lettera aperta a Vittoria Leone
Gentile signora,
da quando suo marito, l’avvocato Giovanni Leone, è stato eletto, avevamo sentito parlare ben poco di lei. Tranne alcune interviste di tipo familiar casalingo, qualche inaugurazione formato protocollo, c’era ben poco a disposizione per avere una idea della sua funzione al Quirinale, quale rappresentante di moglie di presidente. Ma il recente viaggio in America ci ha fornito molto più materiale del precedente anno e mezzo di first laditaggio. Abbiamo ancora sotto gli occhi le sue dichiarazioni, quelle fatte oltreoceano, quelle fatte al suo ritorno in patria. è trascorso un mese da allora, ma purtroppo noi andiamo in stampa ora e solo ora possiamo piacevolmente commentare le sue dichiarazioni made in USA e quelle, risentite — dice lei — al suo ritorno. In particolare ci hanno colpite alcune sue frasi che ci riguardano in prima persona, noi che militiamo nei movimenti femministi da anni.
Di fronte al fatto che la stampa americana e italiana ha sempre dato risalto alle sue qualità di portavoce della moda italiana, hanno persino detto che lei sarebbe «la mannequin per conto di alcuni sarti» lei è insorta considerando che sminuivano le sue capacità facendo di lei solo una pupattola pronta a mostrare all’estero solo le sue doti di «ambasciatrice di bellezza e di eleganza made in Italy». E fin qui siamo
d’accordo con lei e riconosciamo che non deve essere piacevole essere vista solo come un involucro della crisi tessile italiana e come una pedina nel rilancio dell’economia vestiaria del nostro paese.
Ma alcune dichiarazioni hanno raffreddato parecchio la nostra comprensione, quelle in cui, riferendosi alle femministe lei dice testualmente:
«Non intendo rinnegare una mia radicata convinzione sul dovere che secondo me ognuna ha, e che io sento molto vivo, di rispettare il prossimo incominciando col rispettare se stessi, anche dedicando cura
e attenzione alla propria persona. E c’è che io non intendo rinunciare a questo per fingermi, e magari solo nell’aspetto, in linea con i movimenti di liberazione della donna. C’è anche, del resto, che io non
credo che si combatta sul serio a favore dell’emancipazione della donna imponendo a questa donna di apparire una stracciona disordinata». Crediamo che, indipendentemente dal modo di vestire di ognuna di noi non faccia piacere a nessuna farsi trattare da «stracciona disordinata» dalla moglie del capo dello stato di cui siamo cittadine anche noi. Ed è tanto più sgradito visto che lei si gloria del fatto che il marito attinge per le spese di rappresentanza «al suo conto personale di ex-avvocato con uno studio che tutti sanno quanto fosse bene avviato». Ricordiamo infatti tutti l’attività brillante dell’avvocato Giovanni Leone ad esempio quando difese gli accusati dell’omicidio del sindacalista socialista siciliano Cannevale e di come la sua fervente eloquenza li fece assolvere. Ci sembra solo poco opportuno ricordare le proprie disponibilità finanziarie quando si rappresenta come moglie del capo di Stato un paese che vacilla in una crisi economica drammatica che investe, si sa, ben poco i liberi professionisti ma in modo vitale la maggioranza degli italiani. Ci sembra inoltre che polemizzare con i movimenti di liberazione della donna in termini di abbigliamento — da una parte le signore ben vestite da Valentino e da Galitzine, dall’altra le femministe sciatte e disadorne — sia trattare la questione femminile e la tematica femminista in modo superficiale, non certo adatto a chi dovrebbe tenersi quotidianamente al corrente e conoscere un po’meglio la situazione femminile italiana. Che lei non sia d’accordo con le rivendicazioni femministe non ci stupisce: come moglie di un esponente DC, e di cui non dubitiamo sulla fede cattolica e ligia ai doveri cattolici della famiglia, temi come divorzio, aborto, nuova dignità della donna in un rinnovato nucleo familiare non possono certo avere la sua approvazione e il suo patrocinio. Le posizioni antagoniste possono essere accettate: non sono accettate invece la disinformazione e la riduzione in termini di vestitini e accessori con cui lei si è espressa.
Dire no allo sfruttamento di una particolare immagine di donna che la moda ci impone non significa imporre una donna stracciona e disordinata: significa porre in termini di politica del privato una tematica sui valori femminili. Ma forse il discorso può sembrare difficile a chi rivendica invece il fatto di vestirsi «come mi sono sempre vestita, tenendo conto delle mie esigenze e della mia personalità. Se poi da questo, viene fuori un qualcosa di piacevole ed equilibrato, tale da far propaganda alla nostra industria della moda, ben venga».
E non creda, signora, incontrando una donna disordinata e malvestita che questa lo sia per manifestare le sue idee femministe. Se manca di «glamour» è piuttosto perché deve badare a una casa, a dei figli, spesso a un lavoro, non potendo contare sullo «studio bene avviato» del marito, oppure pagando la sua autonomia con il duro lavoro quotidiano.
E ci dispiace infine di non poterci dolere con lei se gli intervistatori si limitano a farle domande sulla moda e non su altri problemi. Dichiara infatti «Potrei dire quanto mi piacerebbe fare qualcosa per mostrarmi più vera, più partecipe come del resto sono e mi sento, di tanti problemi: per esempio Napoli, per esempio la scuola, per esempio il ruolo della donna nella società di oggi». Se le risposte a tali problemi dovessero essere competenti e esaurienti come quelli sulle femministe, siamo grate ai colleghi.