strumenti per una critica femminista di cinema

maggio 1976

pubblichiamo questo articolo, tratto dalla rivista americana Women and film, perché costituisce un esempio di come le femministe americane stiano tentando di creare non solo una cultura diversa, ma \un modo alternativo di valutare la cultura dominante, cioè una nuova critica. Cominciamo con la critica cinematografica perché in questo momento il dibattito sul cinema è particolarmente vivace, non solo in USA ma anche in Italia.

la critica femminista cinematografica

Quest’articolo è il risultato di un seminario sulla critica cinematografica femminista tenuto da me e da Maureen Turim nel giugno 1973 al Women’s film Conference a Madison (Ohio). Volevamo indicare alcuni parametri teorici e condividere con le donne presenti la nostra esperienza di critiche cinematografiche. Io mi considero una femminista marxista: gran parte dell’articolo, quindi, rispecchia le mie esperienze politiche, non solo come scrittrice della stampa di sinistra e insegnante di teoria ed estetica cinematografica, ma anche come membro di un gruppo di femministe che fanno del cinema.

il lavoro della critica femminista

La donna che fa la critica cinematografica decide da sola quel che sarà «femminista» nella sua recensione.

Dichiarare apertamente il proprio legame con il movimento femminista può portare a una reazione di parte, sia alla recensione che al film. Comunque parlare della propria posizione politica nella recensione, in maniera più aperta di quanto si faccia solitamente, è utile se si vuole eliminare l’idea che lo spettacolo serva solo al divertimento: la politica è inseparabile dalla cultura. Infatti quando mi dichiaro femminista marxista intendo dire che considero le più forti forme di oppressione nella nostra società, soprattutto lo sfruttamento sessuale, razziale e di classe, come intimamente connesse tra loro; l’oppressione della donna va quindi combattuta con una lotta globale contro le istituzioni che si reggono sullo sfruttamento di razza, di classe e di sesso, cioè le istituzioni del capitalismo. L’importante, quindi, non è che la critica cinematografica si dia una etichetta particolare, ma che chiarisca i presupposti che stanno alla base della sua analisi,

Con il termine «critico cinematografico» si intende una persona che riveste la specifica funzione, negli Stati Uniti, di fare da guida ai consumatori. Inoltre al critico si riconosce tradizionalmente il diritto di fare delle generalizzazioni a proposito della cultura e dell’etica.

Le femministe possono servirsi di questo veicolo di informazione e comunicazione, già esistente, per denunciare il sessismo nei films e l’ambiente sociale che l’ha prodotto. Inoltre, come guida ai consumatori, la critica cinematografica femminista può contribuire a rivalutare molti film fatti da donne, di solito trascurati. Le donne che scrivono di critica cinematografica lo fanno per un certo pub-

blico. Molte scrivono per la stampa borghese. Le femministe però si sentono più. sicure scrivendo di cultura sulla stampa underground o per giornali femministi poiché la stampa alternativa condivide le posizioni espresse nelle recensioni impegnate. Tuttavia io e Maureen abbiamo scoperto che, non appena entravamo a far parte dello staff (composto da donne e uomini) di una pubblicazione underground o di una rivista di sinistra, eravamo costrette a lottare, in quanto femministe, per poter scrivere di altre cose e non solo di argomenti strettamente femministi. Per evitare il pericolo di un liberalismo che tende a relegare il femminismo in una specie di zona franca, cioè la cultura, le donne che lavorano in redazioni miste devono lottare perché in ogni articolo venga espressa una posizione chiaramente an-ti-sessista. Comunque esistono molte riviste femministe negli Stati Uniti che hanno bisogno di critiche per il cinema e queste offrono un ottimo punto di partenza. Il tipo di critica femminista che si fa su queste riviste sta rapidamente superando l’analisi dei meccanismi sessisti nel contesto di un singolo film per arrivare a un’ottica femminista sulla teoria cinematografica. Attraverso un’analisi dell’industria cinematografica borghese, (la sua storia, i suoi aspetti attuali), la critica femminista può farci rivalutare film trascurati e deministificare temi e eroi del cinema tradizionale. Inoltre, a differenza di quella borghese, la critica femminista può contribuire alla crescita del movimento. Molte donne stanno lavorando con mass media che non sono inseriti nel circuito ufficiale; per esempio l’8 mm e il videotape, che spesso vengono usati come strumenti di lotta politica. Bisogna che questo tipo di lavoro venga reso accessibile a tutte le donne (non solo a livello di contenuti, ma di meccanismi tecnici) in modo che possano servirsene per le loro iniziative politiche.

