donne di san basilio
S. Basilio: 70.000 abitanti su uno scampolo di 2.500 ettari.
Roma è distante solo 20 km, ma è un altro pianeta. In questa borgata (inaugurata nel 1938 da Rachele Mussolini e definita dalla stampa del regime «un dono senza eguali» ai proletari romani) è esploso nuovamente, qualche settimana fa, il ‘dramma della casa’ (nella capitale occorrono 700.000 vani, ma ne sono stati costruiti solo 90.000; ben 60.000 appartamenti sono vuoti perché troppo cari, inaccessibili per i cittadini, mentre i superburocrati si procurano alloggi gratuiti naturalmente con telefono gratuito incorporato). Dopo i gravi incidenti del settembre scorso, culminati con la morte del giovane Francesco Ceruso, è tornata a S. Basilio una calma plumbea, la cosiddetta ‘normalità. è proprio questa ‘normalità’ — che qui è squallore quotidiano, emarginazione come dato costante — che costituisce il vero ‘scandalo’ di S. Basilio, così come di tutte le borgate romane.
A. S. Basilio, parlando con le donne (che, in borgata, portano il peso di una doppia emarginazione) mi è capitato spesso di sentire ripetere che la situazione era normale , tutto adesso era tornato normale . E il modo in cui lo dicevano — con la rassegnazione spenta, la diffidenza, la mancanza di speranza di chi si sente ormai naufragato — era l’accusa più rovente contro uno stato di cose che fa di un modo disumano di vivere la ‘normalità’. Che cosa significhi la vita normale a S. Basilio, come in qualunque altra borgata romana, lo si capisce chiaramente dalle parole di queste donne.
Maria, 50 anni, vedova, tre figli, sta comprando la frutta ad una bancarella: «Sto qua da 19 anni, prima stavo a Terracina e mi ci trovavo meglio, c’era meno delinquenza. Qui prima si era poche famiglie, ci conoscevamo tutti, ma adesso… No, è meglio che i miei figli escano fuori di qua. Io sto sempre a casa, a Roma vado raramente, giusto se c’è la necessità. La mia vita è tra la casa e il mercato. La casa è pesante: ho tre figli, ma tutti maschi e chi li vede mai?».
Assunta, 30 anni, sposata con due figli: «Io sono casalinga, ho due bambine, una di 4 anni e una di 6 mesi. Mio marito fa il marmista e io sto a casa. Mi sono stufata di stare a casa ma che posso fare? Non ho mai lavorato fuori, non so se mi piacerebbe. Fuori di S. Basilio non sono stata mai, non vado mai a Roma. C’è tanto da fare in casa, stirare, lavare… Tempo non ne ho, leggere non leggo più; prima sì, ora mi viene mal di testa. Qua a S. Basilio non sto male, io non faccio male a nessuno e nessuno fa male a me… Dell’occupazione delle case non voglio parlare. Ci stava chi aveva ragione e chi aveva torto. Io sto in casa mia».
Daniela, 13 anni e Pina, 13 anni. Timide, ridono nervosamente quando chiediamo di parlare con loro; rispondono con frasi incerte, gli occhi a terra. Sono a S. Basilio da 6 anni, prima stavano al Tiburtino.
Di S. Basilio, dicono «ci piace tutto». In città vanno pochissimo, «non ci interessa». La scuola «ci piace abbastanza»; nel tempo libero giocano «solo tra femmine: a nascondino, a giochi così». Leggono solo fotoromanzi. Libri, qualche volta. Né Pina ne Daniela ricordano quale sia l’ultimo libro che hanno letto. Pina da grande vuole fare la dattilografa e anche Daniela. Vogliono sposarsi e avere bambini. Degli incidenti di settembre sanno poco, tutto è molto vago per loro «Io però ho visto la polizia — dice Pina — e ho pianto». La colpa di chi è, secondo loro? Perché accadono queste cose? «Non so», dicono, «c’è chi ha ragione e chi ha torto». «Ma chi ha ragione?» chiediamo. «Non lo so», e guardano fisso in terra.
Bruna, 14 anni. Occhi seri, viso delicato. Sta seduta su un muretto tra un nugolo di ragazzetti, in compagnia di altre tre ragazze. «Sto a S. Basilio da 7 anni, vengo dalla Calabria. Siamo in 8 in famiglia e i miei hanno fatto molti sacrifici per mandarmi a scuola. Io faccio il 1° anno di maestra giardiniera. Quando non vado a scuola sto dentro casa, non esco mai. Volevo andare a lavorare ma non mi ci hanno mandato: d’altra parte quando vado a Roma non mi ci ritrovo, sono spersa. Qui non c’è niente, da grande vorrei andare via. Sposarmi sì, e avere bambini ma non subito, però non voglio smettere di lavorare, anche per aiutare i miei. «Oltre allo studio, Bruna non ha altre vie d’uscita «Cerco di leggere». I fotoromanzi no, perché sono tutti uguali, finiscono sempre bene. Ma qui c’è solo la cartoleria e l’edicola.