luoghi di donne
zanzibar: qui da noi cosa vogliono?
quali sono i problemi di gestione politica ed economica delle librerie, dei centri di documentazione e culturali, dei ristoranti, aperti dalle donne in questi ultimi anni? iniziamo a roma, un viaggio nei locali separatisti e no, sorti in molte città d’italia
Nato nel 1978, lo Zanzibar è un’associazione culturale polivalente per sole donne, gestito, nel cuore della Roma trasteverina, da due donne: Nicola e Tiziana. L’obiettivo era quello di creare un punto d’aggregazione, un luogo d’incontro dove poter discutere, uno spazio d’espressione culturale e artistica, Per potersi garantire dal punto di vista economico, fu creata la formula del bar. Aperto inizialmente tutti i giorni dal pomeriggio alla mezzanotte, oggi lo Zanzibar funziona solo il sabato sera come locale da ballo, salvo i periodi in cui sono programmati seminari, proiezioni di films, rassegne o spettacoli. Il percorso che Nicola e Tiziana hanno seguito e che le ha condotte all’attuale formula di gestione, è quello segnato dall’impatto con una realtà economica e socio-culturale da cui è impossibile prescindere. L’esperienza del ristorante, della cucina macrobiotica o della sala da thè, sino alle prime serate danzanti, sono momenti successivi di ricerca di un sostegno economico indispensabile per dar vita e continuità alle attività culturali che, pur finanziariamente improduttive, erano e sono lo scopo primario di questa associazione. Ciò nonostante la formula che ad oggi risulta aver suscitato maggiori consensi è quella del locale da ballo, una connotazione in sé completamente assente in Tiziana e Nicola nella fase propositiva di quattro anni fa.
cinema, musica, incontri culturali, dibattiti… e poi?
Sembra, anzi, che tutti i loro sforzi di portare avanti un certo discorso culturale di donne, con le donne e per le donne, siano quasi negati, dimenticati e vanificati da un “esterno” che, almeno in apparenza, ha definitivamente contrassegnato questo spazio come “discoteca del sabato sera”. Patto, questo, di non facile comprensione se si considera che proprie dello Zanzibar sono state diverse iniziative culturali: dagli “shows” delle Feminist Improvising Group agli spettacoli teatrali del Teatro Viola e di Daniela Gara, dalla rassegna di cinema australiano di Sorrento a quella dei super 8 italiani a quella su Giovanna D’Arco realizzata in collaborazione con l’Officina, e ancora il seminario su “Analisi dei linguaggi all’interno della pratica filmica delle donne” condotto da Daniela Trastulli alla fine del mese di marzo di quest’anno cui seguirà un corso di videotape pratico curato da Ronny Daopoulo e Annabella Miscuglio. C’è dunque da chiedersi il motivo per cui le stesse compagne che confluiscono numerose il sabato sera per ballare, sono poi quasi completamente assenti in altre sere. Per quali ragioni lo Zanzibar è diventato un punto di riferimento quasi esclusivamente per donne lesbiche? Quali sono i problemi di gestione politica ed economica di simili spazi? E quali ancora le difficoltà di chi si propone una scelta separatista anche sul piano professionale, culturale e artistico? Nicola e Tiziana, nell’intervista che segue, parlano di questa loro esperienza, delle difficoltà in cui si sono imbattute, dei momenti più belli e di quelli più amari vissuti in questi quattro anni. Un’intervista cui ci proponiamo ne seguano altre per potere avere un panorama di tutte le iniziative che le donne hanno, intrapreso in questi anni nei settori più diversi: librerie, centri di documentazione, ristoranti, centri culturali polivalenti. Un panorama che ci consenta una analisi e un confronto di queste esperienze per valutarne i limiti, gli scogli e i risultati.
ore ed ore con donne annoiate
Come mai da settembre lo Zanzibar è aperto solo il sabato sera? Nicola — Abbiamo preso questa decisione per poter dedicare tutte le nostre energie alla programmazione di una serie di attività culturali. Per questo motivo abbiamo volontariamente rinunciato anche al giovedì, sera in cui si ballava e dunque assai proficua dal punto di vista economico, per cercare di organizzare tutta una serie di altre cose. C’è, inoltre, da parte nostra il tentativo di togliere allo Zanzibar la veste del cosiddetto “locale notturno” frequentabile e frequentato solo per ballare.
Tiziana — Meglio chiuso piuttosto. Il sabato sera o.k., è talmente un confluire di donne, le più diverse, che ne risulta chiara l’importanza come grosso punto di aggregazione. Ma caratterizzarlo come discoteca no! Per questo abbiamo deciso di aprirlo negli altri giorni della settimana solo in concomitanza di manifestazioni specifiche, spettacoli, rassegne, seminari. Certo, è una scelta. Per me era insopportabile stare lì tutte le sere per ore ed ore e vedere queste donne, per altro pochissime, estremamente annoiate: era insopportabile, poiché non avevo uno scopo reale per starci.
