un corpo che è essere e non avere
è ben noto che il problema sessuale può essere indagato secondo infiniti punti di vista e prospettive, riferendo teorie o riportando il succo delle proprie esperienze, comunque mai scindendo il personale dal politico, il privato dal pubblico, l’intimo dal sociale, Il problema sessuale, infatti, è uno di quei tipici grandi problemi a due facce: una pubblica (esterna), l’altra privata (interna), nessuna delle quali può essere cancellata o posta in ombra senza cancellare o porre in ombra anche l’altra. Un problema di base. Un problema che soltanto all’apparenza può essere considerato privato, che invece è clamorosamente, drammaticamente, quotidianamente pubblico, basti pensare alla portata del problema sessuale nella questione femminile, alle scoperte e alle conquiste del femminismo mondiale in campo anche sessuale (la contraccezione, l’aborto, ecc.), alle cosiddette «deviazioni» sessuali non a caso censurate e interdette dalla doppia morale della società borghese; al problema demografico, (problema anche esso sessuale prima che politico), all’importanza di un’educazione sessuale organica e programmata da impostarsi in età infantile (e da proseguire sempre) per la formazione di personalità non represse, cioè non repressive, non autoritarie, e così via. Vista dunque l’enormità del problema, sarà inevitabile prenderne qui in esame solo alcuni aspetti: basilare quello dei rapporti fra sesso e società, fra sesso e tradizionale repressione familiare (che si verifica in tutte le classi sociali). Tanto più che siamo in Italia e, per esempio, le donne da noi si usa ancora dividerle in due gruppi, secondo l’uso del sesso (santificato o prostituito): asessuate madri o sessuate puttane, senza ricordare, sembra, che il concetto di compra-vendita, l’idea stessa di mercato e di merce risale a una classe sociale che si chiama borghesia e che il valore di scambio l’ha inventato il Capitale, aiutato dalla Chiesa che è stata, anche a questo riguardo, fedele alleata prima nella repressione e poi nel profitto.
A questo punto, ci sarebbe da chiederci se per questo tipo di società classista, sessuofobica, castrante, ruolizzata e ruolizzante, ci possano essere sbocchi di autentica creatività sessuale, ossia liberata dalla equazione sesso = procreazione. Una società, la nostra, dove la sessualità, in realtà, è concessa intanto più agli uomini che alle donne, più ai ricchi che ai proletari, più agli eterosessuali che agli omosessuali, e poi solo se diventa procreazione, riproduzione, se cioè tocca delle zone ben precise e limitate del corpo e se questi atti, queste zone sono adibiti immediatamente a procreazione, cioè a riproduzione di esseri umani, da educare allo stesso modo dei precedenti. Questo è tanto più vero nell’ambito della morale borghese, che segue l’ideologia della classe dominante: prendiamo ad esempio il problema dell’aborto, eccezionalmente sentito e patito nelle regioni del nostro sud dove — lo sappiamo bene — esistono ancora famiglie proletarie di otto-dieci-dodici componenti: in questi casi è fin troppo chiaro che l’aborto non fa comodo al Capitale, il quale, d’accordo, così si ritrova più bocche da sfamare, però ha anche più braccia da far lavorare e da esportare al nord per i suoi scopi di lucro (ecco perché le povere non devono abortire: le ricche borghesi già molto di più, visto che per loro la morale è pronta a chiudere tutt’e due gli occhi). Basti — lo ripeto — capire l’enorme importanza del problema «sesso» proprio ai fini di un’autentica liberazione rivoluzionaria (personale e collettiva) per superare d’un colpo, per esempio, l’idiotizzato erotismo dilagante nella società opulenta americana, così come il sedicente paradiso erotico delle socialdemocrazie nord-europee: due modelli, due proposte di sessualità che sono del tutto inconsistenti proprio perché non sono state accompagnate da quel profondo e radicale cambiamento dei rapporti sociali fra classi, che invece una autentica rivoluzione sessuale dovrebbe arrivare a produrre, essendone, a sua volta, il prodotto. E vediamo subito perché: anzitutto perché un’adeguata educazione sessuale infantile, una aperta gestione del proprio corpo (di tutto il corpo), una completa eliminazione dei tabù, delle repressioni, delle paure, delle angosce, dei sensi di colpa inflitti a tutti noi (chi non ha un ricordo infantile traumatico? un qualche «complesso» derivante da errori di educazione o — peggio — da totale mancanza di educazione sessuale?): tutto questo non farebbe altro che produrre ottimi frutti sociali, contribuendo alla formazione di personalità non repressive perché a loro volta non represse, non fisse esclusivamente alla sessualità come procreazione, alla coppia eterosessuale, alla famiglia borghese, ma aperte invece alla «diversità» e all’identificazione sociale invece che all’autoritarismo, all’ossessionante della tradizione, ecc. Personalità nemiche dello status quo, contrarie profondamente alla doppia morale che ha prodotto, tra l’altro, lo stigma della prostituzione femminile e maschile, la caccia al «mostro» omosessuale; contrarie all’ipocrisia piccolo-borghese così come ai «pruriti» da falsa liberalizzazione sessuale come è, ad esempio, quella dell’a suo tempo miseramente ‘ celebre ‘ libro di David Reuben, Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso, che non faceva altro che riportare la Voce del Padrone che intrattiene gli schiavi a suon di piffero addosso, della pubblicità martellante, del sistema antiuomo (e, più ancora, antidonna).
