommato, non è considerata un valore positivo neanche nella società maschile, mentre la competizione sì- è considerata un valore, anzi direi che tutti i rapporti sociali sono basati sulla competizione. Io credo che la cosa più importante del femminismo sia proprio questa battaglia contro la competitività. Certo, questo non significa che tra le donne non ci sia, c’è, ma almeno non è un valore positivo, si comincia col rifiutarla, col dire «no, questa cosa non ci interessa», anche perché poi la competitività è legata al potere e alla violenza.
Potere, violenza, competitività sono dunque presenti anche nelle donne?
Sì, io non vedo la donna in modo idilliaco, è un essere umano e come tale ne possiede tutte le caratteristiche, dunque anche quelle di essere violenta o dura. Naturalmente la storia ha fatto sì che questa violenza la indirizzasse contro se stessa, infatti il masochismo cos’è? Aggressività rivolta contro se stessa; Però, credo che nel mondo delle donne, sicuramente—meno contaminato dal potere e dalla violenza, anche per ragioni storiche, c’è una maggiore disponibilità a rapporti diversi per il fatto stesso di partire sempre dal privato, dal concreto, diversamente dagli uomini, che di solito tendono a fare discorsi astratti, ideologici, del tutto teorici!
Tu sei competitiva?
Poco.
Pensi di esercitare violenza e potere?
No, io sono di carattere chiuso, tranquilla, quieta. Mia madre, da piccola, diceva che ero «una bambina saggia», non mi inquietavo mai. No, non sento la competizione nei confronti delle altre donne, anzi mi fa sempre piacere quando le donne fanno delle cose, perché penso che una cosa buona fatta da una donna da spazio anche a me, da credito anche a me. Forse sento la competizione nei riguardi del mondo maschile.
Non credi di aver avuto qualche privilegio?
Certo, ne ho avuti: intanto quello di nascere in una famiglia di intellettuali e quindi di avere la cultura a portata di mano, che non è poco, anche se poi la mia famiglia era poverissima; poi una mia. capacità di scrivere^ di lavorare^ di fare tante cose.
Eppure, nonostante le cose che dicevi, tu sei una donna che ha potere, qualcuno direbbe “di potere”. Sei d’accordo con questa definizione?
Io credo di avere un certo prestigio; potere, nel senso materiale, pratico, non credo, perché io non occupo posti di potere. Quando si parla di potere, si parla di cariche, del potere che si ha di agire sulla vita degli altri, mentre io non ho nessun potere in questo senso, non lavoro in una struttura di potere.
Ma tu, nell’ambito di alcuni luoghi istituzionali, hai avuto e hai spazi concreti: la RAI, la Televisione, la stampa.
Ma questo non è potere, o sì, può darsi che sia potere.
Rai, televisione, stampa, sono mass-media, dunque strumenti di potere.
Allora bisogna distinguere: c’è il potere di esprimersi, il potere di essere liberi, di dire quello che si pensa, non lo nego; e c’è il potere che uno ha di agire, e di agire spesso in maniera rapinatoria e sfruttatrice, sulla vita degli altri, ora io questo potere non ce l’ho. Chi ha interesse per quello che faccio può seguirmi, ma non vorrei chiamare potere tutto, perché allora io e Fanfani siamo la stessa cosa.
No, tu e Fanfani no, ma la stampa ed i mezzi di comunicazione di massa in genere sono strumenti di potere a volte più pericolosi di un uomo politico, tan-t’è vero che possono distruggerlo.
Sì, ma come lo uso però io questo potere?
Ho l’impressione che tu abbia paura ad ammettere che hai potere.
No, io no. Ho detto che ho dei privilegi che mi danno un potere. Quando scrivo i miei articoli,-però, non credo di fare uso di potere, poiché non condiziono la vita di qualcuno: chi vuole mi legge, chi non vuole no. Non ho il potere di chi sta in una grande industria, di chi sta in un Ente pubblico, di chi ha delle leve di potere in mano, questo voglio dire.
Tu pensi che sia importante da parte delle donne acquistare potere?
