sesso e potere: basi sessuali del femminismo radicale
Questo saggio di Alix Kates Shulman è apparso nell’estate del 1980 sul numero speciale della rivista americana «Signs» dedicato a “Donne – Sesso e sessualità”. Con la sua pubblicazione vorremmo aprire un dibattito sui 10 anni di neoffemminismo in Italia.
Sono trascorsi tredici anni da quando un gruppo di femministe radicali ha cominciato ad organizzare un movimento per la liberazione della donna passando in rassegna ogni aspetto dei rapporti fra i due sessi, compreso quello sessuale. Non che la sessualità della donna fosse stata fino ad allora ignorata, il sesso era sempre stato un argomento scottante e che si vendeva bene. Gli uomini se ne occupavano nei laboratori, sui libri, nelle camere da letto, negli uffici. Dopo alcuni decenni dì repressione, nel corso degli anni sessanta, si cominciò a discutere di “rivoluzione sessuale” e “liberazione sessuale”. Le gonne si accorciarono, il “moralismo” si diede alla macchia. Fu subito chiaro che l’attenzione che le femministe rivolsero agli aspetti -politici della sessualità .non fu una prerogativa degli anni. sessanta: le femministe hanno sempre intuito che la loro attenzione avrebbe dovuto concentrarsi su quelle istituzioni che regolano i rapporti fra i sessi. Ma fino a quegli anni, il femminismo stesso era stato eclissato, e lungi dall’essere visto come un rapporto anche politico, il sesso era considerato una questione strettamente biologica, fisiologica, personale o religiosa. Finché le femministe radicali non dichiararono coraggiosamente che “il personale è politico”, sottoponendo ad un’analisi politica gli aspetti più intimi dei rapporti uomo-donna, per decenni, la- sessualità della- donna- non- aveva- assunto una dimensione politica, non era stata considerata uno degli aspetti del rapporto di potere tra i sessi.
Nel diciannovesimo e all’inizio del ventesimo secolo, le istituzioni in qualche modo legate alla sessualità, come la famiglia, la maternità, la castità, la prostituzione, il controllo delle nascite e il duplice livello di moralità, erano state analizzate dalle femministe “prima maniera”. La repressione sessuale fu riconosciuta in privato, come un problema di primaria importanza, anche da Elizabeth Cady Stanton, quando, nel suo diario cominciato all’età di sessantacinque anni ella annotò: «La prima grande lotta che le donne devono condurre è quella di rivoluzionare il dogma secondo cui il sesso è un peccato». Ma le suffragiste e le sostenitrici dei diritti delle donne preferirono non affrontare pubblicamente la questione della sessualità della donna.
Nonostante le femministe “prima maniera” si siano concentrate sui legami fra sottomissione femminile e sessualità maschile, per la maggior parte di esse, la sessualità della donna non fu al centro delle analisi condotte sulla condizione sociale della donna, salvo se questa entrava in altre istituzioni, come la maternità.
Fu Simone de Beauvoir, in Francia nel 1949, con il suo libro “Il secondo sesso” che riprese in chiave femminista la questione sesso-potere. Un anno prima Ruth Herscberger, biologa e poetessa, aveva pubblicato nel nostro Paese, un’ analisi puntuale sulla sessualità femminile, “La Costola di Adamo”; ma le sue idee apparvero troppo audaci all’America del dopoguerra per guadagnarsi quel successo di pubblico che pure avrebbero meritato. Era necessario un contesto femminista più ampio — come quello creato in Europa dall’opera della Beauvoir, o negli Stati Uniti da Betty Friedan con “La Mistica Femminile” del 1963 — per segnare il secondo round del femminismo organizzato. Nel suo libro, la Friedan discute dello sfruttamento sessuale da parte della pubblicità, sull’effetto dei ruoli nella realizzazione sessuale, e delle frustrazioni sessuali delle donne. Ma il iNOW, il movimento fondato dalla Friedan per combattere le discriminazioni sessuali, non ebbe come obiettivo primario quello di denunciare le ingiustizie in campo sessuale, se mai, una prima “homofobia” può anche averle esacerbate. Toccò all’ala radicale del nuovo femminismo, alle giovani leve della Nuova Sinistra, il cui scontento e la cui soggezione ai loro compagni radicali, le portò, alla fine degli anni sessanta a creare il Movimento di Liberazione della Donna (WLM) rendendo la sessualità una parte centrale della loro analisi sul sessismo. Applicando gli strumenti di analisi appresi dal movimento per i diritti civili, e dalla Nuova Sinistra, alle loro situazioni, e ricorrendo alle opere della Beauvoir e della Friedan (e più tardi a quelle delle femministe che le precedettero), esse si servirono del loro scontento per meglio capire i rapporti di potere fra uomini e donne.
