USA 1980 Un mito da sfatare
Una delle relazioni più interessanti presentate al seminario su “le politiche economiche del lavoro femminile in Italia e negli Stati Uniti” svoltosi a Roma il 9,10 e 11 dicembre presso il Centro Studi Americani, è stata quella di Nancy Barrett, una economista che è stata Sottosegretario di Stato al lavoro durante l’amministrazione Carter.
Confrontare le diverse esperienze in materia di lavoro femminile e di rapporti tra donne e istituzioni: con questo obiettivo, dal 9 all’H dicembre, si è svolto presso il Centro Studi Americani di Roma un seminario di studio su “Le politiche economiche del lavoro femminile in Italia e negli Stati Uniti” organizzato dallo stesso Centro e dal German Marshall Fund of the U.S., una fondazione tedesco-americana che da diversi anni ormai sovvenziona programmi di ricerca sul tema “donne e lavoro” in vari Paesi europei e negli Stati Uniti.
Nei tre giorni si è cercato di far luce su tutti i fattori che determinano la posizione “marginale” delle donne sul mercato del lavoro, e si sono discusse alcune questioni cruciali: occupazione, sindacati, sicurezza sociale, sistemi di tassazione, servizi, legislazione sulla eguaglianza di opportunità, lavoro domestico, riproduzione sociale.
L’aspetto forse più interessante del Seminario è stato infatti l’aver voluto analizzare tutti i diversi aspetti del lavoro femminile, compreso il lavoro domestico, cioè il lavoro senza reddito monetario e il “reddito senza lavoro”, come le pensioni, gli assegni familiari e gli altri benefici sociali. Lo scopo era quello di riuscire a percepire le cause del comportamento delle donne sul mercato del lavoro riguardo al tipo di impiego, alla mobilità, al part time, alle condizioni di lavoro, all’assenteismo, ai salari, pensioni, sussidi di disoccupazione, ecc. “Solo se si tengono presenti tutti questi elementi, diventa infatti possibile valutare il comportamento della donna, che ovviamente riflette la sua posizione anche nella famiglia e nel sistema dei servizi pubblici e dell’assistenza sociale» ha detto Antonella Picchio nell’introduzione.
Il risultato più interessante emerso dal seminario è che, nonostante le profonde differenze tra i sistemi economici e sociali degli Stati Uniti e dell’Italia, la condizione delle donne nei due Paesi presenta molti punti di somiglianza.
Anzitutto l’andamento costante, negli anni ’70, della presenza femminile sul mercato del lavoro, soprattutto per quanto riguarda le donne sposate e le madri. In Italia come in America, la vita lavorativa delle donne incomincia ad avere la stessa continuità di quella degli uomini. Solo in apparenza ciò è in contraddizione con il fatto che aumentano pure i tassi di disoccupazione delle donne rispetto a quelli degli uomini. Al contrario, i due dati concorrono a dimostrare una maggiore domanda di lavoro da parte della popolazione femminile, che trova solo parziale soddisfazione.
D’altra parte, meno qualificate, meno mobili geograficamente, le donne continuano ad essere occupate nell’ambito abbastanza ristretto dei mestieri tradizionalmente femminili, quindi hanno sempre meno l’opportunità di trovare un lavoro nel loro campo e ancor meno in un altro.
Nonostante i miglioramenti che si sono avuti nella condizione delle donne e la legislazione approvata nell’ultimo decennio, la segregazione occupazionale in base al sesso fa sì che i lavori delle donne siano i meno pagati, i meno stabili, i meno qualificati e con minori possibilità di carriera.
Le relatrici al seminario rappresentavano diverse esperienze a livelli diversi. Più accademiche le italiane: Daniela Del Boca e Margherita Turvani, dell’Università di Torino, hanno svolto due relazioni sul “Lavoro delle donne in Italia: vecchie idee per una nuova realtà”, Marina Bianchi, del GRIFF di Milano “Il lavoro di servizio delle donne”, Maria Vittoria Ballestrero dell’Università di Firenze: “La legislazione italiana con particolare riguardo alla legge 903”, Maria Rosa della Costa, dell’Università di Padova “Stato e crisi: la lotta delle donne in Italia”, Bianca Beccalli, dell’Università di Milano “Donne e sindacato in Italia e negli Stati Uniti”. Più politiche le americane: Nancy Barret, già sottosegretario di Stato al lavoro “La partecipazione delle donne nella forza lavoro negli Stati Uniti”; Nancy Gordon, vice direttore per le risorse umane e lo sviluppo comunitario del Congressional Budget Office “I mutamenti del ruolo femminile: implicazioni per il sistema di sicurezza sociale e il sistema fiscale americano”, Linda Tarr-Whelan, del sindacato degli insegnanti “La legislazione sulla eguaglianza di opportunità e sua applicazione negli Stati Uniti”; Joyce Miller, Vicepresidente del Sindacato dei Tessili “Donne e Sindacato negli USA”.
