Jiang Qujing: un’altra strega al rogo
II coordinamento femminista di Bolzano ci ha inviato questa lettera sul caso Jiang Qujing, che pubblichiamo volentieri. La redazione di Effe ha già dato la sua adesione all’appello indetto da
Le Monde e II Manifesto per impedire l’esecuzione della condanna a morte nei riguardi di Jang Qujing.
Si sta concludendo in questi giorni in Cina il processo contro la “famigerata banda dei quattro”.
Indipendentemente dal verdetto finale, che pensiamo sarà comunque duro, perché dovrà essere esemplare, riteniamo indispensabile pronunciarci sull’atteggiamento assunto nei confronti dell’imputata Jiang Qujing, sia dai dirigenti cinesi sia dalla maggioranza degli organi di informazione italiani.
Per rafforzare la svolta politica impressa alla storia cinese dalla morte di Mao, gli attuali dirigenti hanno voluto incriminare alcune personalità politiche maggiormente rappresentative dei valori della rivoluzione culturale, nel tentativo di screditare tutto quello che essa ha significato.
Non vogliamo esprimere un giudizio sui fatti storici, quello che invece intendiamo denunciare è l’immagine che della donna Jiang Qujing vogliono far emergere da questo processo. Non certo una donna politicizzata, intelligente collaboratrice di Mao, ma l’aspetto che da sempre nella mentalità comune sia orientale sia occidentale, si è voluto ricercare nella dimensione donna: quello di provocatrice e peccatrice e quindi come sempre di “strega”.
Del resto è sempre la solita vecchia storia che si ripete; il potere non è per le donne e quando per capacità ed intelligenza una donna ha l’opportunità di esercitarlo, ecco allora la necessità di ricercare o meglio di creare per lei gli attributi ed i luoghi più comuni: “ex ballerina” (come se esistesse una differenza tra questa denominazione e quella
di ex ministro) “ex amante di” … ed “attuale amante di” … o nel migliore dei casi “moglie o vedova di” …
Nonostante quasi tutti i mezzi di informazione nazionali si siano uniformati su questa immagine di Jiang Qujing, costruita sulle volutamente scarse e selezionate notizie che di lei forniscono le autorità cinesi, la figura di Jiang Qujing emerge su tutti i suoi accusatori; l’isolamento fisico e morale in cui si trova dalla morte di Mao non ha intaccato la sua dignità e la sua coerenza che ha difeso con coraggio ed orgoglio.
Riteniamo comunque che l’atteggiamento generale degli organi di informazione, salvo qualche rarissima eccezione (vedi II Manifesto), sia stato scorretto ed oggettivamente complice degli attuali dirigenti cinesi nel tentativo di trovare ampi consensi attaccando un’idea attraverso il processo ad un modo di essere donna che contrasta con quello che è tradizionalmente il ruolo imposto dal mondo maschile sia in occidente come in oriente.
Chiediamo che almeno quelle testate che hanno quasi sempre riportato le voci dell’opposizione politica nei vari Paesi e che tanto spazio ad esempio hanno dato alla repressione del dissenso nei Paesi dell’Est ridiano a Jiang Qujing la sua dignità di donna, che ha fatto la rivoluzione ed ha poi continuato a lottare per le sue idee, ed inizino una campagna per la liberazione di questi imputati che rappresentano il dissenso in Cina.