rai: la bomba di viale mazzini
La simpatia è, in fisica, quella proprietà per la quale se ci sono tanti barili di esplosivo posti ad una certa distanza l’uno dall’altro ed uno esplode per una causa accidentale, anche gli altri vanno per aria successivamente. Se torniamo a parlare di .un episodio — la rivolta delle giornaliste alla Rai — che sarà ormai vecchio e risaputo quando questo numero di «Effe» sarà in edicola, è perché la decisa presa di posizione di queste donne ha tutta l’aria di voler provocare episodi di «simpatia» in altre aziende. Dopo una decina di giorni dalla «dichiarazione di diritti» delle giornaliste, anche operaie e impiegate della Rai (che già, a caldo”avevano dato la loro adesione alle ribelli) hanno preparato infatti un documento in cui si denuncia la discriminazione sessista di chi la lavoratrice è fatta oggetto in Rai e si rimanda al documento delle giornaliste per la critica a quell’immagine della donna che la Rai cerca di perpetuare attraverso una pubblicità tutta sesso e pannolini (la donna-oggetto e la Madre sono, come si sa, i due soli status che l’establishment riconosce all’individuo di sesso femminile) ed un’attribuzione delle funzioni che permette solo agli uomini di emergere e di proporsi come modelli da imitare.
Qualche cifra e qualche dato bastano a fotografare la situazione: a parità di titolo di studio, gli uomini vengono assunti dalla Rai in categoria C, le donne in categoria E; il Passaggio dalla E alla categoria superiore non è regolato da norme precise, ma è affidato alla discrezione dei funzionari e tale «discrezione» fa sì che la Rai continui ad avere l’aspetto di una piramide con una base di donne (operaie che non passano mai alla qualifica di tecnico ed un esercito di dattilografe e segretarie), la cui proporzione diminuisce mano a mano che si procede verso l’alto: su 271 dirigenti solo 21 sono donne.
Naturalmente i posti alla base della piramide sono considerati disdicevoli per gli uomini: fino a quattro anni fa non esistevano stenodattilografi né segretari e la situazione è stata lievemente modificata solo per l’azione di un gruppo di donne che ricordò alla dirigenza che una norme precisa proibisce il lavoro notturno alle donne; da quattro anni al settore giornalistico dispone così di stenodattilografi di sesso maschile per l’orario notturno.
La «rivolta delle donne» nacque in Rai, come si sa, da una alluvione, quella di Caserta dello scorso settembre, ha avuto come protagonista, in un primo tempo, la giornalista Carla Mosca, svegliata in piena
notte perché si recasse sul luogo del disastro e poi rifiutata dal telegionale principe, quello delle 20,30, perché l’avvenimento era diventato troppo grosso (quattro morti, centinaia di senzatetto) per essere trattato da una donna. Nel caso di Carla Mosca l’emarginazione femminile è stata denunciata così rozzamente dal caporedattore centrale Gianni Raviele («una donna mai!») che ha provocato la reazione della Mosca con una lettera al comitato di redazione di Napoli, in cui si segnalava il comportamento di Raviele come lesivo della dignità professionale della giornalista e si chiedeva al comitato stesso di prendere contatto con AGIRT (il sindacato dei giornalisti radiotelevisivi) per tutelare il rispetto del diritto al lavoro. E a questo punto sul primo grave episodio, appena citato, se ne innesta un altro, non meno indicativo: il comitato di redazione (composto di soli uomini) non ha neppure risposto alla lettera della Mosca!
Per puro caso la Mosca parlò dell’accaduto con una sua collega del giornale radio di Roma. «Quasi mi dimetto dall’AGIRT», disse la Mosca. «Ferma non ti muovere!», la scongiurò la collega romana. In poche ore le giornaliste romane orchestrano la protesta e, quel che più conta, la segnalarono alle agenzie li stampa e ai quotidiani. L’indomani il caso era su tutti i giornali: due giorni dopo, l’adesione di operaie e impiegate lo sollevava dal sospetto di agitazione corporativa. Due interrogazioni parlamentari, una democristiana di Maria Eletta Martini, l’altra comunista di Adriana Fabbri Seroni, portavano in parlamento il caso delle donne alla Tv.
Un documento successivamente emesso dalle giornaliste ha chiarito meglio i motivi della protesta che trascende, ovviamente, l’episodio accaduto alla Mosca: l’esclusione delle donne dai più importanti livelli operativi ha finito infatti- per incidere sul tipo dell’informazione radiotelevisiva, sia nella scelta dei temi, sia nel tono della trattazione. Quello che le giornaliste chiedono non è di sostituirsi ai «mezzi busti» della sera, ma di parlare, e non in termini astratti, dei problemi civili che più stanno a cuore alle donne; chiedono che venga mostrata una più autentica realtà femminile, che si informi quale è la reale situazione della donna nel paese, onde si possa; arrivare ad un superamento dei tanti condizionamenti individuali, familiari e sociali tuttora esistenti nei confronti delle donne. Finché l’immagine femminile è quella offerta dalla pubblicità radiotelevisiva, tutta offensiva della dignità femminile — dicono le firmatarie del documento — finché alle giornaliste viene riservato il compito d’illustrare soltanto la moda e la caduta della prima neve, è segno che la Rai cerca di perpetuare un’immagine della donna ancorata a schemi superati e lontani dai problemi di oggi.