Una cosa comunque accomunava tutte le donne che hanno partecipato al Seminario: l’aver partecipato in prima persona al movimento delle donne. Questo ha reso il dialogo più facile, nonostante la differenza dei linguaggi e della lingua.
Nancy, ho ascoltato con molto interesse la tua relazione sul mercato del lavoro femminile negli Stati Uniti. Sei stata molto pessimista…
A mio giudizio il pubblico italiano ha una concezione in qualche misura errata di quella che è la condizione delle donne americane. E’ vero forse che abbiamo maggiore indipendenza delle donne italiane, ma la situazione non è poi molto dissimile da quella esistente nel vostro Paese. Ci sono molti miti da sfatare. I mezzi di comunicazione di massa in questi ultimi anni hanno sottolineato gli aspetti insoliti o sensazionali: ci hanno dato ritratti di donne minatori, pompiere, “executive”… I dati dell’ufficio di statistica invece ci danno il ritratto delle donne che non hanno mai raggiunto la notorietà.
Nel 1975 tre quarti di tutte le donne che lavoravano a tempo pieno guadagnava meno di 10.000 dollari, vale a dire meno di un terzo degli uomini. Per la precisione una donna guadagna in media 59 centesimi per ogni dollaro guadagnato in media da un uomo.
Questa disparità di trattamento non è dovuta al fatto che le donne hanno meno esperienza degli uomini o che sono state costrette per certi periodi a rimanere lontane dal lavoro perché costrette ad occuparsi dei figli. L’anno scorso il reddito medio di una donna con quattro o più anni di università era inferiore al reddito medio di un uomo che aveva abbandonato gli studi durante la scuola secondaria.
Ora è vero che dopo l’approvazione dell’Equal Pay Act (Legge sulla parità di salario) nel 1963 è illegale pagare salari diversi per lo stesso lavoro. Ma uomini e donne fanno lavori diversi, e le donne sono segregate nella fascia di lavori meno retribuiti.
Circa l’80% della manodopera femminile è concentrata in occupazioni che sono prevalentemente femminili, poco pagate e con nessuna prospettiva di carriera. Un esempio si può avere guardando alla pubblica amministrazione. I tre quarti dei lavori di categoria inferiori — livelli 1-4 (con salari di 6.500-9.400 dollari l’anno) — sono tenuti da donne. In contrasto, le donne occupano solo il 4% dei lavori di livello 14-18 (con salari superiori ai 32.000 dollari l’anno).
Le donne lasciano sempre meno il loro lavoro per motivi familiari. Ma nonostante ciò determini un arricchimento della loro esperienza, non vengono comunque promosse ai livelli superiori. Non si può ancora concepire che una donna possa sovraintendere il lavoro di un uomo.
Un altro mito da sfatare è quello che il salario della donna è di complemento a quello del marito. Circa due terzi delle donne che lavorano non sono sposate o vivono con uomini che guadagnano meno di 10.000 dollari l’anno. Il 14% delle famiglie con bambini hanno a capo una donna. Nel 1977 un bambino su sei viveva in una famiglia senza padre, mentre tale rapporto nel 1970 era di uno a dieci.
Negli Stati Uniti c’è una situazione per qualche verso diversa da quella italiana e che forse da voi si verificherà nel prossimo decennio. In conseguenza dell’altissima percentuale di divorzi e del diverso atteggiamento delle donne non sposate nei riguardi della maternità è in costante aumento il numero delle donne che hanno figli senza essere sposate. Si sente continuamente parlare dell’istituto degli alimenti. In realtà, secondo uno studio che ho condotto l’anno scorso, solo la metà delle donne cui una sentenza di tribunale aveva concesso gli alimenti, hanno di fatto ricevuto qualcosa. E quelle che hanno ricevuto qualcosa a titolo di alimenti in media hanno ricevuto 2.000 dollari l’anno. E’ assolutamente impossibile vivere con una somma del genere, e ciò vuol dire che è necessario integrarla con altre entrate.
Attualmente negli Stati Uniti una fa miglia su sette ha per capofamiglia una donna e un terzo di queste famiglie vivono in povertà. La situazione è destinata a peggiorare. Il 50% dei matrimoni contratti oggi è destinato a finire con un divorzio. Ciò significa che circa la metà dei bambini nati oggi vivranno almeno per una parte della loro yita in una famiglia senza padre e la probabilità di vivere in povertà è sei volte maggiore di quella dei bambini che hanno un padre. La metà circa dei 10 milioni di bambini che vivono in povertà sono mantenuti unicamente dalla madre.
Se si continuerà a mantenere le donne nei lavori a più basso reddito la povertà è destinata ad aumentare.