Sì, penso dì sì, certo.
Tu ritieni che una donna che abbia potere debba metterlo al servizio delle altre donne?
Io credo di sì.
Tu pensi d’averlo fatto?
Non so, è molto difficile valutarlo. Tocca agli altri giudicare. Io non posso dirlo, io so che mi batto con passione per certe cose che mi stanno a cuore e mi batto con le mie armi, cioè le parole, scrivendo articoli per esempio. Ma non sento molto l’esigenza di scrivere sui giornali, preferisco molto di più .dedicarmi al teatro o a scrivere un libro, preferisco dedicarmi a qualcosa di creativo, certo, anche lì però si parla, si fa una battaglia, ma è meno esplicita, meno politica.
Non è una maniera più privatistica di usare il tuo potere?
No, io non credo assolutamente di usare nessun potere scrivendo un romanzo, io lo faccio per il mio piacere. Per me scrivere è un piacere, un enorme piacere di cui non potrei fare a meno, e il piacere più grande è scrivere romanzi, poesie, non quello di scrivere articoli; sono otto mesi che non scrivo e non ne sento nessuna mancanza. Scrivere una commedia, ad esempio, è un piacere enorme, un piacere che parte dai sensi.
Che parte ha il piacere nella tua vita, che posto hanno i piaceri concreti: il cibo, il vino, la sensualità?
Il piacere più grande, ti ho detto, è scrivere: trovarmi di fronte ad una pagina bianca con la sensazione di potere inventare tutto. Ma certamente ci sono altri piaceri, quello del cibo per esempio. Io sono una buona cuoca, mi piace molto cucinare per gli altri, per me no, quando sono sola non cucino quasi niente, mangio un po’ di pane e latte e basta, invece per gli amici mi piace moltissimo cucinare. Sono mezza siciliana, mi piacciono molto le cose un po’ piccanti e l’agrodolce. A volte sto delle ore in cucina facendo dei piatti anche complicati. Mi piace molto il cibo ma mangiato in compagnia, non da sola. Mi piace il vino, il whisky, ma bevo poco perché mi fa subito male; però un whisky la sera, prima di cena, Io bevo volentieri. Come pure amo il vino, quando è buono però. La sessualità poi. Certo, è importante, è una cosa essenziale, anche se io non sono portata agli eccessi proprio per natura, sono abbastanza equilibrata. Non sono un’eccessiva. Comunque direi che il sesso ha una parte importante nella mia vita, anche se non ha precedenza su tutto; non è che vivo per il sesso, però il sesso è importantissimo, cioè se sono felice sessualmente anche tutta la mia vita mi sembra diversa, mi sento più contenta, più soddisfatta.
Tu sei un’immagine pubblica. Riesci a gestire pubblicamente, negli spazi sociali, i tuoi rapporti affettivi, di coppia, con il tuo partner o la tua partner?
Ma sì, io non ho molti problemi. Credo che sia questione d’aver raggiunto delle sicurezze. Quando ero più timida, più insicura, avevo il terrore di quello che diceva la gente, oggi non più, faccio quello che mi viene di fare tranquillamente. Però mi piace per carattere il mistero, il segreto. Non dico mai bugie, semplicemente non dico; sono molto silenziosa, non faccio mai pettegolezzi o chiacchiere. Non mi piace nascondere ma sono affascinata dal mistero.
In una trasmissione radiofonica dì qualche tempo fa, dedicasti un’intera puntata all’omosessualità. Affermasti, allora, che la tabuizzazione dell’omosessualità dipendeva dal peso della cultura giudaico-cristiana. Non pensi oggi che dietro questo tabù ci siano altre più profonde motivazioni?