la teoria

Il sistema teorico su cui si basa la critica femminista comprende sia i “meccanismi strutturali dei film (forma, contenuto etc.) sia i meccanismi che stanno al di là del prodotto (per esempio, l’industria cinematografica, la distribuzione, le aspettative del pubblico etc).

Il seguente schema è uno strumento teorico utile per considerare un film nel suo insieme e ci permette di capire quali sono le differenti reazioni del pubblico in momenti storici diversi da quello in cui è stato fatto il film.

Uno: «L’ambiente» pre-filmico comprende in senso lato sia la situazione storica del film che quella attuale. Per «ambiente» intendo non soltanto la struttura economica ma anche la sovrastruttura ideologica dell’ambiente dei «cinematografari». Seguendo ogni fase di questo schema nell’analisi di qualsiasi film, la critico-femminista può elaborare alcuni dei rapporti tra la sovrastruttura ideologica e la struttura economica, specialmente per quanto riguarda i meccanismi del sessismo, Il sessismo che si può trovare in quasi tutto il cinema borghese si può anche trovare nella tradizione cinematografica, nelle strutture linguistiche, nelle convenzioni artistiche (specialmente nel modo di fotografare le donne), nelle convenzioni sociali ed in specifiche situazioni sociali. Tutte queste categorie fanno parte delP«ambiente», in cui i «cinematografari» sono radicati quando fanno i film. Poiché tutto l’«ambiente» è sempre stato prevalentemente sessista, e lo è tuttora, anche una regista che abbia acquisita una totale coscienza femminista troverà difficile fare un film che rifiuti il sessimo perché anch’essa è influenzata dall’ambiente.

Due: A differenza di tante altre forme artistiche, un film non è frutto del lavoro di un solo individuo ma di un gruppo. In molti film fatti da donne, per esempio II film della donna, fatto dalle donne del San Francisco Newsreel, la regista non viene nominata. La troupe, gli attori, i mixatori ed i montatori hanno lavorato insieme, collettivamente, senza gerarchie, e tutti quanti hanno esercitato un controllo sul prodotto finale.

Tre: Il film finito è l’oggetto principale dello studio tradizionale e degli studi semiologia. Sebbene questo genere di analisi sia estremamente importante per una comprensione del cinema, si spera che la critica femminista riporterà il film al proprio ambiente con una visione specifica di come si possa lottare contro il sessismo.

Quattro: Il pubblico del film finito può essere considerato da due punti di vista, quello individuale e quello collettivo.

Cinque: L’ambiente del pubblico è sempre diverso — nella storia nel tempo, nello spazio, e nella società — dall’ambiente di quelli che hanno fatto il film, almeno fino ad un certo punto, ed il pubblico parte dalle sue proprie esperienze nel giudicare un film. Criticando il sessismo e appoggiando film fatti da donne, la critica femminista potrà forse avere un effetto positivo sull’«ambiente». Il minimo che si spera di ottenere è che una critica femminista faccia vedere alla gente i film che fanno parte del loro ambiente in modo diverso.