Nicola — Una iniziativa che funziona bene da circa due mesi è quella dei martedì per esempio. Ci si incontra per discutere una serie di problemi incentrati sul lesbismo, per un momento di aggregazione dei vari collettivi lesbici e no, una possibilità di vivere questo spazio in un modo diverso, facendo politica
un luogo politico per vivere
Perchè sono cosi poche le donne non lesbiche che frequentano lo Zanzibar. Questo spazio non è, dunque, riuscito ad essere realmente un punto di aggregazione per tutte le donne? Tiziana — Il fatto è che molte donne al di là dell’impegno politico, manifestazioni, assemblee, Governo Vecchio, hanno nella loro vita privata un compagno, e questo costituisce senza dubbio di per sé un ostacolo, un impedimento a vivere, in modo rilassato, in un ambiente di sole donne e tra cui molte lesbiche.
Nicola — O molto più semplicemente perchè il privato di una donna femminista eterosessuale è un privato eterosessuale, mentre il privato di una donna lesbica è un privato vissuto assieme ad altre donne. Quindi è chiaro che lo Zanzibar raffigura un contesto in cui le prime non si riconoscono e nel quale non sono rappresentate.
Non soffrite una certa contraddizione nella gestione di questo locale? Cos’è lo Zanzibar, uno spazio politico o un progetto economico? Nicola — No, non mi sembra che esista questa contraddizione. Tiziana — E comunque non c’è contraddizione tra il fare politica sul posto di lavoro o l’aver creato un luogo politico e di cui vivere.
Nicola — Lo Zanzibar nasce su presupposti politici, ha una connotazione politica, porta avanti un discorso politico contemporaneamente alla volontà di essere un luogo di lavoro per altre donne oltre che per noi. Tiziana — Secondo me un discorso fondamentale è proprio quello di creare delle strutture economiche alternative di fatto, in cui le donne possono lavorare.
Nicola — Alternative, anche se per ora molto precarie purtroppo.
immagini di donne simili o distanti…
Chi frequenta lo Zanzibar?
Nicola — Una grossa varietà di donne: da quelle più politicizzate a quelle che vengono da Latina, Frosinone, Rieti o addirittura da Napoli; è un punto di riferimento per le straniere come pure per donne che non hanno una connotazione politica precisa e che vivono il proprio lesbismo al di là e al di fuori del femminismo. Donne che rispecchiano, cioè, uno spaccato di umanità varia, ed è da qui che nascono tutta una serie di problemi, di incomprensioni, di contraddizioni; specchi diversi in cui si riflettono immagini di donne ora assai distanti da te, ora a te simili. Chiaro è che, in questo contesto, il nostro ruolo non è dei più gradevoli o dei più facili. C’è sempre il tentativo, quasi il bisogno, di volerti vedere come madre o padrona di casa dal momento in cui ti sei assunta tutta una serie di responsabilità, responsabilità che ti costringono a fare scelte precise e ad assumere un ruolo che le altre vivono come ruolo di potere. Questa è una cosa che contesto assolutamente, anche perchè poi manca, di fatto, la possibilità di corresponsabilizzarsi rispetto a questi spazi: le responsabilità, i problemi, le difficoltà di gestione non sono, e non possono essere, patrimonio comune ma appartengono necessariamente a chi se le è assunte. Dicendo questo non vogliamo negare, anzi siamo perfettamente coscienti, che si sia potute andare avanti proprio contando sulla solidarietà e la sorellanza politica ed affettiva di tante compagne. Abbiamo detto tante volte, d’altra parte, Zanzibar non è Bananas, isola felice dei mari del sud, ma un locale nel cuore di trastevere.
un arresto un processo e tanta paura
Tiziana — C’è un’altra cosa da dire, che nel momento in cui noi abbiamo avuto uno scontro violento con le istituzioni, mi riferisco al nostro arresto e al processo, da quando ci siamo trovate coinvolte in una situazione nella quale davvero non c’entravamo niente, è nata ed è restata in noi una cera sensazione di paura, la sensazione di poter essere colpite pur muovendosi nella legalità. Questa paura è ad esempio, sicuramente un elemento vincolante nel nostro rapporto con l’esterno.
