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La Convenzione del 1949 sollecita la decriminalizzazione della prostituzione.
Continuiamo la pubblicazione degli interventi sulla prostituzione con un articolo di Priscilla Alexander apparso sul numero di sett./ott. 1979 dì «Coyote» la rivista diretta da Margo St. James a San Francisco e distribuita durante il “workshop’ sulla prostituzione tenutosi al Forum di Copenhagen.
Nel XIX secolo, due gruppi di riformatori rivolsero la propria attenzione ai mali causati dalla prostituzione, e proposero diversi modi per eliminarli. Un gruppo si rifece a Josephine Butler, che aveva proposto dì abrogare tutte le leggi che proibivano o regolamentavano la prostituzione. Questo gruppo pensava che fosse necessario modificare le condizioni di vita che portavano alla prostituzione, e non condannare la prostituzione di per sé. Il secondo gruppo scelse dì fare della prostituzione un crimine, pensando che se si arrestavano tutte le prostitute, i protettori e tutti coloro che beneficiavano finanziariamente dell’industria della prostituzione, ci si sarebbe liberati di quei mali. Questo è il metodo usato dagli Stati Uniti, con il risultato che, ad esempio, nel 1977 più di 100.000 persone sono state arrestate in base a incriminazioni collegate alla prostituzione; tuttavia un giro per qualunque città può dimostrare quanto l’industria continui a prosperare.
La Convenzione ONU del 1949 ha scelto una via dì mezzo, una via adottata da molti Paesi. La prostituzione di per sé non è un crimine, mentre lo sfruttamento e l’affitto di uno spazio a scopo di prostituzione rimangono un reato. Inoltre, la maggior parte dei Paesi che hanno decriminalizzato l’atto di per sé, ha mantenuto le leggi contro l’adescamento. Il risultato è quindi che le prostitute vengono arrestate perché parlano con qualcuno di una cosa assolutamente legate: Essenziale, l’offesa che si vuole punita è quella della visibilità. Le donne delle classi sociali più alte che stanno dietro porte chiuse a chiave in quartieri residenziali raramente vengono arrestate. Quelle che finiscono in prigione sono le donne povere, le donne che non hanno altra scelta, che sono visibilmente dedite alla prostituzione. In tutti i Paesi in cui lo sfruttamento è un reato, le donne continuano ad essere sfruttate. La legge non ha avuto impatto e, di fatto, viene raramente applicata.
La Convenzione ONU fa appello alle varie nazioni perché considerino reato l’affitto a qualcuno di uno spazio a scopo di prostituzione. L’esistenza di leggi per l'”Abolizione della luce rossa” proibisce l’uso di un edificio a scopo di prostituzione. Se gli alberghi non permettono alle prostitute di lavorarci, queste saranno costrette a lavorare per le strade. Non è un luogo di lavoro piacevole né sicuro, ma le leggi attuali rendono difficile per alcune prostitute trovare un posto sicuro. L’applicazione delle leggi per l'”Eliminazione della luce rossa” tende ad essere attuata nei confronti degli alberghi che stanno nelle zone più malfamate delle città.
Gli alberghi di lusso, dove la prostituzione ha luogo giorno dopo giorno, non vengono mai colpiti. Una Volta ancora, si tratta di una discriminazione. In un grande albergo è facile per una prostituta ben vestita e disinvolta. Ma nell’alberghetto pochi isolati più in là, dove può esserci un solo impiegato e un solo ascensore, la prostituta è più facile da vedere e da ricordare, e così la polizia accusa l’albergo di complicità.
Il traffico internazionale
La Convenzione affronta anche il problema del traffico da una città o da un paese all’altro, sollecitando i vari Stati a pubblicizzare i pericoli di tale traffico e a proteggere i ragazzi e le donne che viaggiano, A San Francisco, come in molte altre città, agenti di polizia in incognito, lavorano al Terminal degli autobus, controllando particolarmente i ragazzi fuggiti da casa, sperando di intervenire prima che gli sfruttatori locali li contattino. Ma gli stessi agenti di sicurezza solitamente portano i ragazzi al Centro di Protezione Giovanile, dal quale vengono spesso rimandati ai loro genitori. Dal momento che la maggior parte di questi giovani sono vittime di incesto, questa decisione è discutibile.
Soltanto un punto della Convenzione affronta la realtà economica che costringe molte donne a darsi alla prostituzione. Se tutte le donne avessero eguali possibilità di accesso a lavori ben pagati e di responsabilità, sarebbero molto meno quelle che sceglierebbero di prostituirsi. Se le altre prestazioni delle donne fossero valutate quanto le loro prestazioni sessuali la prostituzione non avrebbe grandi attrattive. Mentre le donne guadagnano da 3.50 a 7 dollari (da 2.800 a 5.600 lire, n.d.r.) per lavori d’ufficio, a San Francisco, la prostituzione rende da 20 a 500 dollari (da 16.000 a 400.000 lire) per cliente. La Convenzione suggerisce la creazione di centri di formazione e di altri servizi per aiutare le donne a trovare altri modi per mantenersi, ma non fa i conti con la struttura di classe e gli “standards” economici e sessuali che creano la domanda e l’offerta nella prostituzione.