Sei: Il sistema di produzione e di distribuzione incide su tutti gli altri sotto-sistemi. I produttori, i distributori, i gestori di cinema, i critici ed il pubblico sono coinvolti nel processo di distribuzione, e sono tutti influenzati dalla struttura economica della società in cui si trovano. Nonostante il sessismo sia universale nel cinema, ci sono delle differenze nella produzione e nella distribuzione tra i paesi capitalisti occidentali, i paesi capitalisti del terzo mondo, la Russia, l’Europa orientale, la Cina, i paesi socialisti del terzo mondo, ecc., e questo significa che ci sono delle differenze tra paese e paese nella maniera in cui sono fatte le proposte di lavoro alle donne (comunque, le possibilità sono sempre meno per le donne che per gli uomini). La distribuzione influenza il modo in cui un film sarà visto e giudicato dal pubblico. Quasi sempre la distribuzione di un 35 mm viene decisa al momento del suo finanziamento. Per i lungometraggi, una volta fatti, c’è ben poca possibilità di distribuzione indipendente. È per questo motivo che negli Stati Uniti vediamo così pochi film del terzo mondo o di registi europei di sinistra. Film fatti da donne sono stati presentati in «festivals» organizzati appunto a questo scopo; questi festivals hanno pubblicizzato sia film recenti che non hanno una buona distribuzione che vecchi film trascurati. Queste proiezioni sono spesso accompagnate da tavole rotonde… Inoltre si tenta di portare questi film in una scuola, in campus universitari, nelle

comuni, e di aprire il dibattito. Poiché questi film vengono usati specificamente con lo scopo di far prendere coscienza, questo genere di distribuzione ci sembra più rivoluzionaria della distribuzione «standard» dei 35 mm nel cinema. Si sta allargando il circuito alternativo dei 16 mm per necessità, e questo potrà giovare ai film femministi più dell’inserimento nel giro normale della distribuzione. Chi fa cinema è dunque soggetto a tutti gli aspetti dell’«ambiente» e, per di più,’ è influenzato dalla propria psicologia personale, situazione storica e creatività individuale. Uno stimolo molto importante per le donne nel cinema è la loro reazione contro il proprio ambiente; questa reazione influenza anche il contenuto dei loro film e la loro lotta per conquistare un posto o nell’industria cinematografica o ai suoi margini.

Le critiche-femministe sono particolarmente interessate all’«immagine della donna», cioè, alla maniera in cui le immagini presentate dalla pubblicità e dai mezzi di comunicazione (che sono creati da uomini e rispondono ai loro bisogni) influenzano l’immagine attuale della donna nei. film la scelta di attrici, il comportamento di personaggi femminili, e all’influenza che queste immagini esercitano su di noi. Guardando un film, il pubblico riconosce l’immagine della «donna Glamour» (tipo Cosmopolitan). La maniera in cui ci è presentata «la donna Glamour» deriva dalle strutture e dalle istituzioni dell’«ambiente», dagli atteggiamenti convenzionali del regista, dalla forma e dal contenuto del film, dalle aspettative conformiste (che sono anche loro delle strutture) del pubblico, e dalle strutture e le istituzioni dell’* ambiente».

L’idea che esistono delle strutture in ogni parte del sistema ci aiuta a sbarazzarci dell’abitudine di scrivere solo del film o solo del rapporto tra «i cinematografari» ed il pubblico. Per esempio, le strutture ‘di una lingua si trovano anche nelle strutture della percezione, perché è attraverso le parole che noi identifichiamo ciò che vediamo; e queste strutture, attuate in qualche forma di comunicazione, sono portate dall’«ambiente» all’«ambiente».

Un film si svolge in un certo periodo di tempo, e il suo svolgimento può influenzare chi lo fa. Questo è vero specialmente quando si tratta di documentari o di film legati ad una specifica lotta politica dato che tali film possano cambiare la coscienza degli autori.

Con il videotape i cinematografari possono conoscere più facilmente le reazioni del pubblico perché di solito il videotape viene proiettato dagli stessi cinematografari per piccoli gruppi. Con il cinema, invece, la maggior parte della gente può comunicare con i cinematografari soltanto comprando biglietti o no.