Verso la fine del 1967, ristretti gruppi di donne cominciarono ad incontrarsi regolarmente per discutere degli effetti della supremazia dell’uomo non solo nel mondo del lavoro, ma nella cultura, nella vita pubblica, così come avveniva fra le donne dì NOW, ma anche per parlare della loro vita privata. Ebbi la fortuna di far parte di uno di questi gruppi. Quelle prime discussioni (che presto assunsero una vera e propria tecnica trasformandosi in autocoscienza, da me qui indicata A.C.) furono l’occasione per le donne dì dare libero sfogo ai risentimenti provocati dal modo in cui ci si era serviti sessualmente di loro e per esprimere i tanti momenti di disagio e di paura che ci eravamo tutte portate dentro per anni. Fui sorpresa di sentire che tante donne giovani degli anni sessanta parlavano con risentimento della loro esperienza sessuale, visto che i mass-media insistevano sulla grande rivoluzione sessuale che sarebbe avvenuta fra i giovani. Invece, lungi dal sentirsi liberate dalla cosiddetta rivoluzione sessuale avvenuta negli anni sessanta, quelle giovani donne, di cui alcune impegnate politicamente nella Nuova Sinistra, se ne sentivano vittime. Quello che lamentavano era che da loro non ci si aspettava più soltanto che sapessero battere a macchina i discorsi, riempire e chiudere le buste, preparare da mangiare agli uomini con cui vivevano e che si professavano radicali, ma si chiedeva loro che sapessero anche dormire al loro fianco senza chiedere nulla in cambio. I loro sentimenti, il bisogno di affetto, di gratificazioni, di considerazione, o impegno reciproco non avevano motivo di essere. Se non si adeguavano le si faceva sentire poco attraenti, irrimediabilmente “per bene”, e facilmente rimpiazzabili. Concessioni sessuali erano spesso il prezzo di concessioni politiche. Queste donne avvertivano dì essere l’oggetto dì uno sfruttamento sessuale, si accorgevano che il loro impegno politico non veniva apprezzato, e che a loro era riservato un “lavoro di merda”, e di questo erano responsabili proprio quegli uomini che si dichiaravano nemici di qualunque tipo- di oppressione. A queste donne sembrò evidente che ci fosse un legame fra il modo in cui gli uomini le trattavano nelle loro organizzazioni, e quello in cui le trattavano sessualmente; non erano che i due aspetti di uno stesso atteggiamento verso le donne: quello di non prenderle sul serio. Non appena si organizzarono i primi gruppi di femministe radicali, molte donne, anche senza una precedente esperienza politica, vi aderirono, per dare voce ai loro sentimenti. Alcune lamentavano di sentirsi sessualmente rifiutate dai loro partner, altre raccontavano che le esigenze sessuali dei loro mariti erano irrefrenabili. Alcune dicevano di avere timore di dire ai loro uomini che cosa procurava loro piacere sessuale, altre raccontavano che i loro uomini non amavano sentirselo dire.” C’era chi narrava delle proposte che le venivano rivolte sul posto di lavoro o per la strada, chi si lamentava perché gli uomini provavano un senso di inferiorità nei loro confronti, e loro, le donne non avrebbero mai potuto fare delle “avances”. Alcune parlavano delle ritorsioni che dovevano subire in quanto lesbiche, altre della paura che incutevano loro le lesbiche. Alcune confessavano con vergogna di essersi masturbate, altre dichiaravano con angoscia dì non esserne capaci. Molte ammettevano con amarezza che i loro uomini non si preoccupavano di evitare maternità non desiderate, non si assumevano alcuna responsabilità riguardo ai figli, e non facevano nulla perché il rapporto di coppia progredisse. Ognuna aveva la sua storia da raccontare. In quegli anni erano poche le donne che avevano l’opportunità di parlare apertamente del sesso. Negli anni cinquanta era stato un argomento tabù, e nel ’60 era ancora guardato con sospetto. Le donne non si sentivano libere di parlare dei loro rapporti fisici più intimi, perché quegli argomenti erano non solo imbarazzanti, ma venivano considerati come il sintomo di turbe o malattie, e in quanto tali era disdicevole parlarne. In fondo, si pensava, raccontare cose così private era un modo di tradire il proprio compagno, e quindi era pericoloso. Ricordo l’agitazione che suscitarono le donne del mio gruppo, nel 1967, dichiarando apertamente di aver finto di raggiungere l’orgasmo per diverse “ragioni”. Una volta confessato l’inconfessabile, cercammo insieme il perché molte di noi avevano sentito la necessità di fingere. Invece di sentirci colpevoli, pensavamo che fingere fosse un modo di reagire alle pressioni che gli uomini esercitavano su di noi. Tuttavia per quanto il parlare di queste cose ci desse sollievo, facendoci sentire più libere, il nostro fine non era solo quello di migliorare la nostra vita sessuale, e di trovare delle soluzioni ai nostri problemi. Volevamo anche capire su quali basi poggiava il nostro scontento, comprese le frustrazioni sessuali, per poter fare qualcosa che aiutasse tutte noi.
Questo è un punto fondamentale. L’autocoscienza non era solo una tecnica attraverso la quale ci liberavamo dai nostri problemi personali. Non era una terapia. Doveva invece essere uno strumento politico, modellato sulla pratica cinese del “tirar fuori quello che non va”. L’idea era questa: i cosiddetti esperti sulle donne erano tradizionalmente uomini che, in quanto parte della struttura di potere fondata sulla supremazia dell’uomo, traevano vantaggio dal perpetuarsi di certe idee e quindi quanto essi andavano dicendo era sospetto. Se veramente volevamo capire la condizione della donna nella nostra società, dovevamo fondare le nostre analisi su informazioni attendibili, informazioni non “sospette”, e quindi dovevamo raccoglierle da noi stesse. Dovevamo rivedere tutte le generalizzazioni che erano state fatte in passato, chiederci a chi avesse giovato, e sostituirle con le conoscenze fondate sulle esperienze e le emozioni delle donne, a cominciare dalle nostre. Quelle prime riunioni di A. C. avevano lo scopo di raccogliere fatti, erano riunioni nelle quali scoprivamo noi stesse. Volevamo sapere che cosa le donne veramente sentono, come vedono la loro vita, che cosa devono subire, e qual è il loro ruolo su questa terra. Non cosa “avremmo dovuto provare”, ma quello che provavamo veramente. Queste conoscenze, acquisite attraverso l’analisi sincera delle nostre esperienze personali ci avrebbero aiutate a capire come cambiare la situazione delle donne. Quei primi incontri sembravano discussioni destinate a trasformare la vita, perché il nostro obiettivo era la giustizia per tutte le donne.
