la famiglia maternale

gennaio 1980

Perché oggi la donna si trova in questa insopportabile situazione? Per rispondere a questa domanda è necessario analizzare l’evoluzione della condizione della donna nelle diverse tappe della Storia.
Nella più remota antichità, agli albori della società umana, si stabilì una divisione fra lavoro femminile e lavoro maschile dettata da fattori naturali ma anche di progresso. Andare a caccia dei mammut e difendere la specie dalle belve feroci erano compiti che non potevano essere assolti da colei che presiede alla riproduzione della specie. Questo «facile lavoro femminile» di cui oggi si parla con tanto disprezzo, aveva allora un solo significato: oltre al compito, duro e pericoloso, dì dare una continuazione alla specie, la donna era addetta a lavori relativamente più facili di quelli dell’uomo. Una bestia feroce poteva lacerare un uomo: questi provava allora la stessa sofferenza di una donna che mette al mondo un figlio, e rischiava anche lui la vita. Esisteva dunque parità difronte al dolore, una parità di rischi e una parità nei compiti. I secoli passano, e la società si evolve e muta.
Si inizia quindi un’epoca di patriarcato. La necessità di difendersi dalle bestie feroci non c’è più, la caccia non costituisce più il principale mezzo di sostentamento. I rischi, le sofferenze, i lavori pesanti non sono più costanti della vita dell’uomo.
Nella vita della donna invece i rischi, le sofferenze e il più duro dei compiti non hanno potuto scomparire, altrimenti sarebbe finita l’umanità della specie. Eppure tutta questa sofferenza è stata in qualche modo dimenticata, relegata in secondo piano; la nascita non era più un «miracolo», ma un fatto del tutto naturale, un surplus gratuito per fabbriche ed eserciti.
Quali erano allora i doveri delle donne e quelli degli uomini? Nella maggior parte delle famiglie, le donne accudivano i bambini, e si occupavano dell’andamento della casa, mentre l’uomo lavorava per guadagnare da vivere per tutta la famiglia: nelle famiglie più povere rientravano nei “lavori dì casa” mansioni di tipo maschile (tagliava la legna, portava l’acqua, faceva le riparazioni della casa). La parità difronte al dolore e difronte ai rischi non c’era più. (Pensiamo per esempio all’irreprensibile famiglia Oulianov, in cui la madre si occupava di sei figli). L’ineguaglianza di diritti politici e giuridici era ormai dominante. Per non parlare delle ingiustizie sociali: a quell’epoca alcune donne erano operaie nelle fabbriche, altre braccianti, ad alcune si chiedeva solo di mettere al mondo figli. La dura condizione della donna veniva considerata nel quadro dì una situazione di malessere generale, per cui, il miglioramento di tale condizione si riteneva subordinato alla soluzione di problemi più generali. Le parole di Lenin «da ora in poi la cuoca dirigerà gli affari di Stato» riassumevano il sogno di una nuova famiglia e la grande speranza di rapporti nuovi fra i sessi. Ma nel periodo del culto della personalità di Stalin la questione della famiglia fu considerata secondaria, e fu quindi completamente ignorata (1). Ai nostri giorni, la donna, teoricamente liberata ha (o non ha) gli stessi diritti politici e giuridici dell’uomo, ma non ha comunque gli stessi diritti morali. Quanto ai doveri, non ci sembra esserci alcuna uguaglianza. Nessuno ha liberato l’uomo dal dovere di guadagnare la vita per -sé e la sua famiglia, ma l’aumento del costo della vita è tale che il danaro guadagnato non è più sufficiente a mantenere una famiglia di tre persone. Secondo dati ufficiali, il salario medio in Unione Sovietica è di 150 rubli. Questa somma permette a mala pena ad una famiglia di tre persone di non morire di fame. Con un salario così basso, non sarà possibile ad una famiglia dare ai figli la frutta e i legumi necessari alla loro crescita. Non è neanche il caso di pensare a spese per il vestiario (che pure il nostro clima rende indispensabili). Ora, questa cifra è solo una media, e per di più ufficiale. La maggior parte della gente si accontenta di un salario ancora più basso (se vogliono scegliere il loro lavoro, gli intellettuali guadagnano ancora meno degli operai). Facciamo ancora un passo avanti nella realtà delle cose: se pensiamo a quanta parte del salario degli uomini finisce in alcolici, ci rendiamo conto del fatto che essi hanno dimenticato il loro «compito»: quello di mantenere i figli. Quanto poi al contributo maschile ai lavori di casa, si può affermare che da quando le case hanno il riscaldamento centralizzato, l’acqua corrente e il gas, esso è quasi inesistente. L’uomo non si sente coinvolto nei problemi del ménage. Colui che sa anche solo attaccare un chiodo è diventato una rarità biologica. Tutti i «chiodi» indispensabili nella vita giornaliera vengono piantati dalle donne. Gli uomini che aiutano le mogli in casa sono una minoranza, li si potrebbe quasi contare sulla punta delle dita.