Se vediamo, infatti, la sessualità da una parte come tabù, e dall’altra (suo rovescio uguale e contrario) come totale, falsa «libertà» erotica, non si serve altro che il Sistema. Un sistema che ci vuole passivi, ripetitivi, alienati, mercificati, comprabili, consenzienti. Non dimentichiamo che il sesso può diventare l’oppio di cui si servono i padroni per addormentare il proletario, e soprattutto la donna proletaria. Bisogna profondamente distinguere, infatti, tra liberazione sessuale rivoluzionaria e pseudo-liberazione sessuale di una società all’apparenza permissiva per i propri scopi di imbonimento e di profitto. Ecco dunque un’altra distinzione da fare: esistono due tipi di sessualità, l’una ancora ruolizzata, riproduttiva, non creativa, padronale, incosciente, virilista o passiva, una sessualità secondo la quale, per esempio (ed è questa la principale spia per giudicare a quale dei due tipi di sessualità si rifa un individuo o un’intera società) la donna raggiunge la parità con l’uomo solo a letto, cioè solo se imita l’aggressività e la proverbiale volubilità sessuale dell’uomo, se cioè segue un prototipo di donna-virago, prodotto ultimo di una sub-cultura da fumetto fascista e nazista (la versione in gonnella, per intenderci, di Zero zero sette: Barbarella e le sue compari). E un altro tipo di sessualità, invece: libera, attiva, che mira anche ad altro, e che non può contentarsi di una parità tra i sessi che si svolga solo nella sfera intima e privata. Una sessualità che ammetta tranquillamente certe differenze, che dichiari le proprie eventuali «devianze», che si confessi senza paure; una sessualità magari utopica, questa, propria di una società senza classi e senza più conflitti sessuali, creativa e comunitaria, senza alienazioni e ruoli, ghetti e piramidi.
C’è da notare ancora che quel primo tipo di sessualità autoritaria e repressiva (magari sotto la maschera della spregiudicatezza erotica, che divide moglie da amante, normale da «deviato», privato da pubblico, e così via) rifiuta proprio due fasi basilari della sessualità liberata: parlo dell’oralità e dell’analità, che vengono relegate al ruolo di fasi inferiori, immature, precedenti o, peggio, di perversioni, di vizi da combattere all’esterno, e di cui portare infiniti sensi di frustrazione e di colpa all’interno. Le tre fasi dell’esperienza sessuale umana, infatti: fase orale, anale e genitale, rimangono sempre presenti nella vita di un individuo: solo che le prime due vengono violentemente represse (come nella donna viene repressa la sessualità clitoridea, con le ben note conseguenze di frigidità, nevrosi, depressione, ecc.). Tutto con un ben preciso scopo sociale, con una finalità che è solo all’apparenza morale e religiosa, ma che è, ancora una volta, apertamente politica, cioè economica, autoritaria, che fa il gioco della repressione più spietata e massiccia che la storia conosca prima di Marx, ma purtroppo anche dopo di lui, fino ai giorni nostri.
Ecco così che la terza fase, la fase sessuale propriamente detta, viene considerata l’unica, la sola degna perché appunto è riproduttiva, cioè funzionale alle leggi del sistema capitalistico e alla sua scala di valori, secondo la quale il bambino deve stare sottomesso alla donna (e, in genere, all’adulto), la donna all’uomo, l’uomo al Capo, e il Capo direttamente sottomesso a Dio o alla Natura (ma è la stessa cosa), in nome dei quali vengono emanati codici di comportamento, emessi giudizi morali, innalzati capestri e roghi, promulgate leggi fasciste, fatti matrimoni concordatari, spezzate Ruote Sacre quando conviene, imposte maternità, e così via discorrendo.