Dovevamo dire la verità, molto dipendeva da questo. Avremmo cambiato il mondo.
Ciò che rendeva le nostre discussioni -così vivaci era che ci accorgevamo che si era acceso un grande faro che illuminava il mondo e la nostra esperienza; tutte le tenebre e le ombre che avevano accompagnato la nostra vita si erano diradate, spazzate- via dal bagliore di tanta luce. Il sesso era un argomento esplosivo sul quale ritornavamo continuamente; mentre parlavamo dei nostri sentimenti più nascosti cominciammo ad accorgerci di quanto fossero interconnesse tutte le nostre esperienze e le nostre vite apparentemente così diverse. Proprio per questo ci rendemmo conto che avremmo potuto cominciare la nostra analisi sulla vita delle donne da un argomento qualsiasi, il sesso, il matrimonio, la maternità, i ruoli sessuali, i lavori di casa, la salute, l’istruzione, le immagini, il linguaggio, tutti questi aspetti della vita delle donne erano strettamente legati al sessismo. Il movimento che noi prefiguravamo avrebbe cambiato tutto. Una rassegna delle azioni più importanti di quei primi anni del WLM — azioni cominciate da uno sparuto gruppo di coraggiose donne, nel 1967 forse non più di 100, poi nel 1970 alcune migliaia — dimostra quanto centrale fosse, nella nuova analisi femminista, la sessualità, e come essa fosse importante nella nostra lotta per la giustizia. Nel 1967, ristretti gruppi di femministe cominciarono l’A.C. Nel settembre del 1968, il movimento, ancora ai suoi primi passi, si ritenne pronto per affrontare la sua prima manifestazione nazionale: circa sessanta femministe, provenienti per la maggior parte da New York, si riunirono ad Atlantic City, per organizzare un picchettaggio di fronte alle Sale dove si teneva il Concorso di Miss America.
Miss a peso con bigodini
Quell’avvenimento divenne l’occasione per dimostrare chiaramente fino a che punto le donne vengano (in modo degradante) giudicate come oggetti sessuali. Da una terrazza della Sala del Concorso, venne appeso uno stendardo in cui si leggeva: Liberazione della Donna. Dalla strada, le dimostranti, in segno di scherno, incoronarono «Miss America» una pecora, e riempirono un bidone della spazzatura dei simboli della «tortura» femminile: bigodini, reggiseni. cinture, e scarpe con tacchi altissimi; le dimostranti parlarono solo con le giornaliste donne, e distribuirono volantini e manifesti. Uno dei manifesti più provocatori riproduceva la pubblicità di una catena dì Steak House, con l’immagine di una donna nuda con le indicazioni dei vari tagli di carne. Il Concorso fu visto come tipicamente simbolico dello sfruttamento- delle donne, usate come oggetti sessuali, ma le idee del WLM erano talmente avanzate che la manifestazione non venne capita. Molti osservatori e giornalisti si indignarono, e fu da allora che le femministe vennero chiamate «quelle pazze che bruciano i reggiseni» anche se quel giorno nulla fu bruciato. L’abitudine di giudicare le donne dal loro aspetto fisico era talmente radicata che molti pensarono, in buona fede, che le manifestanti dovessero essere donne molto brutte, spinte da semplice invidia nei confronti delle concorrenti al titolo di Miss America, e che si stava assistendo ad una rappresentenzione della favola della volpe e dell’uva troppo acerba…
Nella primavera del ’69, un nuovo gruppo, chiamato Redstockings (Calze Rosse) organizzò un pubblico dibattito sull’aborto, a cui parteciparono numerose donne, alcune delle quali descrissero senza mezzi termini e nei dettagli le loro esperienze in materia di aborto. Queste testimonianze furono un duro colpo per l’opinione pubblica e fecero vacillare antichi tabù, dando inizio ad una serie di pubbliche discussioni che continuano tutt’oggi. E’ inimmaginabile lo scalpore che suscitò nel Paese una tale iniziativa. Alla radice della negazione dell’aborto (e del controllo delle nascite), c’era la convinzione che l’attività sessuale della donna, se non finalizzata alla procreazione, fosse peccaminosa, e come tale andasse punita. Come scrisse un giornalista americano: «Si è voluta divertire, adesso paghi». (Allo stesso modo i primi dibattiti sulla violenza sessuale tendevano ad evidenziare non solo la brutalità e l’odio che contrassegnavano questa violenza, ma anche l’opinione pubblica era propensa a biasimare la vittima, ed era la sessualità femminile ad essere messa sotto accusa come dimostrano le leggi, gli interrogatori di polizia, e il rilievo che viene dato alle precedenti esperienze sessuali della vittima). Ciò che c’era di nuovo nelle testimonianze sull’aborto, era che le donne, parlando dei loro stati d’ animo, e delle loro dolorose esperienze, collegavano la questione dell’aborto a quella della libertà della donna, un fatto questo che non avveniva più in forma pubblica dai tempi dei primi dibattiti sul controllo delle nascite.
Ciò che spinse quelle di Redstockings a farsi promotrici di un movimento a favore dell’aborto fu una seduta legislativa sull’argomento, alla quale parteciparono in qualità dì «esperti», quattordici uomini e una suora. Le donne di Redstockings ritennero che fosse giunto il momento di ascoltare le dirette interessate: le donne.