Sebbene il cinema sia fondamentalmente un mezzo di comunicazione a «senso unico», ci sono piccoli gruppi di donne cinematografare che mostrano i loro film ad altre donne e lottano per trovare un nuovo processo comunicativo. Ma anche con i film fatti da donne, il pubblico o il consumatore ha sempre ben poco da dire — in anticipo — a proposito della forma o del contenuto.

Il rapporto tra film e pubblico va studiato dettagliatamente, specialmente rispetto alla storia, sia perché il cinema ha un ruolo nella formazione mentale del pubblico sia perché un film utilizza le convenzioni già esistenti nel-l’«ambiente». Per esempio, bisogna domandarsi se le giovani donne sono spinte dall’esperienza reale a voler innamorarsi o se cercano invece di raggiungere certi miti. Il cinema, uno tra i tanti prodotti ideologici, ha continuato a «vendere» il mito dell’amore. Nel settore economico, questo mito viene utilizzato dalla pubblicità per vendere prodotti: vogliono far credere che l’amore sia garantito comprando un oggetto.

Ma sebbene le donne nel cinema e le critiche-femministe abbiano rifiutato il mito dell’amore in quanto strumento di oppressione, solo poche hanno parlato contro l’intero concetto dominante della nostra società, il quale pone l’amore romantico come soddisfazione massima nella vita della donna. È per questa ragione che pochi film ci presentano la possibilità dì una vita felice per la donna senza un intenso rapporto emotivo-sessuale con una sola altra persona, cioè, senza che la donna faccia parte di una «coppia»… Non ci è possibile immaginare donne che vivono bene insieme senza «la coppia»?

la forma ed il contenuto del film

La maggior parte della critica cinematografica si è centrata sull’analisi del prodotto, cioè del film. Sebbene una prospettiva femminista non sia sufficiente come approccio esclusivo al film, dovrebbe essere sempre applicata alla analisi della forma e del contenuto sia del film narrativo tradizionale che del film femminista. Siamo abituati a scrivere una critica del film in sé invece di scrivere dell’intero processo cinematografico (ambiente – cinematografari – film – pubblico – ambiente); questo accade a causa dello stretto rapporto tra critica cinematografica e letteraria. Alla critica cinematografica portiamo l’approccio della «Nuova Critica», e quelli della psicoanalisi e dello strutturalismo, applicati alla letteratura nel mondo accademico. La critica degli «auteurs», per esempio, è caratterizzata dall’approccio psicoanalitico, cioè, la ricerca dei temi, degli archetipi, e dei modelli psicologici che ne stanno alla base del film. Poiché la maggior parte del cinema è sessista sia nella forma che nel contenuto la critico-femminista si trova davanti al problema che questi film le piacciono lo stesso, come piacciono alla maggior parte delle donne.

È vero, però — e già a questo punto le idee incominciano a differenziarsi — che certe donne rifiutano assolutamente film sessisti di contenuto, ma la definizione di «film sessista» cambia da donna a donna.

A questo punto la critico-femminista trova che o sta rifiutando film lodati da altre donne, o sta trovando ragioni per rivalutare certi film rifiutati come sessisti da altre. Posso dare alcuni esempi dalla mia esperienza di critica. Ho rifiutato Conoscenza Carnale come un film presuntuoso che attirava voyeuristicamente proprio quegli uomini «denunciati» dal racconto; altre donne, interpretando il film a livello del contenuto, l’hanno visto come un attacco contro il sessismo. In un caso simile, Sussurri e Grida era generalmente lodato come un «film di donne», ma Constance Penley ha denunciato Bergman per la sua manipolazione dell’esperienza femminile e la sua mistificazione di quelle esperienze solo per servire alla sua «Arte». Di nuovo dal mio punto di vista, Arancia meccanica e Lolita mi sono piaciuti perché interpretavo la satira di Kubrick come misantropia invece di misoginia.

Alcuni hanno sottolineato il bisogno di nuovi personaggi femminili, ispirati a modelli diversi da quelli tradizionali più forti e combattivi.