Sì, ce ne sono tantissime, ma è difficile individuarle tutte. Io penso che l’omosessualità faccia parte della sessualità, non credo che esista l’eterosessualità da una parte o l’omosessualità dall’altra. In una società che impone l’eterosessualità come l’unica forma di sessualità accettata, è chiaro che si facciano delle distinzioni: l’eterosessualità è la norma, l’omosessualità è ciò che sta fuori dalla norma, ma secondo me, è un puro arbitrio poiché l’omosessualità esiste in natura, benché poi molti lo neghino, gli animali sono tutti anche omosessuali; poi storicamente si sa che è sempre esistita, anzi io direi di più che è una delle tante forme di sessualità che non ha nulla di vizioso. E’ soltanto un fatto sociale, è stato proibito per ragioni ideologiche perché allontanava dalla riproduzione in certi momenti storici, e in altri perché veniva identificata con forme di libertà, di autonomia, di ribellione che urtavano contro una certa norma morale. Io penso che faccia parte della vita di tutti, dipende dalla storia di ciascuno, dall’infanzia, però se tutti fossero liberi di poter esprimere la propria sessualità, probabilmente ci sarebbe nella vita di tutti una grossa parte di omosessualità. Nel mio ultimo romanzo, “Lettere a Marina”, che ho finito di scrivere in questi giorni, parlo proprio di un rapporto omosessuale. Sono lettere che spedisco ad una donna con cui ho avuto un rapporto d’amore.
Dunque è autobiografico?
Sì.
E’ stato faticoso per te parlarne?
No, anzi, mi è venuto spontaneo. A me non fa paura dire le cose, anche se ho questo senso del mistero. Ho orrore dell’ipocrisia, quindi fare una cosa e nasconderla per ragioni di convenzione mi sembra una cosa brutta, non mi piace, mentre capisco che si possa avere un senso dell’intimità per le proprie cose, e non solo per quelle affettive ma di qualsiasi genere. Secondo me, poi, proprio uno scrittore deve poter parlare di sé. Io penso che per tutti quello che si fa dovrebbe coincidere con quello che si dice: non si può dire delle cose e viverne delle altre completamente diverse, -onesto “fasciamolo fare ai cattolici. Non c’è una sola cosa della mia vita che non posso raccontare.
Perché non l’hai scritto prima questo libro?
Io ho sempre parlato di me, forse ne parlavo in maniera più ellittica.
In questo momento si fa un gran parlare di omosessualità, di lesbismo: films, libri, articoli. Non ci sono forse dietro la scelta di questo momento per scrivere il tuo libro, motivi di opportunità editoriale, il libro giusto al momento giusto?
A parte il fatto che sono quattro anni che sto scrivendo questo libro, quando si scrive a tutto si pensa fuorché alla moda. Poi bisogna pensare che dietro alle “mode” c’è una realtà. Tu dici è “in” parlare oggi di omosessualità, ma dietro cosa c’è? Non è che prima non ci fosse omosessualità, c’era, ma non se ne parlava, perché era un tabù, era qualcosa di cui una si vergognava.
E tu forse ti vergognavi a scrivere questo libro.
No, no. A parte il fatto che io ne ho già scritto, anche se non in maniera autobiografica diretta, e poi in realtà nella mia vita la maggior parte delle esperienze sono state diverse. L’omosessualità fa parte della vita di tutti, ma è anche vero che è stata vissuta in maniera più felice, più gioiosa dopo il femminismo. Nella mia infanzia, nella mia -adolescenza, fra le mie amiche, le mie compagne di scuola, era una cosa estremamente censurata e non perché noi fossimo più ipocrite, è che la società era molto più dura rispetto a queste cose. Poi attraverso una serie di battaglie si sono fatte delle conquiste per cui oggi si vive con maggior libertà. Io credo che sia questa una delle più belle conquiste del femminismo e dei movimenti del ’68. Basti pensare a come solo dieci anni fa si parlava non solo dell’omosessualità, ma dell’aborto, della verginità, era estremamente diverso da come oggi se ne parla.
Dunque tu non ritieni d’aver seguito un filone o di essere stata influenzata da una moda.
No, nei libri seguo proprio una mia strada. E d’altra parte in questo libro parlo anche di tante altre cose, anche se il punto dì partenza è questa storia reale che ho vissuto e che evidentemente ha avuto un’importanza molto grande per me.