In quegli anni, sì assistette al proliferarsi di azioni provocatorie, da quella avvenuta a Wall Street in cui le femministe fecero apprezzamenti e proposte agli uomini che si trovavano a passare di lì, alla protesta inscenata contro la Fiera Nazionale della Sposa, condotta da WITCH (Congiura Infernale Terrorista delle Donne), alla partecipazione delle Femministe Radicali di New York ad una sessione parlamentare sulla prostituzione. Tutte queste manifestazioni avevano come obiettivo quello di far nascere una coscienza pubblica sul sessismo. Gli insulti che volarono nel corso di queste manifestazioni da parte di inferociti osservatori erano centrati prevalentemente sul sesso; venivamo chiamate lesbiche, puttane, bestie, ma anche comuniste, sgualdrine e pazze. Nel ’69, una rappresentanza di gruppi femministi organizzò un sit-in davanti agli uffici del Ladies Home Journal, finché non vennero accordate venti pagine della rivista nelle quali presentare il programma delle femministe ad un vasto pubblico femminile. Io feci parte del collettivo che redasse l’articolo sul sesso. Molti degli articoli che apparvero sul Journal furono considerati stomachevoli, ma il pezzo sul sesso suscitò un vero e proprio terremoto. Ritengo che questo sia dovuto al fatto che l’articolo affrontava, anche se brevemente, la questione del lesbismo, ma anche perché avvicinava i concetti di pubblico e privato, di personale e politico. Alla fine del 1969, si tenne a New York il primo Congresso delle Donne Unite, a cui parteciparono più di 500 donne. In quello stesso anno fu pubblicato «The Doctor’s case against the Pill» di Barbara Seaman. Poi, nel 1970, «La politica del sesso» di Kate Millct, e «La dialettica dei sessi» di Shulamith Firestone, e la prima antologia di articoli e pamphlet che erano apparsi nelle varie pubblicazioni del movimento: «Sisterhood is Powerful» di Robin Morgan «Voices from Women’s Liberation» di Leslie Tanner «Women’s Liberation», «A Blueprint for the Future» di Sookie Stambler e l’anno successivo «Women in Sexist Society» di Vivian Gornik e B.K. Moran e altri articoli tutti sulla sessualità. Seguirono numerosi articoli, libri, conferenze, dibattiti, manifestazioni. Le femministe lesbiche costituirono gruppi separati e andarono in cerca dei legami fra lesbismo e femminismo; al Secondo Congresso delle Donne Unite (1970), un gruppo di lesbiche radicali, le Lavender Mena-ce, si impegnò perché il movimento si esprimesse sul lesbismo. Un gruppo di self-help incoraggiò le donne ad esaminare il proprio corpo e quello delle altre, non solo per combattere l’ignoranza e un non giustificato imbarazzo, ma anche per liberare la donna dal controllo dell’istituzione medica maschile. Le Femministe Radicali di New York, e gruppi di altra provenienza, organizzarono discussioni spesso prendendo a modello quelle sull’aborto delle Redstockings, su argomenti quali la violenza sessuale, la prostituzione, il matrimonio, la maternità. Le idee femministe si stavano diffondendo quasi dovunque, e contemporaneamente venivano fatti sempre nuovi collegamenti e un maggior numero di donne si unì al Movimento. Ci sembrò che nulla avrebbe potuto fermarci.
Quali furono le prime idee radicai-femministe sul sesso? Naturalmente, essendo il WLM un movimento politico, per le femministe radicali il concetto di sessualità era strettamente legato a quello di potere: dovevamo riprendere il controllo della nostra vita, del nostro corpo, di cui gli uomini, attraverso leggi, tradizioni e istituzioni sociali da loro ideate, ci avevano’ espropriato. Il movimento femminista per una libera maternità, il movimento di self-help in California, e il più vasto movimento per la salute della donna, da cui nacque il bestseller «Noi e il Nostro Corpo» del Collettivo femminista di Boston, avevano tutti come obiettivo la riappropriazione del proprio corpo da parte della donna, e anche la nuova analisi femminista era fondata su questo. Considerando i rapporti sessuali come uno degli aspetti dei rapporti di potere fra uomini e donne, le prime femministe radicali rimisero in questione le vecchie definizioni sulla sessualità femminile, sulla «femminilità», sul piacere sessuale, e sulla natura (intesa come eterosessuale), in quanto dette definizioni, così come erano state proposte dagli uomini, tendevano a giustificare lo sfruttamento sessuale della donna da parte dell’uomo. «Se i rapporti sessuali non dovessero rientrare nei disegni politici degli uomini, (oppressione dell’uomo sulla donna), allora ogni individuo potrebbe avere dei rapporti fisici non definiti da ruoli, e dai quali nessuna delle due parti uscirebbe perdente. Tutti ì rapporti fisici, (eterosessuali ma anche omosessuali) sarebbero un’estensione della “comunicazione fra individui e potrebbero anche non avere una connotazione genitale», diceva nel 1969 un manifesto di «Le Femministe: un’organizzazione politica per annullare i ruoli sessuali».
«Dobbiamo convincerci che se certe posizioni sessuali, ora definite normali, non portano al reciproco orgasmo, esse non devono più essere considerate normali. Dovranno essere inventate nuove tecniche che trasformino questo aspetto particolare dello sfruttamento sessuale» dichiarò Anne Koedt, nel suo celebre saggio «The Myth of the Vaginal Orgasm», pubblicato nel 1968 in «Notes from the First Year» e ampliato Fanno successivo. Anche se la Koedt si soffermava sulla tecnica, il suo articolo aveva un carattere nettamente politico. Quello che la interessava non era solo la questione inerente all’orgasmo femminile, a quell’epoca all’esame dei sessuologi, ma il modo distorto in cui quelle questioni entravano nel «mito» dell’orgasmo vaginale.