Semplificando un po’ si potrebbe dire che esistono attualmente due tipi di comportamento maschile: 1) dopo il lavoro l’uomo si ubriaca e, tornato a casa, si stravacca sul letto o fa una scenata; 2) dopo il lavoro, l’uomo si siede in poltrona, legge il giornale o guarda la TV (esiste anche una variante ideale: l’uomo che dopo il lavoro si dedica al suo hobby). Abbiamo fatto solo due casi, sufficienti però a dimostrare che il compito principale dell’uomo oggi è quello di mantenere la famiglia con il suo lavoro. Enumeriamo adesso gli obblighi della donna.
1) Come nell’antichità mettiamo al mondo la generazione futura nel sangue e nel dolore. Se oggi tutte le donne si rifiutassero di procreare, domani sulla terra non ci sarebbe più un solo uomo. Nessuna umanità, nessuna generazione futura a cui trasmettere la nostra esperienza e la nostra cultura. Eppure questo compito non è considerato una credenziale della donna. Si ha più comprensione per un bambino che si buca un dito, che per una donna che muore mettendo al mondo un figlio. Difficilmente troverai meno rispetto per la persona umana che nella maternità, anche la migliore. La partoriente viene considerata con un disprezzo misto a disgusto, come se fosse una donna facile; le sue sofferenze come la manifestazione della sua degradazione. Colei che si trova in questa situazione perché vuole un figlio, incontrerà solo derisione e disprezzo. Ci si comporta con lei come con una bestia che non sa perché si lamenta. L’incredibile sporcizia che regna nei reparti di maternità non fa che accrescere le sofferenze morali della donna. I mariti, che non hanno la più pallida idea di quello che le loro mogli stanno attraversando, sono incapaci di esprimere loro tutto il rispetto che meriterebbero. E sono proprio loro che non hanno versato neppure una stilla di sangue per il loro figlio, che nel giro di una settimana pronunceranno le solite frasi: «Spicciati scema, fammi questo…!».
2) Il facile lavoro delle donne, oggi, non è più tale. Anche nelle città i grandi magazzini non sono ben forniti, e con quello ohe si trova non è facile riuscire a preparare un pasto. Considerando che
una famiglia media non può permettersi un frigorifero, la spesa al mercato diventa una preoccupazione quotidiana. La scarsità di prodotti ha come conseguenza interminabili file davanti ai negozi di verdura e di frutta. Madri scrupolose perdono ore per fare la spesa! E avete mai visto voi un uomo in coda? Loro le code le fanno, ma solo davanti ai rivenditori di bevande. L’aumento dei prezzi e la merce scadente sono una difficoltà in più da dover affrontare giornalmente. Ma non c’è solo la spesa a riempire la nostra giornata.
3) Dare un’educazione ai bambini: gli asili nido sono quasi un’utopia, o meglio un’antiutopia: i bambini che ci vanno in buona salute finiscono con l’ammalarsi. Sta alle donne quindi chiedere dei permessi per accudire ai figli (2).
4) In tutto questo, è necessario che anche la donna lavori fuori casa; e non tanto per vivere meglio, quanto per sopravvivere (2). Ed è a questo punto che la donna si trova in una situazione anomala: si preferisce infatti sempre assumere un uomo, piuttosto che una donna e per di più una madre. Quando si assume una donna, sin dalla prima assenza la si guarda con sospetto. Come al solito è la madre colpevole di avere il figlio ammalato. Dopo due o tre assenze si trova il modo di sbarazzarsi di lei.
Uno ogni quattro: questo è il rapporto di uguaglianza negli obblighi per gli uomini e per le donne. Ci sono famiglie in cui questa sproporzione è particolarmente evidente. Nella maggioranza dei casi, ad esempio, un lavoro creativo non porta nulla a casa, neppure uno stipendio complementare. Una persona che si dedichi ad un lavoro creativo non percepisce alcun salario. E se si tratta di una donna? E se per lei questo è il quinto lavoro? Praticamente essere madre e creatrice sono due situazioni incompatibili (salvo poche eccezioni: le nonne che si occupano dei nipotini). Messo al mondo un bambino, la donna può mettere una croce su se stessa. Ci sono donne che dicono, con una certa fierezza: «Ora non sono più io, sono il mio bambino». A poco a poco la vita della donna si trasforma in quella del bambino. La famiglia si costruisce sulle ossa della donna, sul suo sangue. La famiglia schiaccia la creatività della donna. Non esistono famiglie in cui un uomo, anche il più comprensivo, farebbe per sua moglie, anche la più virtuosa, quello che una donna farebbe per suo marito: annientare la sua potenzialità creatrice per permettere alle facoltà dell’altro di evolversi. La donna afferma: «La mia ambizione sei tu», e allo stesso tempo distrugge in se stessa una potenziale Mozart. Quando non è lei a dirlo, è il marito che compie questa operazione distruttrice dicendo: «Non è mai esistito uh Mozart donna, e non esisterà mai, Dio vi ha create così».