Ma non sono solo le donne sole e i loro bambini a vivere in povertà. Il settanta per cento delle persone anziane in povertà sono donne. Le donne in generale, avendo percepito salari inferiori, hanno pensioni molto basse e molte vedove non hanno la pensione di reversibilità.
Un altro mito da sfatare è che i pubblici poteri hanno in qualche modo risposto alle nuove aspirazioni e al cambiamento di ruolo delle donne. L’entrata delle donne nel mercato del lavoro è avvenuta in assenza di ogni servizio di supporto che sostituisse qualcuna delle responsabilità che le donne avevano quando erano casalinghe a tempo pieno. Oggi 6 milioni di bambini in età prescolare hanno madri che lavorano. Nel 1985 saranno 12 milioni circa, ma non si è varato nessun progetto per la costruzione di asili nido e scuole materne. E’ difficile calcolare il costo psichico ed emotivo delle madri che lavorano senza che i loro figli abbiano un’assistenza decente.
Inoltre il sistema di tassazione, con il cumulo dei redditi penalizza grandemente le donne sposate che lavorano. Per molte di loro il salario viene speso in asili, spese relative al lavoro e in tasse.
C’è un’ultima osservazione che vorrei fare. Oggi è di moda avere una moglie che lavora. C’è una nuova mistica della femminilità che prevede che la donna debba trovare un lavoro interessante. Il senso di frustrazione della donna che si rende conto di aver accesso solo a lavori tradizionali e mal retribuiti è quindi grande. Si sente una fallita!
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Non ritieni dunque che si sia fatto alcun progresso dalla nascita del femminismo?
Ritengo che il cambiamento più gran-de che si è verificato consiste nel fatto che la maggior parte delle donne oggi I non considerano più la creazione di una | famiglia, la maternità, l’essere moglie j come l’obiettivo principale della loro vita. Oltre la metà delle donne adulte ha un lavoro fuori casa e quelle che ancora non l’hanno si aspettano di poterlo avere in un altro momento della loro vita. Le donne stanno cominciando a considerare sé stesse sempre più come soggetti in grado di guadagnare un reddito e ciò significa che la concezione che hanno di sé stesse, dei loro rapporti con gli uomini e delle loro responsabilità nei riguardi della famiglia è già profondamente cambiata. I cambiamenti più grandi si sono avuti nei rapporti interpersonali tra uomini e donne.
Ritieni che l’amministrazione Carter abbia dato un contributo specifico alla realizzazione degli obiettivi del movimento delle donne?
Sono del parere che le cose cambiano molto lentamente e che la politica del governo non è la chiave di volta della parità per le donne e ancor meno per la loro liberazione. Certo l’amministrazione Carter ha destinato a cariche di alto livello più donne di qualsiasi altra amministrazione precedente. Abbiamo oggi più giudici federali donne; c’erano molte più donne in posti di primo piano nell’amministrazione pubblica e c’erano due donne nel gabinetto. Carter però non ha nominato una donna nella Corte Suprema e questo, a mio parere, è stato un grave errore perché questa è la sede in cui si interpreta la Costituzione e si deciderà ad esempio se l’aborto continuerà ad essere legale. Mi sembra che se le opinioni e i diritti delle donne debbono essere pienamente rappresentati in ogni aspetto della società, è necessaria una rappresentanza femminile in seno al massimo organo giudiziario.
D’altra parte Carter ha appoggiato l’emendamento per la parità dei diritti. Ritengo che negli Stati Uniti siano stati compiuti grossi passi in avanti rispetto alla situazione in cui le donne erano considerate Un gruppo di persone che avevano bisogno di una speciale tutela, un gruppo che avrebbe potuto in qualche misura rappresentare una minaccia per il tessuto sociale qualora gli fossero stati conferiti gli stessi diritti degli uomini.
La maggioranza della gente si è staccata da questa posizione e pensa che le donne debbano avere la parità dei diritti rispetto agli uomini. A mio giudizio è stato però assolutamente inadeguato il passaggio dagli atteggiamenti teorici in materia di parità e dalle leggi sulla parità ad una situazione concreta in cui le donne possano avere la possibilità di guadagnare quanto gli uomini e possano realizzare le proprie ambizioni personali nella stessa misura degli uomini.
Oggi avete un nuovo Presidente, che, a quanto pare non è proprio un paladino dei diritti delle donne. Inoltre è cambiata la maggioranza al Senato ed anche alla Camera dei rappresentanti i democratici hanno perso terreno. Molti liberate, come McGovern, Culver, Birch Bayth non sono stati rieletti. Cosa prevedi per i prossimi anni?
In realtà ci sono due temi distinti. Uno ha a che vedere con le leggi e i diritti e l’altro, come dicevo in precedenza, ha a che vedere con la realtà. Per quanto riguarda le leggi e i diritti, il presidente Reagan ha continuamente assunto posizioni molto conservatrici su tutti i temi che riguardano i diritti delle donne, ad esempio sull’aborto. Si è dichiarato favorevole ad un emendamento costituzionale per proibire l’aborto.