«Oggi, grazie alle sempre più approfondite conoscenze di anatomia… l’argomento (dell’orgasmo femminile) non presenta più incognite. Ci sono tuttavia delle motivazioni sociali che ne hanno impedito la diffusione. Viviamo in una società maschile che non ha cercato di mutare il ruolo della donna…».
Eterosessualità obbligata
Ammettere l’orgasmo clitorideo, minaccerebbe il concetto di eterosessualità, significherebbe infatti che il piacere sessuale può essere provocato sia da uomini che da donne, facendo quindi dell’eterosessualità una scelta e non una necessità. Ciò riaprirebbe quindi la questione dei rapporti sessuali fra due individui che potrebbero anche non essere necessariamente un uomo e una donna. Questa analisi, venne proseguita da Ti-Grace Atkinson, una delle fondatrici di Le Femministe, un gruppo contrario al matrimonio, che limitò ad un terzo dei suoi membri, la partecipazione delle donne che vivevano con un uomo. In «L’Istituzione dei Rapporti Sessuali» in Notes from Second Year, la Atkinson analizzò il rapporto sessuale in se stesso come una «istituzione politica» analoga all’istituto del matrimonio, che ha come fine la riproduzione e spesso il soddisfacimento dei desideri sessuali dell’uomo anche se non necessariamente quelli della donna. La Atkinson propose di «scoprire quale fosse la natura delle caratteristiche sessuali dell’individuo, dal punto di vista di ciò che in ciascun essere c’è di buono, invece di ciò che abbiamo ora, una sorta di abbozzo di sistema psicologico della nostra sessualità». Ma riducendo i rapporti sessuali a semplice tecnica, la Atkinson intuì che l’orgasmo non è tutto, osservando che ciò che due amanti aggiungono alla loro esperienza sessuale «non può essere una tecnica o un miglioramento fisico di quella medesima auto-esperienza», ma «deve avere una componente psicologica».
Spingendo la ribellione femminista contro lo sfruttamento sessuale ancora un passo avanti, Dana Densmore del Boston Celi 16 propose una riorganizzazione delle priorità della donna, aldilà di quelle sessuali. Dopo tutto, credere che l’amore sessuale di un uomo sia il massimo delle aspirazioni per una donna o che esso sia necessario alla sua realizzazione, giustifica lo sfruttamento della dolina da parte dell’uomo e il suo asservimento. Nel suo saggio del 1969 «Sul Celibato», che apparve sul primo numero dì No More Furi and Games, la rivista legata alla Celi 16, la Densmore scrive: «Dobbiamo renderci conto che non abbiamo bisogno del sesso, che il celibato… ha anch’esso i suoi vantaggi in molti casi è persino preferibile al sesso. Dopo tutto, non è forse ripugnante fave l’amore con un uomo che ti disprezza, che li teme, o che ti vuole sottomettere? Non è squallido un amore consumato in queste condizioni? Allora perché affannarsi? Non ce n’è bisogno… Il mio non vuole essere un invito al celibato, vorrei solo che esso venisse accettato come un’alternativa onorevole, preferibile allo degradazione della maggior parte dei rapporti uomo-donna… O si accetta l’idea di non aver bisogno degli uomini, del loro sesso, o .altrimenti non sarà assolutamente possibile per una donna andare avanti, dovrà condurre una vita duplice’ fingendo con gli uomini di essere diversa da quello che lei sa di essere…
Se vogliamo sentirci libere, dobbiamo rifiutare come fallace l’immagine che gli uomini hanno di noi, e ciò stesso li farà cessare.di amarci… E smettiamola una buona volta di cercare di assomigliare al tipo di donna che l’uomo desidera! Sforziamoci dì essere autentiche, e al diavolo quegli uomini che ci eviteranno infastiditi.
Su «Lesbianism and the Women’s Liberation Movement» (Il Lesbismo e il Movimento di Liberazione della Donna), una delle prime autodefinitasi lesbica radicale, Martha Shelly, riprese da un altro angolo visuale quanto scritto dalla Densmore: «Secondo me, il lesbismo non è una stranezza che riguarda poche donne e che il Movimento deve considerare come una questione secondaria. In un certo senso, è il punto centrale del Movimento dì Liberazione della Donna. Per potersi liberare dall’oppressione della casta maschile, le donne debbono unirsi, debbono imparare ad amarsi, debbono diventare più forti e indipendenti e trattare con l’uomo da una posizione di forza. L’idea che le donne debbano insegnare agli uomini come amare, che non debbano provare rancore nei loro confronti, a questo punto della storia è come esortare al pacifismo i Vietcong. Le donne sono… considerate deboli, dipendenti e amorevoli. Ma quel genere di amore è autolesionismo. L’amore può esistere solo fra eguali, non fra oppressi e oppressori. Per molte donne avere rapporti sessuali con un uomo e affrontare la maternità, aveva, in una società permeata di sessismo come la nostra, un costo troppo alto, e molte hanno preferito rinunciarvi.