L’uomo crede di essere il solo, capace di creare valori culturali. Ma la cultura creata da lui non ci basta, manca di qualcosa, ohe secondo noi è l’Amore. L’Amore di cui l’uomo si fa una maschera e che non esita a vendere. Questa parola nasce nel profondo del tuo cuore — ti dilania — peccato mortale — bisogna estirparla in te — non lasciarla vivere. Per essere creativa, la donna deve fare sforzi eroici sconosciuti agli uomini. Ma lei concentra tutte le sue forze per, creare una cultura che cambierà la vita. Un ultimo punto: i diritti morali delle donne. La famiglia che spezza lo slancio creativo della donna, si costruisce spesso sull’amore beffato della donna. Oggi, come ieri (eccezion fatta per il Rinascimento) in amore la donna ha solo il diritto di rifiutare, non quello di scegliere. Può scegliere un uomo fra quelli dai quali è già stata scelta. L’amore non condiviso è una tortura per la donna che non ha il diritto di manifestare un interesse per colui che ama; se una donna lascia trasparire i suoi sentimenti viene derisa, una conseguenza questa della gretta concezione che l’uomo ha dell’amore nella nostra società. L’uomo immagina che la donna che pronuncia la parola «amore» debba provare ì suoi stessi sentimenti, ed è per questo che trova che ci sia qualcosa di vergognoso nel suo esprimersi con chiarezza. L’uomo ha il diritto non solo di esprimere il suo amore, ma anche, servendosi di qualunque mezzo, compreso 11 ricatto, di esigere amore. Deprezzando la donna che ama, avvilisce se stesso, lui che ha dichiarato il suo amore. Il disconoscimento di questa contraddizione è tale, che se piangono e si rotolano ai nostri piedi, non fanno altro che riconoscere la superficialità del loro giuramento. C’è un’atavica mancanza di serietà nel rapporto con la donna che si ama, e con la famiglia che con lei si costruisce. I vizi contemporanei nascono proprio da questo: l’uomo rifiuta di assolvere i suoi compiti familiari? Ne ha il diritto! Cerca di guadagnare abbastanza per sé, senza pensare ai figli e alle loro necessità? Anche questo è un suo diritto. Passa da una donna all’altra senza per questo avere una cattiva reputazione come succederebbe ad una donna? Lo può fare. Quello di cui però non sembra accorgersi è che quello che sta nascendo, anzi già esiste, è la famiglia materna, una famiglia in cui sempre di più la donna, indipendentemente dalle sue condizioni economiche e culturali, riesce a fare a meno di un marito ubriaco. Nella famiglia, quest’uomo non assolve ai suoi compiti, e nello stesso tempo perde parte dei suoi diritti, fra i quali quello assai importante di dare un’educazione ai suoi figli, di formare la generazione del futuro. La sua funzione si limita a quella di riproduttore. Più spesso il nucleo familiare si sgretola, non tanto per la nascita di un nuovo amore, quanto perché i figli chiedono alla madre di liberarli della presenza della figura paterna. L’uomo, per quanto ancora sicuro di sé, comincia ad avvertire che la sua posizione non è più così comoda, che si è iniziato il suo declino. La società delle madri e dei loro figli lo esclude. La libertà è una spada di Damocle che gli pende sulla testa. I figli cresciuti da una persona con una mentalità diversa- non vorranno più un padre tradizionale. Creeranno un’altra vita in cui non ci sarà più posto per la brutalità paterna.
Ma che ne è della donna ora? Ella deve essere tutto, e lo diverrà. I suoi obblighi più gravosi si convertiranno in diritti, e quanto più quelli saranno gravosi tanto più questi saranno gratificanti. L’ultimo dei poeti patriarcali sogna invano che:
«La donna diverrà donna:
madre, sorella e sposa
rincalzerà le sue coperte e lo sveglierà
gli mescerà del vino lungo la strada
accompagnerà suo marito e suo figlio
li abbandonerà solo alla fine della strada».
No, colei che non è sorretta né aiutata dall’uomo non sarà più un semplice prolungamento del marito. Non sarà ridotta ad essere madre, sposa o sorella. Farà altre cose oltre a rincalzare le coperte, e svegliare i bambini. Oggi è la donna ad essere più avanti dell’uomo nel cammino della vita. La donna progredisce, supera le morti provocate dalla natura e dagli uomini, con una forza vitale inesauribile; la donna diverrà tutto, anche creatrice, del mondo a venire, e non solo con il suo corpo, ma con tutta la sua anima.

(1) NdT.: cfr. Crtstaldi P. «La donna In Unione Sovietica» su «Inchiesta» 1978 n. 34; e anche T. Balanskaia, «Una settimana come un’altra», Ed. Riuniti, Roma 1978.
(2) cfr. Nash Souvremennik n. 6, 1975.