Ida Magli, in un recente articolo su “la Repubblica”, esordisce parlando del lesbismo scrivendo: «Ho così avuto modo di scoprire una realtà esistenziale piena di sofferenza, ma anche estremamente “vera”». Cosa ne pensi?
Beh! Quello mi è sembrato un articolo buffissimo, la scoperta dell’ombrello. Secondo me lei è un po’ fuori dal mondo e forse per la prima volta ha conosciuto delle donne che lei considera così diverse da sé, ma che poi così diverse non sono. La realtà della donna lesbica credo che sia proprio come tutte le altre realtà, in cui certo c’è anche un po’ di sofferenza, ma nei rapporti eterosessuali la sofferenza domina. Mi sembra che l’omosessualità oggi non venga vissuta in maniera così delirante, così esclusiva, ma proprio-nelle-ragazzine giovani giovani viene vissuta in modo normale, quindi sdrammatizzato completamente, anche se, nei piccoli centri è chiaro che esistono situazioni diverse, dì repressione, di chiusura, ma nelle grandi città italiane non esiste più questo isolamento, questa specie di maledizione.
Tu credi che sia possibile una sessualità polimorfa?
Sì, anche se ancora non è praticata, però credo che ci sia una tendenza in quella direzione. Io penso ad una sessualità più aperta e consapevole, non genitale, che divide la sessualità dalla non-sessualità, la purezza dalla non purezza. Credo in una sessualità più ampia, più vasta e credo che le donne in questo insegnino molto. Le donne, non so per quali ragioni storiche o fisiologiche, hanno una sessualità più diffusa, più aperta, meno limitata. La genitalità, il momento del rapporto genitale, non è la cosa più importante, anzi, forse è la meno importante; la penetrazione poi non ne parliamo, spesso non produce neppure piacere nella donna. La sessualità fino ad ora probabilmente è stata a misura d’uomo, quindi genitale, penetrativa, eiaculatoria, mentre se noi ci avvicinassimo ad una visione del mondo a misura di donna, probabilmente ci sarebbe una sessualità diversa. Il movimento delle donne ha fatto moltissimo in questo senso.
Nel momento in cui si vive un’esperienza sessuale lesbica, quanto ritieni che ci sia o ci possa essere oggi di ideologico dietro?
A posteriori, si può ideologizzare questa scelta. Non basta mettersi nei bar di sole donne, spesso poi ripetendo i ruoli maschili. Vivendo il lesbismo ti accorgi di quanto sia diversa l’altra sessualità, quella considerata normale. Allora devi fare una battaglia ideologica in quel senso. Ma il lesbismo non può nascere da un progetto ideologico. Le sue radici affondano in cose troppo profonde, remote e incontrollabili.
Da questa intervista viene fuori una immagine di te problematica, con chiaroscuri ma anche con contorni netti, nitidi, precisi. Mi viene in mente che la Giacomini una volta su “la Repubblica” ti definì “la soave Maraini”, là, dove soave stava a significare “perfida”.
Questo è stato scritto in un articolo scandalizzato sul libro che avevo scritto con Piera “Storia di Piera”, e il suo argomento era che di certe cose è meglio non parlare. Ora io su questo dissento nella maniera più totale. Io non credo che di certe cose non si possa parlare. Bisogna parlare di tutto: non ci deve essere nella propria vita una sola cosa di cui non si possa parlare pubblicamente, certo, quando lo vuoi tu e a modo tuo. Per me è una regola che, devo dire, ho raggiunto faticosamente, con gli anni. Mi sono liberata di certe paure, di certi tabù, piano piano, ed oggi non c’è una cosa di cui non potrei scrivere.
Di te si dice molto spesso che buona parte della tua fortuna come scrittrice sia dovuta al tuo rapporto con Alberto Moravia. Di fronte a questa affermazione, cosa provi?
Prima provavo rabbia. Ora sono diventata più fatalista. Credo che il tempo rivela le cose come sono. E’ strano però che nessuno pensi il contrario di quello che dici. Nessuno pensa mai a quello che posso aver dato io a lui.