S. Firestone: precarie anche nell’amore
Alcune femministe radicali invece di rinunciare all’eterosessualità, hanno preferito lottare per cambiarne le basi. (Molte consideravano il separatismo una sconfitta). In «La dialettica dei Sessi», Shulamith Firestone, analizzando I rapporti eterosessuali, cercò di precisare qual è il prezzo che le donne devono pagare per farsi amare dall’uomo. Nel capitolo intitolato «Amore», la Firestone ci dice che l’amore richiede «una vulnerabilità reciproca, altrimenti esso risulterà distruttivo, e questo si verificherà in una situazione di non uguaglianza». Ma poiché fra l’uomo e la donna non esiste un rapporto di parità, ne consegue che per la donna l’amore sarà distruttivo. Mentre «un uomo deve idealizzare una donna per giustificare di aver fatto delle concessioni ad un essere che appartiene ad una classe inferiore» per le donne la situazione è diversa. Nella loro posizione di precarietà politica, le donne non possono concedersi il lusso di un amore spontaneo. E’ troppo pericoloso. L’amore e l’approvazione dell’uomo hanno la massima importanza. Amare appassionatamente senza sincerarsi di essere corrisposte, mette in pericolo questa approvazione… In una società maschilista che definisce la donna un essere inferiore e parassitario, una donna che non ottenga l’approvazione dell’uomo può quasi considerarsi fallita… Ma non essendo facile per le donne riuscire a realizzarsi attraverso il proprio lavoro (chi ci riesce non ottiene comunque il dovuto riconoscimento) diventa più semplice guadagnarsi la stima di un uomo, piuttosto che quella di molti, ed è proprio questa, in genere la scelta che fanno le donne. Ancora una volta, quindi, l’amore, valido dì per sé, si corrompe nel contesto sociale: per le donne l’amore non è importante solo come fatto naturale, ma serve a dare un senso alla loro esistenza». E’ per questo che le donne devono nascondere le loro vere emozioni, devono cercare dì avere sex appeal conformandosi ai canoni estetici dell’epoca, inibire la loro spontaneità sessuale, e, se necessario, fingere l’orgasmo: tutto questo serve a conquistare un uomo. Non è tanto questo che criticarono le femministe radicali, quanto la condizione di disparità fra i sessi, e la vulnerabilità della donna, per cui quel tipo di comportamento appare necessario. Come scrisse Jennifer Gardner nel suo saggio «False Consciousness» pubblicato in California sulla rivista «Tooth and Nail»: «La nostra oppressione non sta nella nostra mente. Non saremo meno oppresse solo se ci comporteremo come se lo fossimo». Provaci, se hai la possibilità economica di subirne le conseguenze. Il risultato non sarà né rispetto né comprensione. Gli uomini ti sfuggiranno: sarai una puttana, una castratrice, una bisbetica, una vipera, una strega; oppure saranno loro ad accusarti dì sfuggirli. Come scrisse Kathie Sarachild, osservando la duplice natura di sesso e potere: «Per secoli il sesso è stato sia il nostro annullamento che la nostra unica e possibile arma di autodifesa o di autoaffermazione (aggressione)».
Il fatto che alcune donne riescano ad avere con gli uomini rapporti sessuali soddisfacenti, e che alcune riescano ad avere una loro indipendenza economica, dato il carattere sessista della nostra società, non prova nulla: le prevaricazioni sessuali (ed economiche) sono comunque prevalenti. Dal punto di vista delle femministe radicali, il cui interesse è rivolto ai problemi dei più, e che di conseguenza non tengono conto delle donne che vivono situazioni privilegiate, anche le migliori «fra le soluzioni individuali» sono incerte, perché, a meno che una donna sia forte e indipendente, la sua soluzione potrà dimostrarsi precaria, nel momento in cui perderà la protezione dell’uomo, e questo potrà avvenire col passare degli anni. Il gruppo femminista OWL (Liberazione delle più Vecchie) mise in evidenza che considerare vecchio un uomo che abbia superato i trent’anni è ridicolo, ma che altrettanto non si potrebbe dire per quelle donne che sono sempre state considerate oggetti sessuali. Irene Peslikis mise come intestazione al suo elenco di «Resistenze alla Consapevolezza»: «Pensare che il nostro compagno rappresenti un’eccezione, e che quindi anche noi siamo un’eccezione. Pensare che soluzioni individuali siano possibili, che non ci occorra solidarietà e una rivoluzione per raggiungere la nostra libertà». Quanto alle soluzioni individuali indipendenti dalla protezione maschile, ma che richiedono l’allontanamento dall’uomo, le donne che fanno queste scelte vanno incontro ad ogni sorta di ritorsione, e alle diffidenze che hanno sempre accompagnato le donne sole, quelle che hanno saputo fare a meno degli uomini, in una società come la nostra fondata sulla supremazia dell’uomo. «Finché avremo un movimento abbastanza forte da provocare dei rivolgimenti», scrisse la Firestone in Notes from the Second Year, «dovremo adattarci come meglio potremo a qualsiasi… compromesso, con il quale ci sarà possibile vivere», senza mai dimenticare, come scrisse Anne Koedt in Notes from the First Year «di andare alla radice del problema invece di risolvere questioni secondarie che possono sorgere dalla condizione della donna in questo momento». Così come le donne che non possono decidere liberamente sulla loro maternità soffrono di ansie sessuali, lo stesso avverrà per coloro che non sono padrone della propria sopravvivenza. Sin dagli inizi, le analisi sulla sessualità condotte da femministe radicali affrontavano problemi diversi, ma tutte concordavano sul fatto che i rapporti erano stati profondamente condizionati dai più generali rapporti di potere che prevalevano fra i due sessi, e che l’unica via per trasformare questi rapporti è quella che passa attraverso la solidarietà e la lotta per cambiarli; un modo per capire in che misura questi rapporti hanno oppresso le donne è l’autocoscienza.
