l’autogestione è il nostro obiettivo

settembre 1975

 

Questo articolo di Lidia Menapaee, responsabile della commissione femminile del PdUP, è il primo contributo pubblicato da Effe per la elaborazione di una linea politica del movimento femminista.

 

Adesso sono aperti alcuni problemi: come portare avanti la questione e la pratica dell’aborto fino a che non si fa il referendum; come seguire e indirizzare il lavoro del parlamento davanti al quale giacciono numerose e insoddisfacenti proposte di legge per modificare il codice Rocco in materia di aborto; e come coinvolgere le donne dell’area cattolica nella questione. Le strutture di azione diretta, i consultori autogestiti dal movimento delle donne sono il primo obiettivo da raggiungere e da generalizzare, sia per non rimanere coinvolte in un tipo di politica mancante di attuazione pratica diretta e quindi parlamentaristica (un modello maschile, tra l’altro), sia perché, più concretamente, prima che il referendum si metta in moto, e sia fatto e poi si faccia una legge, gli ostacoli saranno cercati tutti e intanto ci possono essere ancora alcune centinaia di migliaia di aborti clandestini nelle condizioni di sempre. In secondo luogo perché una rete di consultori che affrontino non solo la meccanica dell’intervento, ma assumano tutto il discorso del rapporto tra donna e medicina, tra donna e salute, che sviluppino cioè un vero lavoro politico delle donne tra le donne non è un obiettivo solo momentaneo, ma permanente e uno spazio non occasionale, ma fisso di azione tra le donne. Solo da una pratica diffusa di incontri, riflessioni, azioni delle donne, anche la ricerca scientifica e la costruzione di nuovi valori morali può avere impulso e base. Si può già vedere, ad esempio sull’ultimo numero di Sapere che il movimento delle donne ha indotto uno studioso serio (Mario Livi Bacci) a un articolo documentato, privo di emotività e di retorica, che sulla base di dati precisi e attendibili arriva alla conclusione che la liberalizzazione totale dell’aborto è l’unica strada giusta, purché sia inserita nel più vasto tema del dominio sulla procreazione, in altri termini in un discorso di meglio realizzata liberazione femminile; aggiungendo che con la possibilità di regolare il ciclo femminile, di fatto si cancella il confine tra contraccezione e aborto. Osservazione interessante per aiutare e non in modo predicatorio a superare le resistenze che anche parecchie donne hanno e che non sono semplicemente da irridere, né da vincere con discorsi approssimativi. L’obiettivo dunque dei consultori ha un significato in sé molto più vasto della sua stessa pur bruciante necessità immediata. Esso è anche uno di quei terreni di azione diretta, di organizzazione autonoma, di risposta pratica che prefigurano forme di democrazia diretta e costruiscono espressioni ed organizzazioni politiche non tradizionali.

Il secondo momento è come esercitare una pressione sul parlamento e favorire l’emergere in parlamento di una volontà meno cauta o meno ostile sul problema. La raccolta delle firme per la abrogazione delle norme fasciste sull’aborto e per ottenere che l’aborto sia libero, gratuito e assistito è stato un grande momento di mobilitazione, di liberazione da oscuri timori, ha dato un accento diverso ai temi per solito agitati durante le campagne elettorali: il solo fatto che la parola aborto campeggiasse sui muri, che venisse al centro di dibattiti pubblici in città e paesi è stato un elemento di liberazione, di fuoriuscita dal segreto e dal misterioso, ha indotto a una conoscenza di sé più diretta, meno fabulosa e passiva. Inoltre che la raccolta delle firme sia stata possibile anche in assenza delle grandi forze politiche e sindacali è un altro segno che nella società vi sono spinte molto più avanzate di quelle alle quali le forme storiche di espressione politica danno veicolo. Ora il parlamento, alla riapertura dei lavori, affronterà (aveva già cominciato poco prima della chiusura estiva) in commissione i testi proposti dalle varie forze politiche, alcune delle quali si sono del resto già dichiarate favorevoli a tenere in considerazione le obiezioni e le richieste del movimento delle donne. Bisogna trovare un veicolo di massa, che faccia arrivare, anche su questo argomento, la forza del 15 giugno e della raccolta delle firme per il referendum nel chiuso delle commissioni parlamentari. A nostro parere questo strumento potrebbe essere una manifestazione nazionale del movimento delle donne a Roma; può essere questa la conclusione di massa di un seminario sui problemi della contraccezione e dell’aborto che sappiamo essere già tra le proposte di numerosi collettivi. Tale manifestazione potrebbe forse anche unificare, sia pure senza confondere le diverse posizioni, varie organizzazioni, e coinvolgere anche il movimento internazionale per la contraccezione e l’aborto che identifica in questo momento l’Italia come il paese nel quale il movimento può agire con un peso politico molto notevole e con un consenso di massa già verificato.