In quest’ordine di cose, solo la genitalità procreativa diventa sessualità di diritto, unica sessualità valida e legittima a tutti gli effetti. Anzi no, non a tutti: solo a quello di far figlioli e di avviarli sulla via del bene e del bello, tra le braccia di babbo Capitale. Quella del capitalismo di oggi e di ieri è, quindi, una battaglia anche contro un sesso che non sia strettamente riproduttivo. Una battaglia a favore della rimozione, a favore della sublimazione, a favore del senso di colpa, a favore delle otto ore di lavoro (meglio quando erano dieci) contro quelle di svago, a favore della sottomissione all’autorità, a favore dello status quo, a favore dell’uomo contro la donna, della casalinga contro l’emancipata poiché — giova ripeterlo — c’è un ben preciso legame tra carattere autoritario (sadomasochista, caratterizzato da analità repressa) e un tipo di politica autoritaria, fatto cioè da un’intera classe di anali repressi, di sado-masochisti, di frustrati, di fascisti o fascistibili psicologicamente prima che socialmente. Ecco perché i movimenti della sinistra parlamentare ed extraparlamentare, i movimenti femministi, quelli di liberazione sessuale, ecc., si richiamano tutti alla profonda forza di questi argomenti, riallacciandosi almeno in parte (magari criticamente, comunque con un ritardo di quarantanni) a quelle che furono le geniali intuizioni di Reich che, come si sa, fondò il movimento del Sexpol (sesso e politica) negli anni Trenta in Germania, movimento entro il quale si sperimentava la portata dirompente di una sessualità liberata nei riguardi di un sistema autoritario, si sperimentava cioè un comunismo e una sessualità che andavano di pari passo. L’esperimento di Reich fu interrotto con la forza nel ’33, sia (e va detto con amarezza) da parte del partito comunista tedesco, sia da parte della Società internazionale di Psicoanalisi, per timore delle grosse scoperte di questo scienziato marxista, che fu poi ridotto a fare il «pazzo geniale», il capro espiatorio e il buffone negli Stati Uniti d’America, morendo dopo essere stato processato e linciato moralmente da comunisti e da anticomunisti.
A proposito del rapporto tra comunismo e sessualità, tra liberazione politica e liberazione sessuale, basta vedere come le forze più reazionarie, la DC, i clerico-fascisti, la Chiesa ufficiale (ma purtroppo spesso tanti partiti comunisti, a cominciare dall’URSS, dalla Cina, da Cuba, dove vige oggi un moralismo puritano e tragicamente repressivo) si schierano e si sono sempre schierati contro un’affermazione della sessualità creativa e non necessariamente procreativa, cioè contro il diritto all’uso del corpo (e questo è tanto più vero se il corpo è un corpo femminile), ispirandosi a un fallocentrismo ipocrita e rivoltante. (E qui apro una breve parentesi storica: è interessante ricordare che nel ’17 i decreti sulla sessualità in Unione Sovietica erano estremamente aperti: era ammesso il divorzio, l’aborto, e fu abrogata anche la legge contro l’omosessualità. La sessualità, cioè, era pienamente ammessa e anche legislativamente favorita. Poi ricominciò il dogma della famiglia tradizionale. Nel 1934 — guarda caso, proprio gli anni dello stalinismo — si ricominciò a porre mano alla restaurazione, preparata dal ripristino dei paragrafi di legge contro l’omosessualità. Nel 1936 fu proibito l’aborto, e così via). Ma torniamo a uno dei grandi imputati: la famiglia, un’istituzione che durante i secoli ha prodotto infiniti guasti, istigata dalla morale ecclesiastica e dalla morale utilitaristica delle classi via via in ascesa verso il potere. Per questo dobbiamo più che mai proclamare la necessità di un’educazione sessuale pubblica adeguata, che elimini i conflitti familiari, le malsane malizie, le morbose atmosfere, i ricatti e i sensi di colpa. Proclamare la totale parità anche sessuale della donna, senza la quale le altre conquiste saranno sempre prive di autenticità. Proclamare l’esistenza (e l’esigenza) di una sessualità globale, non ridotta alla zona riproduttiva; sessualità molto più grande che non il vecchio «rimedio alla concupiscenza» dove il sesso era sempre visto come minor male o come droga per calmare i morsi di un terribile ma-, le: l’istinto. Proclamare la necessità di. una fondazione del materialismo visto anche come libera espansione della.materia carnale, che è il corpo ricco e gioioso dell’uomo e della donna, dentro una società senza più il potere dello uomo sull’uomo (e dell’uomo sulla donna), senza i massacranti rapporti di mercato che sviliscono la dignità dell’individuo. Un corpo che è essere e non avere. Poiché il materialismo è soprattutto questo: affermazione dell’essere. Proclamare — infine — la inscindibilità delle due lotte e delle due conquiste (non l’una senza l’altra): una società liberata socialmente ed economicamente, senza classi, e un corpo sessuato, liberato dai lacci di una ripetitività triste, dalla schiavitù di ruoli fìssi sessuali. Un corpo, cioè, senza prefissate etichette imposte dalla mercificazione di tutto, persino della stessa carne umana, ossia della nostra più intima e inviolabile individualità, in cui s’innesta la socialità, Questo mi sembra necessario. Questo, almeno, è indispensabile avere chiaro una volta per tutte: se è vero che non c’è liberazione sessuale senza socialismo, non vi potrà essere autentico socialismo senza liberazione sessuale.