Come molte altre femministe di quegli anni, data la rapidità con cui le nostre idee si diffondevano, e quanta attività promuovevano, ero ottimista sugli effetti che il nostro movimento avrebbe avuto. Il nostro serrato esame delle esperienze personali di ciascuna di noi, proprio per il loro significato sociale ma anche politico, mi aiutò anche come scrittrice. Non a caso il mio primo articolo intitolato «Organi e Orgasmi» era centrato su problemi sessuali. Nell’articolo, analizzavo le ingiustizie subite dalle donne a cominciare dalla terminologia relativa al sesso e suggerivo che una soluzione ai nostri problemi- sessuali venisse dal riesame delle definizioni, supposizioni e opinioni sulla sessualità da parte delle donne.
Qualcosa cambia ma molto sta fermo
Non che sottovalutassi l’importanza di una lotta politica, ma ritenevo che avremmo dovuto cambiare il nostro modo di pensare prima di poter cambiare il nostro modo di vivere. Le idee del Movimento si diffondevano a macchia d’olio, e ciò diede a molte dì noi l’illusione che non sarebbe stato difficile organizzare una rivalsa delle donne. (La Firestone pensava che sarebbero stati necessari «molti anni» perché il Movimento acquistasse una forza tale da «imporre un cambiamento»). Quando in molte grandi città americane, il 26 agosto 1970, venne organizzata la prima Marcia delle Donne, ci sembrò di avere la vittoria in pugno. Negli anni immediatamente successivi le nostre speranze aumentarono: ci fu l’approvazione da parte del Congresso dell’ERA (l), per la prima volta da quando era stato introdotto cinquant’anni prima; la Corte Suprema sanzionò che almeno per Ì primi tre mesi la donna aveva il diritto di abortire, furono intentati dei processi contro grandi società per ottenere la parità retributiva; le donne vennero ammesse alle prestigiose università che fino ad allora erano state le rocca-forti degli studenti-uomini, a numerose professioni, e a quelle istituzioni dalle quali erano sempre state escluse. Eppure già stava preparandosi un’offensiva. Alcuni anni dopo, molti problemi rimanevano ancora irrisolti. La gente parlava in modo diverso, ma si comportava come aveva sempre fatto. Alice Paul, un’esperta suffragista che aveva già assistito ad una precedente sconfitta del femminismo, ammoni di non porre dei limiti temporali all’ERA ma non curandosi dei precedenti storici, come tendono a fare in genere gli americani, ed in particolare i giovani, troppo precipitose nel voler proiettare la propria coscienza rinnovata sul mondo, le femministe non -seguirono il suo -consiglio-Col tempo ci rendemmo conto che le nostre aspettative (e quanto avevo scritto nel mio articolo) erano troppo ottimistiche: avevamo cambiato solo la facciata, i problemi di fondo rimanevano. Anche se tutte le donne avessero riconosciuto quanto ingiusto sia il sessismo, e tutti gli uomini avessero ammesso l’importanza della clitoride per l’orgasmo femminile, il conflitto sessuale sarebbe continuato, perché i rapporti sessuali erano fondati su diversi rapporti di forza.
L’antifemminismo organizzato seguì tutti i successi che riscuoteva il Movimento, quando esso si proponeva di trasformare le coscienze. Movimento o non Movimento, i sentimenti delle donne non poterono esprimersi liberamente, la nostra testimonianza non venne considerata attendibile, il nostro potere nelle decisioni pubbliche rimase irrilevante. Il nostro scontento sessuale nei confronti degli uomini rimaneva lo stesso, perché senza potere alle donne non rimaneva che accettare la situazione di fatto, eravamo impotenti. Anche se ci opponevamo ai canoni di bellezza stabiliti per l’elezione delle Miss, era secondo questi canoni che venivamo giudicate giornalmente, e scartate quando non vi rispondevamo più. Riesaminare tutto dall’inizio, riuscire ad avere una visione chiara dei fatti non bastava dunque a permetterci di cambiare i rapporti di forza fra i sessi: sesso e potere erano connessi, e coloro che detenevano il potere non avevano la minima intenzione di rinunciarvi. Alla comprensione, sarebbe dovuta seguire una lunga, difficile lotta. Con ciò non voglio sottovalutare le nostre conquiste politiche degli anni Settanta, per una giustizia sessuale. Fra tutti i movimenti sorti negli anni Sessanta, il WLM divenne il Movimento di massa degli anni ’70, gli sforzi iniziali diedero vita a nuovi fermenti, e a nuove leggi sul lavoro delle donne, sulla maternità, contro la violenza fisica, e a concezioni diverse della famiglia. Ma molte di queste trasformazioni sono estremamente esposte a contraccolpi antifemministi, e se ci fermassimo ancora prima di avere raggiunto i nostri obiettivi originari, potremmo anche perdere tutto quello che abbiamo saputo conquistare fino ad ora. E’ quanto capitò alle prime femministe che ottennero delle importanti anche se parziali vittorie, ma poi vennero schiacciate e ridotte al silenzio per decenni. La stessa cosa potrebbe capitare a noi, se solo allentassimo la morsa, o se perdessimo di vista i nostri obiettivi principali. Se le coscienze possono essere trasformate una volta, due volte, perché non ripetere l’esperimento? Si sta verificando una sterzata verso destra. Aumentano le sterilizzazioni e l’uso degli ormoni. Lo scarto fra il reddito medio di un uomo e quello di una donna è maggiore di quanto non fosse dieci anni fa. L’aborto potrebbe ancora essere considerato illegale, le donne potrebbero essere nuovamente escluse dalle attività professionali, potremmo ricominciare a considerare il sesso una questione strettamente privata, e non un fatto politico che ci riguarda tutte. Non meno pericoloso di un riflusso politico, che per lo meno sappiamo come sventare, sarebbe l’esaurirsi dello spirito critico, il logoramento degli ideali femministi.