Ho parlato sempre di movimento delle donne, intendo dire che, su questo specifico e importante obiettivo, è possibile allargare il fronte oltre lo schieramento propriamente femminista e avviare un rapporto, un confronto e, se possibile, una azione unitaria in primo luogo con l’Udi, la cui storia e radicamento tra le masse femminili la lunga lotta per l’emancipazione ne fanno un elemento fondamentale. Tra l’altro le posizioni dell’Udì sull’aborto non sono difformi da quelle del movimento femminista e molte donne dell’Udì hanno firmato perii referendum. Noi crediamo che su questo terreno sia utile e augurabile un confronto e un lavoro unitario. E proponiamo ai collettivi femministi, alle organizzazioni e partiti politici che sono espressione di una linea femminista o che l’appoggiano, di prendere contatto al più presto tra di loro e con l’Udi per far diventare concreta la prospettiva di una iniziativa pubblica, nazionale, unitaria, che si concluda con una manifestazione di massa, intesa a dare una voce e una forza, anche di pressione sul parlamento, alle donne che hanno lottato per questa conquista. Il terzo obiettivo essenziale per raggiungere il fine di sbloccare i temi riguardanti la contraccezione e ottenere strutture adeguate alla pratica dell’aborto libero, gratuito e sicuro, senza introdurre una spaccatura «le donne, anche di strati popolari, è di affrontare il discorso con le donne cattoliche. Non è stato finora possibile avere nello schieramento che ha condotto la raccolta delle firme significative adesioni cattoliche, non certo un movimento come quello, che, durante la campagna per il divorzio, ha contribuito in modo forse decisivo alla vittoria del no. Finora un convegno di Cristiani per il socialismo tenutosi mesi addietro a Firenze è la unica interessante, ma cauta presa di posizione nell’area cattolica. Vi sono poi le generose dichiarazioni e lotte di Adriana Zarri e di suor Marisa Galli, che certo conviene tenere come molto importanti. Adriana Zarri perché ha sviluppato una riflessione teologica che può avere una grande influenza tra le donne credenti (un figlio, come immagine di una relazione trinitaria, non è un puro fatto biologico, ma una scelta; quando non è una scelta, per così dire, non ha quel significato religioso che lo convalida: un intervento che corregga la casualità biologica e lasci libero lo spazio a scelte volontarie è un fatto positivo anche dal punto di vista religioso). Marisa Galli sviluppa una tematica di tipo più individualistico: la legge non può occuparsi di cose che può considerare reato «il diritto di attengono strettamente alla morale, non sbagliare o di peccare»: dunque la legge deve essere del tutto liberalizzante, in modo che la coscienza sia, essa sola, quella che assume il peso e la responsabilità della scelta. Confesso che questo secondo ordine di riflessioni mi lascia meno convinta: ma mi pare giusto osservare che l’esigenza di una affermazione della donna anche come soggetto «individuale», non corretto o sorretto da leggi che ne indirizzino le scelte non è da sottovalutare: le donne che, storicamente sono state collocate nella passività, hanno anche bisogno, storicamente bisogno, di passare dall’indifferenziato della collocazione passiva a una affermazione individuale, per assumere consapevolmente anche le dimensioni del collettivo. Ma, a parte Zarri e Galli, il lavoro da fare verso le donne dell’area cattolica è molto grande e importante e non può esser fatto non tenendo conto che esse interpretano ed esprimono le esigenze, le difficoltà, le remore e anche gli interrogativi che si ritrovano spesso negli strati popolari del nostro paese, e in alcune aree geografiche con particolare radicamento. Non si tratta perciò di snobbare questo lavoro o di scavalcare allegramente i problemi di queste donne, ma di trovare, allargare e approfondire il discorso: l’aborto è solo lo estremo dei mezzi di regolazione e di dominio sulla procreazione: esso può essere oggi svolto in condizioni non di rischio e con una precocità di tempi che attenuano il confine tra contraccezione e aborto; la responsabilità che ci si assume quando si vuole mettere al mondo un figlio è insieme fortemente personale — perciò la donna deve poter decidere — e sociale — perciò la società deve organizzarsi in modo da rendere questa scelta affettivamente libera; questi problemi non possono essere affidati «alla natura»; la stessa crescita, per quelle alle quali ciò interessa, di una espressione religiosa autentica, è legata alla capacità di dominare la natura e non di esserne dominati (cioè accettare la maternità come un dato non discutibile) o di distruggerla (cioè praticare l’aborto in condizioni di pericolo, di paura, di incertezza). Non è dunque chiuso il discorso e la pratica unitaria, nel massimo di chiarezza tra i collettivi, il movimento femminista, lo schieramento riformista, il movimento per l’emancipazione e la vasta area delle donne che accolgono ancora, ma con difficoltà, contraddizioni, incertezze, le opinioni, le ideologie, i valori tradizionali.