Resta da vedere se riuscirà a far approvare questo emendamento; Il presidente Carter non è riuscito a far approvare l’Emendamento per la Parità dei diritti-Certo è che Reagan ha atteggiamenti conservatori nei confronti di tutte quelle leggi che riguardano direttamente le donne. E’ convinto che le donne debbano essere protette e che le leggi debbano prevedere per loro norme diverse rispetto a quelle per gli uomini.
D’altro canto, ci sono realtà con cui questa amministrazione dovrà fare i conti. E la più importante è quella che riguarda la povertà delle donne. Ne ho già parlato. Quando le donne non hanno accesso a buoni posti di lavoro il problema della povertà si aggrava e non è possibile arrestarlo. L’amministrazione Reagan dovrà trovare il modo per offrire maggiori possibilità di occupazione a questi milioni di donne che vivono sole con i figli, oppure si vedrà costretta a j far fronte ad un aumento delle spese j per l’assistenza pubblica. Ora Reagan ha J promesso un taglio della spesa per l’assistenza pubblica. Ma il solo modo per j ridurla consiste nell’offrire alle donne j possibilità occupazionali migliori e ben j pagate. Ciò vuol dire che le donne devono uscire dai tradizionali ghetti occupazionali: lavoro domestico, lavoro sottopagato negli ospedali, lavori in genere consistenti nella prestazione di servizi.
Ritieni sia necessario un mutamento di strategia da parte del movimento delle donne?
Credo che il movimento delle donne abbia già cominciato a cambiare strategia, allontanandosi da una strategia che veniva intesa come una minaccia nei confronti della famiglia e della posizione economica degli uomini. Del resto nel nostro Paese, come nel vostro e in molti altri Paesi occidentali, è in corso una svolta conservatrice. La militanza degli anni ’60 è sparita con la crescita di quella generazione di giovani nati durante il boom demografico e con la fine della guerra in Vietnam. La nostra società è entrata in un periodo più conservatore e il movimento delle donne per continuare a progredire dovrà muoversi in questo contesto sociale. Dovrà muoversi in un contesto in cui il progresso delle donne potrà realizzarsi solo attraverso un ordine sociale stabile che sottolinea i l’importanza della famiglia. Ma è dunque necessario riflettere su quelli che | sono stati i mutamenti delle nostre famiglie. Credo che nessuno desideri tornare alla famiglia tradizionale degli anni ’50 in cui la donna faceva la casalinga e l’uomo guadagnava da vivere. Dobbiamo piuttosto riflettere sulla varietà di strutture familiari che esistono oggi e pensare al progresso delle donne in quel contesto. Oggi le donne mantengono le loro famiglie e quindi hanno bisogno di centri per l’assistenza all’infanzia. Credo che il movimento delle donne debba sottolineare che questi nuovi diritti — posti di lavoro migliori, assistenza all’infanzia, maggiori tutele nell’ottenimento del divorzio, migliori trattamenti pensionistici, un più equo trattamento fiscale — sono disperatamente necessari per far progredire le donne e soprattutto per fare uscire le famiglie con a capo una donna dalla condizione di povertà.
Un’ultima domanda. Tu sei una femminista che ha deciso di lavorare all’interno delle istituzioni. Pensi che la tua presenza al Ministero del lavoro abbia in qualche modo giovato alla causa delle donne americane?
Al Ministero del lavoro non mi occupavo in modo specifico di problemi legati alla condizione femminile. Ritengo però che ognuna di noi che si trovi in posizione di responsabilità abbia modo di influire sulle decisioni che altri debbono prendere, facendo notare quegli aspetti del lavoro e della vita delle donne che nella maggior parte dei casi vengono ignorati. Ti faccio un esempio. Ad un certo punto si stava studiando l’organizzazione di corsi di qualificazione professionale per giovani che prevedevano un soggiorno di alcuni mesi in speciali campi. Ebbene, nessuno aveva pensato che, se si voleva che anche le giovani donne disoccupate potessero frequentare i corsi, bisognava dar loro le attrezzature per i figli. Molte ragazze, anche giovanissime, dei ceti più poveri hanno un figlio. Spesso lo mettono al mondo per non perdere l’assistenza sociale. Ma nel momento in cui si vuole spezzare il circolo vizioso povertà-assistenza sociale povertà, si deve tener presente la realtà e partire da quella. Quando l’ho detto al collega che doveva organizzare i corsi, è caduto dalle nuvole perché non ci aveva mai pensato.
Ritengo sia importante che molte femministe entrino in posti di responsabilità e di potere. E’ l’unico modo per potere in qualche modo influire sulle decisioni che ci riguardano.