Nicola — In sintesi, direi che il limite dello Zanzibar è la propria unicità. Ogni donna, nella propria diversità da qualsiasi altra, vorrebbe che questo Zanzibar fosse lo specchio della propria immagine, delle proprie scelte, dei propri desideri, e questo non è possibile. Questo spazio non è totalmente neppure lo specchio mio e di Tiziana; forse lo è stato, ma abbiamo dovuto e voluto mediare con una serie di altre immagini, quelle proposte dalle altre donne. Zanzibar non può essere così, come ognuna di noi lo vorrebbe, è quello che è, con i suoi limiti, le sue cose brutte, racchiude, se vuoi, le energie che ognuna di noi emana. D’altra parte è chiaro che la mediazione con i modelli che altre donne ci propongono ha un limite, quello delle proprie convinzioni, delle proprie coerenze. Da questo scaturiscono evidentemente scelte precise, atteggiamenti precisi di opposizione a certi modi di essere: certo, questo significa emarginare alcune donne, donne dalle quali però a mia volta sono emarginata per scelte di vita lontane da me e che io fondamentalmente non condivido.
Se Zanzibar non rappresenta totalmente te e Tiziana, sicuramente non rappresenta una grossa, grossissima parte di donne che finiscono infatti per non frequentarlo o non tornarci più.
Nicola — Io direi, più precisamente, che solo in certi momenti non ci rappresenta, mentre in altri sento ancora di farne realmente parte. Ogni medaglia ha il suo rovescio, lo Zanzibar ne ha molti: ha lati negativi, molti, e molti lati positivi. Se penso a quello che inizialmente volevamo che fosse, oggi mi dico, a momenti, che ne è molto lontano, in altri che è molto vicino a questo luogo immaginario che avevamo deciso di far nascere.
Oggi, a parte il martedì sera, lo Zanzibar è il locale dove si va a ballare il sabato sera. Non è un po’ riduttivo come risultato?
Nicola — Certo che lo è.
Tiziana — Infatti, tra le altre cose, stiamo cercando di organizzare, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Roma, una rassegna di videotape americani di donne, corsi, ed altre cose.
D’accordo. Resta il fatto che l’immagine che all’esterno oggi si ha dello Zanzibar è quello di un posto dove si va a ballare il sabato sera, dove vanno solo le compagne lesbiche, dove non si parla. Questo è almeno quello che si sente dire in giro.
Nicola — Allora mi devi spiegare perchè quando lo Zanzibar era aperto tutte le sere e c’era la possibilità di parlare, le compagne venivano, s’annoiavano e se ne andavano.
una trovata veramente geniale
Ciò non toglie che in molte sia oggi ben radicata l’idea che voi viviate sullo Zanzibar e lavorando per giunta assai poco, al massimo un paio di sere a settimana.
Nicola — Io vorrei sapere se queste donne si sono mai chieste perchè allora abbiamo chiuso negli altri giorni.
Perchè erano sere che economicamente non vi fruttavano abbastanza.
Nicola — Bene! Vorrei capire allora che significato ha, per loro, tenere aperto un posto dove ci si ritrova sempre in cinque o sei, e sempre le stesse. Vorrei proprio che mi rispondessero a questo.
Tiziana — Beh! Comunque se noi riusciamo a sopravvivere aprendo una sola sera a settimana mi sembra che sia geniale! Forse le compagne che vengono a ballare credono che il sabato sera lo Zanzibar apre e, come per incanto, ci sono i fiori sui tavolini, e le lampadine che funzionano, e ci stanno i dischi nuovi, ed è pulito, e ci sta la porta blindata, e il sistema di aerazione e via dicendo. Forse non si rendono conto che per mantenere un posto del genere, dove a volte entrano più di cento persone a sera che distruggono ogni cosa, bisogna lavorare e molto. D’altra parte, i soldi che entrano il sabato sera vengono poi investiti anche in attività culturali, economicamente improduttive.
confondono il politico con il gratuito
Nicola — Vorrei dire poi un’altra cosa. Si lamentano tanto certe compagne di come è lo Zanzibar, sembra che abbiano talmente chiaro in mente come lo vorrebbero e lo farebbero loro, che mi chiedo perchè non ne aprono un altro. Cos ‘è che le ferma?
Tiziana — Perchè è un rischio.
Nicola — Inoltre c’è il costume mentale, tra alcune donne, per cui i lavori che fanno le altre, dal momento in cui hanno una matrice politica, debbono essere elargiti gratuitamente. Cioè la sopravvivenza te la devi garantire nelle strutture ufficiali, mentre il lavoro fra donne deve avere la connotazione di un secondo lavoro, non uscire dagli schemi della militanza elargita gratuitamente o dell’hobby da svolgere nei ritagli di tempo. Rivendico il lavoro che svolgiamo allo Zanzibar come un lavoro che ci dia da vivere.
Infatti molte critiche riguardano il lato economico: il prezzo della tessera e del biglietto.
Tiziana — Il fatto è che si confonde il politico con il gratuito. Nicola — Allora mi chiedo: perchè quando eravamo aperte nelle altre sere e l’ingresso era gratuito, non ci venivano? Come mai queste donne sono disposte a spendere per venire a ballare e non erano disposte a non spendere per venire allo Zanzibar a chiacchierare? Mi sembrano molto più in contraddizione loro che noi. Se avessimo voluto far soldi, quattro anni fa avremmo aperto a Roma la discoteca megagalattica solo per donne: non l’abbiamo fatto e continueremo a non farlo. Credo che in un certo senso questa sia una risposta.