La prostituzione è spesso definita un reato “senza vittime”, perché il “criminale” non viola la proprietà o la persona. Molti riformatori hanno capito; tuttavia, che vi è una vittima, e la vittima è la prostituta, che viene stuprata, torturata, sfruttata, e a volte uccisa.
La minaccia al matrimonio
Dietro larga parte delle resistenze alla decriminalizzazione della prostituzione vi è la percezione di. una minaccia attuata nei confronti del matrimonio. Storicamente, le donne “per bene” sono state minacciate dalla prostituzione perché gli è stato insegnato ad essere possessive nei confronti del marito, e qualunque vita sessuale al di fuori del matrimonio è stata vista come una minaccia. Per il marito, la minaccia è sempre stata, e continua ad essere, la paura che, se tutte le donne scoprissero che possono non dipendere da un solo uomo, e che possono mantenere il controllo della loro sessualità, la maggior parte di loro sceglierebbe rapporti non matrimoniali. La disparità economica che incoraggia le donne a scegliere la prostituzione co-stringe anche le donne che non sono prostitute a rapporti di dipendenza, particolarmente se hanno dei bambini.
Il matrimonio serve a due scopi, uno dei quali è la protezione dei bambini finché non sono abbastanza grandi da avere cura di se stessi. A questo si porterebbe ovviare assicurando un’assistenza 24 ore su 24 a tutti i bambini, e pagando le donne quanto sono pagati gli uomini. L’altro scopo sembra essere quello di fornire dei servizi al marito. La moglie non ha potere né servizi e ha pochi soldi, come risulta chiaro quando si pensa alle madri che lavorano fuori casa e che fanno un doppio lavoro per metà salario.
Un altro compito che si suppone debba essere assolto dal matrimonio è quello di proteggere le donne dallo stupro ad opera di un altro uomo. Tuttavia, in quasi tutti gli Stati Uniti, tranne in quattro Stati, lo stupro è considerato reato solo quando la vittima non è la moglie dello stupratore.
D’altra parte, molte donne, poiché non raggiungono l’orgasmo attraverso la penetrazione, ma con altri tipi di stimolazioni, chiaramente non dipendono dagli uomini per la gratificazione sessuale. Condannare la prostituzione e gli altri comportamenti sessuali non codificati e definire le donne non monogamiche “puttane” fa sì che le donne sposate continuino ad avere paura di uscire di casa e di dire quello che vogliono e di cui, hanno bisogno in un rapporto sessuale. Ciò di fatto nega loro il pieno piacere sessuale all’interno dei rapporti monogamici.
La prostituzione è un “reato” che serve a mantenere la maggior parte delle donne incatenate alla purezza monogamica. Il terrore dello stupro, viene usato per tenerle sempre sul chi va là, e l’unico motivo per cui lo stupro è reato è perché minaccia la purezza monogamica della vittima e abbassa il suo valore sul mercato del matrimonio. E’ tempo di riscrivere i codici attraverso i quali viene definita la sessualità delle donne. Lo stupro deve essere considerato “sesso coatto” e “attacco sessuale”, e la prostituzione deve essere ridefinita come “lavoro”, e regolamentata come ogni altro lavoro. E’ tempo che VONU prenda seriamente atto del fallimento dei provvedimenti della Convenzione del 1949, per giungere a nuove soluzioni. Al fine di eliminare il traffico internazionale tuttora esistente, consistente nello spostamento di donne da un Paese all’altro, a volte senza il loro consenso, le leggi sulla prostituzione devono essere armonizzate. Le leggi che mirano a bandire i bordelli ottengono semplicemente il risultato di costringerli nell’illegalità.
Un modo molto più utile sarebbe quello di stabilire una regolamentazione delle condizioni di lavoro all’interno dei bordelli, purché il sistema del bordello non sia la sola forma legale di prostituzione. I bordelli, dopo tutto, sono “sesso a produzione di massa” e i bordelli legali sono poco meno che prigioni, per le donne che vi lavorano.
Una regolamentazione delle condizioni di lavoro potrebbe stabilire un massimo di ore lavorative; si potrebbe garantire un salario minimo, insieme a regole di divisione degli utili, assistenza sanitaria e altri vantaggi.
Per evitare il traffico internazionale, le prostitute che lavorano per conto terzi dovrebbero essere residenti nella città in cui lavorano. Per evitare che in alcuni degli attuali bordelli vi sia un’atmosfera da prigione, si potrebbe richiedere loro di vivere in un posto diverso da quello in cui lavorano. Inoltre, dovrebbero essere stabiliti programmi per aiutare le donne che vogliono ritirarsi dalla prostituzione a prepararsi per altri lavori.
Le persone che impiegano le prostitute dovrebbero essere sottoposte a una regolamentazione, con una distinzione fra chi impiega una sola prostituta e chi ne impiega un certo numero.
Se le attività commerciali collegate al sesso fossero trattate come tutte le altre attività, potrebbero essere applicate le leggi che regolano l’impiego degli stranieri, il che di nuovo aiuterebbe a controllare il traffico internazionale della prostituzione.