Io penso che è pericoloso portare il concetto del modello della donna forte a livello di prescrizione, cioè, sostenere che: «Il cinema femminista dovrebbe andare in questa direzione». Da una parte, il concetto di eroe (o dell’anti-eroe) nel cinema narrativo è una survivenza della letteratura romantica dell’ottocento, e certamente Eisenstein ha mostrato che l’enfasi su un singolo personaggio non è necessaria e nemmeno particolarmente desiderabile. In Jam Sonebody, Madeline Anderson presenta il ruolo delle donne durante uno sciopero in ospedale, ed anche se il racconto è concentrato su una donna in particolare, moltissimo rilievo è dato al rapporto tra le oppressioni di classe, di sesso, di razza ed al bisogno di azione collettiva invece di delineare un unico personaggio su cui modellarsi.

Abbiamo bisogno di film che delineano situazioni e problemi femminili senza però presentare le donne come personaggi forti, liberati, ribelli. Un ritratto fedele dell’oppressione della donna è tanto raro quanto quello dell’oppressione razziale e questo perché il cinema di solito vien fatto da maschi bianchi. In particolare ci mancano lungometraggi che rappresentano le vite delle lesbiche. Tali film potrebbero essere realistici invece di eroici e così servirebbero all’auto-coscienza perché ad ogni passo si svolgerebbero nel contesto dell’oppressione femminile.

Nell’analisi del contenuto di un film, la donna critico-femminista può ricorrere a concetti antropologici, sociologici ed economici eppure utilizzare altri lungometraggi per illustrare questi punti. È ovvio che il cinema, come la letteratura, è un’operazione strutturata, artificiale; è molto pericoloso parlare delle esperienze dei personaggi come se fossero parte della realtà vissuta, È vero, però, che la scelta del soggetto del film, i costumi, il trucco, l’ambientazione, la classe sociale, il dialogo, le caratteristiche psicologiche, ed i rapporti sociali vengano tutti quanti dall’ambiente degli autori. Nel suo articolo Note per un cinema della donna, Claire Johnston raccomanda di evitare un’analisi dei personaggi femminili che si basa su riferimenti al sessismo della società in generale perché, secondo lei, spesso i personaggi femminili sono contro figure per uomini. La maggior parte degli articoli di Women and Film che trattano di film specifici, però, si servono di riferimenti a fenomeni sociali, liberamente e vantaggiosamente.

Ancora da esplorare — e si spera che le donne che fanno cinema antropologico ci aiuteranno in questo — sono la «proxemis», cioè, lo studio delle distanze tra personaggi come indicazione dell’etica sociale, e la «cinetica», lo studio dei gesti e del movimento come fenomeno determinato dalle convenzioni sociali e che allo stesso tempo svela tali convenzioni. Questi studi potrebbero aprire nuove dimensioni nella nostra comprensione dei meccanismi del sessismo sia nell’arte che nella società che produce quell’arte. Oggi giorno gli studi sulla donna ed i mezzi di comunicazione prendono inevitabilmente in considerazione non solo come la donna diventa oggetto sessuale ma anche come la donna-oggetto sessuale (ed il suo corollario: la madre) serve ad una funzione economica. Women and Film ha pubblicato degli articoli su due dei film di Godard dove c’è un’indagine del ruolo della donna come oggetto da essere consumato. Un’indagine simile è stata fatta anche dalla critica femminista a proposito del «First Annual Erotic Film Festival». Carol Davidson nota che sebbene Godard dica di criticare in Lettera a Jane, Jane Fonda come diva, come funzione e non come persona, lui stesso la vede come funzione, e non solo, ma la utilizza anche come tale. Ci sarebbe andata così tanta gente a vedere una Lettera a Jean-Pierre?

la politica della forma

La maggior parte dei critici non separa la discussione sulla forma di un film da quella sul contenuto. Per chiunque pensi che la forma ed il contenuto siano definitivamente inseparabili, un tale atteggiamento critico è certamente coerente, ma non basta se il critico non ha riflettuto su come la forma agisce sul contenuto. Nel passato la forma del cinema e la maniera di fotografare le donne sono state implicitamente sessiste. Il trucco, la scelta di donne con il seno di una certa misura, la luce che circonda la donna di un alone, tutta l’iconografia dei personaggi femminili, e così via, possono essere analizzati a scopo di scrivere la storia del sessismo nel cinema. Più importante, però, quando si considera la forma, si dovrebbe analizzare dove le donne non sono, quali attributi non le sono assegnati.