Tiziana — Per altro io rivendico anche una mia forma di “potere”. Questo posto lo abbiamo aperto noi, ed io vorrei poterci fare delle cose che ci interessano, anche se poi dobbiamo mediare con ciò che interessa le altre donne, ma questo non può significare fare solo ciò che vogliono alcune. Dunque anche se sono tante le donne che vorrebbero ballare tutte le sere, io, se permetti, uso questa mia forma di potere e dico no! Fatela voi una discoteca. Noi preferiamo impiegare le nostre energie in progetti diversi per dare a questo posto un volto nuovo che ci rispecchi di più.
Nicola — Lo stile della discoteca non ci corrisponde.
Tiziana — Io non mi ritrovo in un certo modo che hanno alcune donne lesbiche di vivere solo col trip del sabato sera.
Quali sono, appunto, le donne che frequentano lo Zanzibar.
Tiziana — Le giovani ci sono sempre state; adesso vengono spesso anche le donne anziane. Bisogna considerare che le donne di una certa età hanno delle difficoltà a venire allo Zanzibar. Non si tratta solo delle difficoltà delle donne femministe eterosessuali, ma di quelle di donne, non più giovani, che hanno sempre vissuto il proprio lesbismo in clandestinità e in modo assari riservato, e per le quali entrare in un posto dove ci si trova di fronte a cento donne, magari giovani, che con naturalezza e disinvoltura si baciano, stanno insieme o ballano, può essere sconvolgente.
quando il ballo diventa erotismo
Perchè il ballo suscita tanto interesse?
Nicola — Forse perchè attraverso il ballo si esprime una certa carica di erotismo. Per questo probabilmente è così viva l’esigenza di un luogo dove ciò sia possibile. In un locale misto inevitabilmente si sarebbe osservate, guardate, controllate ed anche provocate; in un locale di sole donne esiste, semmai, un altro tipo di provocazione, se non altro, perchè proviene da un’altra donna e la si può, dunque, gestire differentemente.
Le compagne che ci muovono delle critiche relativamente al lato economico sono le stesse poi che trovano caro Effe, e le varie cose prodotte e gestite dalle donne, senza pensare che se quello è il prezzo, vuol dire che non può essere assolutamente più basso. Comunque mai nessuna non è stata fatta entrare allo Zanzibar perchè non aveva soldi, anzi sono tante le compagne che ne usufruiscono gratuitamente: per noi è un modo di aiutarle.
Quattro anni di lavoro: quali sono i ricordi, i momenti più belli?
Nicola — Io credo che nel momento in cui delle donne fanno un qualcosa, di qualsiasi tipo essa sia, ne vengono coinvolte in modo del tutto viscerale. Per noi esiste un forte legame con questo spazio messo in piedi pezzo per pezzo, con grande fatica e grande amore; di bello c’è forse anche una parte immaginaria che ci viviamo io e Tiziana: questo luogo ipotetico in cui si potrebbe fare questo o quest’altro. Ci sono stati momenti belli, come spero ce ne saranno ancora, momenti in cui sai che hai dato delle energie e avverti che questo ti viene riconosciuto dall’esterno: momenti in cui ti riconosci perchè rispecchiano la tua immagine.
provocazioni notturne e no
E i momenti brutti?
Nicola — C’è un momento per noi: il nostro arresto e il processo che ancora oggi ci pesa sulla testa. Poi, ultimamente, le scritte sui muri, le minacce. E ancora gli scazzi, le rotture con le altre donne, momenti molto amari: accuse, ripicche, liti, contestazioni di certe scelte.
Quali sono state e quali sono le difficoltà materiali di gestione di uno spazio come lo Zanzibar? Nicola — I problemi sono quelli di tutti quei posti che vivono ai margini della legalità, nati sulla scia del ’68 e del ’70, non protetti ed estremamente precari; circoli privati che non hanno una vera e propria licenza ma uno statuto che ne regolamenta il funzionamento e rispetto al quale si è direttamente responsabili. Inutile dire che lo Zanzibar, essendo solo per donne e aperto di notte, sollecita tutta una serie di provocazioni, anche se a Trastevere, tra i negozianti del quartiere, c’è una sorta di stima e di rispetto per noi poiché ci hanno viste lavorare sodo e fare da sole cose che, per la loro mentalità, sono prettamente maschili.
È un ‘esperienza che ripetereste?
Nicola — Il punto è che c’è un grosso scarto tra le nostre aspettative e i risultati concreti, uno scarto a volte troppo grosso. Non so se me la sentirei più di rifare un’esperienza del genere.