Entrano in scena i mass-media
Le critiche che le femministe radicali rivolgono alla sessualità così come viene intesa oggi, e alla repressione sessuale, inizialmente presentate come aspetti o esempi di un’egemonia maschile più diffusa, sono state «dirottate» su problemi di semplice tecnica sessuale. I fenomeni di assimilazione e di apparente accettazione del femminismo rendono ora più facile negare che i rapporti fra i due sessi sono ancora caratterizzati da forti squilibri. Sì continua a ripetere che le donne hanno raggiunto la parità sessuale, e che la famiglia attraversa una fase di instabilità e di crisi che da quando, almeno in alcuni Paesi, si è diffuso l’uso della pillola non ci sono più disparità fra uomo e donna. Coloro che affermano che la parità sessuale è stata raggiunta, portano come esempio quelle donne che hanno delle posizioni di potere. (Ma come spesso avviene per le «soluzioni individuali» il loro potere è solo illusorio, non reale, perché non appena esse rifiutano di adeguarsi alle regole del gioco la loro posizione cambia, e poiché di questo sono coscienti, saranno loro le prime a difendere coloro da cui derivano il potere). Questi fatti non fanno altro che mascherare la vera situazione di impotenza delle donne. Le nuove generazioni non sanno che fino a dieci anni fa, le nostre rivendicazioni più fondamentali erano ancora considerate tabù. Le idee sulla liberazione della donna che erano sembrate così rivoluzionarie ed eccitanti, erano già state accantonate dalle più giovani che le consideravano sorpassate, e dalle più anziane, che le consideravano una moda passeggera.
I mass-media hanno banalizzato gli obiettivi del Movimento di liberazione della donna: in nome della “liberazione”, . si insegna alle donne come essere più attraenti, e non come combattere il sessismo, di cui la nostra società è permeata; i libri sulla sessualità sono spesso centrati sulle tecniche per piacere di più agli uomini, insegnandoci a criticare la vittima, invece che aiutandoci a non diventarlo. La rinnovata ricerca di soluzioni individuali a problemi collettivi è improduttiva oggi come lo era dieci anni fa. Voler risolvere personalmente i propri problemi sessuali significa il più delle volte cercarci un giusto partner, cambiare il proprio modo di essere, scoprire nuove tecniche, spesso rischiose, tutte soluzioni che non fanno che mascherare i veri rapporti di forza che sono alla base dei rapporti sessuali.
Qualche anno fa, un gruppo di donne che avevano preso parte sin dai primi momenti al Movimento, si incontrarono per parlare di quanto era cambiato nella loro vita sessuale dagli inizi del Movimento. Tutte dichiararono di vivere i propri problemi sessuali in modo diverso, ma non necessariamente migliore. Alcune di loro erano riuscite a dire ai loro compagni che cosa procurava loro piacere, ma in alcuni rapporti il partner provava disagio da questa nuova situazione. Altre, pur essendo riuscite a raggiungere l’orgasmo, si accorgevano che questo non bastava a rendere felice il loro amore. Alcune donne che erano diventate lesbiche si trovavano a dover affrontare una serie di problemi e di ansie tipiche di una società che condanna l’omosessualità. Una donna lamentò che da quando aveva preso coscienza, il sesso non aveva per lei più alcuna attrazione, e un’altra dichiarò che si sentiva rifiutata. Neppure la più entusiastica delle femministe può dire di sentirsi “liberata” in una società sessista. Il concetto di “liberazione sessuale” perde di significato se alla donna non viene data la possibilità di rifiutare o di accettare i rapporti sessuali senza per questo venire sfruttata o subire pesanti ritorsioni. Ma lo sfruttamento e la ritorsione minacciano ancora la libertà delle donne. Non poter scegliere liberamente se e quando diventare madri, sentirsi sole di fronte alla responsabilità di educare i figli, essere violentate e poi psicologicamente intimidite, sono alcune delle dolorose esperienze che possono capitare ad una donna che sceglie di essere sessualmente attiva. Perdere il posto di lavoro, sentirsi ridicole, rifiutate, isolate, e correre il rischio di subire violenze fisiche sono alcune delle minacce che incombono sulle donne che rifiutano il sesso. Quando gli ideali femministi radicali, nati dalla presa di coscienza che il personale è politico, vengono fatti propri da quelle istituzioni che intendono servirsene per stravolgere il vero significato, quando i nostri progetti diventano l’oggetto dell’offensiva dì movimenti repressivi e conservatori, la consapevolezza della dimensione politica dei nostri rapporti sessuali e la sua potenziale forza trasformatrice, rischiano di disperdersi. Immaginare una liberazione sessuale che non sia parte integrante di una più generale liberazione della donna, rischia di farci approdare a situazioni che conosciamo già; dove non ci sono maggiori libertà ma maggiori costrizioni da accettare o da respingere. La nostra unica risorsa è quella di acquistare sempre più consapevolezza del legame esistente fra sesso e potere e di creare un movimento politico che trasformi la nostra consapevolezza in azione.
(1) ERA, Equal Rights Amendment, il 27° emendamento alla Costituzione: «Il Governo federale e i governi degli Stati non dovranno negare, né limitare in base al sesso, l’eguaglianza dei diritti civili»