In un film di avventura, gli uomini trovano la loro realizzazione e la propria identità attraverso l’azione fisica diretta, iniziata da se stessi con lo scopo di affermare la propria integrità. Alle donne non è concesso la stessa gamma di azioni, e quando infatti agiscono, le loro azioni sono di solito più limitate.

American Graffitti per esempio ci mostra uomini che si danno a gare automobilistiche e ad acrobazie motociclistiche per provare la propria identità (sia sociale che personale). Le donne in questi film non prendono iniziative indipendentemente, ma dipendono dagli uomini.

Le forme per comunicare la sensualità sono quasi completamente maschili. Ancora non sappiamo nemmeno quale sarebbe la forma visiva di un film erotico femminile. Finora le donne, anche quando fanno cinema, hanno avuto delle difficoltà a rompere le vecchie strutture per fare nuovi tipi di film con nuove forme. La sperimentazione tecnica dei mezzi di comunicazione è stata svolta finora da uomini. Le donne che fanno cinema sperimentale, sono pochissime, e questo forse perché il lato tecnico-chimico-meccanico del cinema è tradizionalmente stato più accessibile agli uomini.

Godard parla di uno stile borghese della macchina da presa e rifiuta il documentario tradizionale o alla cinema-vérité. Questi riproducono semplicemente la maniera così detta «normale» di vedere le cose. Certamente il soggetto di un film non è mai la realtà ma soltanto la visione dell’autore o degli autori di qualcosa nella realtà. La critico-femminista dovrebbe offrire alle sorelle nel cinema, e forse specialmente a quelle che fanno documentari,

un’analisi della forma delle loro presentazioni. C’è una tentazione enorme di filmare la donna attivista, o la donna media che vive la sua vita, lasciando che il soggetto «parli per se stessa». Tutto il cinema-vérité, però, invecchia presto. E chi fa un film credendo di lasciare che il soggetto parli per se stesso o se stessa finendo col mettere nella forma del film le proprie opinioni rispetto a classe, sesso, razza, e così via. È meglio rendersi conto dei propri presupposti e dichiararli in modo diretto, o visivamente o verbalmente, in modo che il pubblico li possa criticare coscientemente sin dal primo momento.

le funzioni della critica

Se scrive soprattutto del contenuto e della forma di film specifici, la critico-femminista si trova di fronte al problema dell’inserimento nel ruolo già preparato per lei, cioè quello di scrivere una guida del cinema per i consumatori. Se, però, si espande la critica per comprendere anche un’analisi dell’intero processo cinematografico, se si scrive per pubblicazioni aperte ad una prospettiva più ampia sul problema della donna ed il cinema, e se si lavora dal lato pratico per portare avanti la lotta della donna nel cinema, noi critici possiamo andare oltre questo ruolo,

Le critiche femministe si sono già unite per arginare diversi corsi universitari sui problemi della donna e con film festival di donne. Alcune riviste hanno riportato le recensioni del «N. Y Yomen’s Film Festival» Grazie a questi articoli, ed all’opuscolo sui film del Women’s Film Festival di Toronto, ed alla lista compilata dal Women’s Histors Research Center (Centro per la ricerca della storia della donna) sui film fatti da donne che sono disponibili negli Stati Uniti, le donne, e noi come critiche-femministe, possiamo ora incominciare a conoscere la gamma dei film fatti da donne.,.

 

traduzione di Lucy Quacinella e Francesca Barzini