Silvia Pankhurst: una vita per il movimento
Vi proponiamo alcuni brani particolarmente indicativi della autobiografia della suffragetta inglese “The suffragette Movement. An intimate account of persons and ideals”, ristampato a Londra dalla Virago Press e non ancora tradotto in italiano.
Silvia Pankhurst (1882-1960) ha avuto un ruolo di grande rilievo nel movimento suffragista democratico e in quello socialista in ambito inglese e internazionale. Dal 1912 al 1924, visse e operò tra le donne dell’“East End” di Londra, che presentava condizioni estremamente difficili per la nascita e Io sviluppo di un movimento femminista. Il problema della creazione di un movimento per il suffragio femminile tra le donne di estrazione proletaria e anche sottoproletaria, dell’organizzazione interna della sua federazione, dell’alleanza con le organizzazioni della sinistra e del mondo del lavoro, e soprattutto quello della definizione di una strategia femminista e della sua collocazione in rapporto al socialismo sono stati affrontati da Silvia Pankhurst con straordinario coraggio insieme alle donne della federazione, pur senza svolgerne compiutamente l’analisi a livello teorico. Di qui, anche, l’importanza che assume l’attività successiva alla frattura segnata in campo internazionale nel femminismo dalla guerra e dalla Rivoluzione russa, in quanto le tesi soviettiste cui fu improntata la militanza comunista della Pankhurst e de! suo gruppo nell’ambito della Terza Internazionale e poi al di fuori di essa costituirono sia l’ideale sviluppo e completamento delle istanze fenuniniste sia il loro riassorbimento in un’ideologia legata al fascino delle suggestioni bolsceviche.
In un libro uscito recentemente presso la ETS Università di Pisa, “Silvia Pankhurst — 1912-1924 — Dal suffragismo alla rivoluzione sociale», Silvia Franchini analizza questo periodo della vita di Silvia Pankhurst, cercando di individuarne la globale esperienza di vita e gli assunti ideologici che condizionavano le sue scelte politiche per cogliere il senso della sua presenza nella storia del femminismo e del socialismo nel nostro secolo. Questo lavoro non è una biografia completa di Silvia Pankhurst. Vuol essere piuttosto uno spaccato biografico destinato a evidenziare lo sviluppo dei principali nodi tematici legati al decennio di vita dell’organizzazione da lei creata tra i ceti subalterni e in particolar modo le donne dell’“East London”.
La militanza nella WSPU
il “venerdì nero” (18 novembre 1910)
Un nono “Parlamento delle Donne” fu convocato a Caxton Hall il 18 novembre. I tempi erano maturi. Dieci giorni prima Asquith aveva rivelato i dissidi in seno alla Riunione della Camera dei Lords. I Partiti non avevano raggiunto un accordo. Mentre le donne si riunivano nella Caxton Hall, egli annunciò la sua intenzione di sciogliere le Camere dieci giorni dopo, e di sfruttare tutto il tempo della Camera per le questioni di Governo. Keir Hardie chiese che venissero concesse due ore per discutere una risoluzione affinché il Governo accordasse del tempo per il Conciliation Bill. Asquith promise che avrebbe risposto dopo poco, ma poi abbandonò la Camera senza farlo. Nel frattempo trecento donne, in gruppi di dodici, stavano avvicinandosi. Mrs. Pankhurst, la dottoressa Elizabeth Garrett Anderson, una delle prime donne dottore, Hertha Ay-ton, la prima donna sindaco e sorella di Mrs. Fawcett, la scienziata Mrs. Cobden Sanderson, tre donne di età. Miss Neligan, Mrs. Saul Solomon, e Mrs. Brackenbury, e la Principessa Dhuleep Singh. Alla Pankhurst e a questo primo gruppo fu concesso di raggiungere la Camera, e furono persino accompagnate nella stanza del Primo Ministro; non essendo loro stato possibile incontrarlo, tornarono alla Strangers Entrance. Alcuni deputati si adunarono fuori per parlare con loro. Lord Castlereagh propose un emendamento che ricalcava la mozione di Keir Hardie. Il dibattimento durò un’ora, solo cinquantadue deputati votarono a favore, ma riuscirono a strappare ad Asquith la promessa che egli avrebbe dichiarato, il martedì successivo, le intenzioni del Governo sul Voto alle Donne. In un momento particolarmente critico della crisi costituzionale in atto, con il conflitto fra Irlanda Nazionalista e Ulster che stava portando il Paese sull’orlo della guerra civile, la questione del Voto alle Donne era in primo piano: un vero trionfo per le militanti. Fuori, sulla Piazza, scene di violenza senza precedenti. Avevo promesso che avrei fatto un resoconto della vicenda per Votes for Woman, e fui costretta in tutti i modi ad evitare di farmi arrestare, in quanto ero impegnata nella stesura di una storia del movimento militante per la quale avevo già un contratto con gli editori. Con Annie Kenney presi un tassì e vagai, l’autista era disposto a farsi strada in mezzo alla folla. Ci sembrò tuttavia insopportabile assistere allo spettacolo di donne picchiate brutalmente e saltammo giù dal tassì dove tornammo poco dopo perché dei poliziotti in divisa e in borghese ci colpirono al petto, ci afferrarrono per le braccia e ci sbatterono a terra. La nostra fu un’esperienza comune. Vidi gettare a terra Ada Wright una dozzina di volte. Un uomo con un cilindro prese le sue difese mentre lei giaceva a terra, ma un gruppo di poliziotti lo allontanò con forza, e afferratala la gettò in mezzo alla folla per poi atterrarla nuovamente quando lei si voltò. Più tardi la rividi stesa contro il muro della Camera dei Lords, mentre un gruppo di donne angosciate stava inginocchiato intorno a lei. Due donne con le mani legate venivano trascinate da due poliziotti in divisa. Dal gruppo dei poliziotti in borghese un uomo venne avanti e prese a calci una delle ragazze, mentre gli altri ridevano e si prendevano gioco di lei. Vedemmo diverse volte piccole delegazioni farsi largo in mezzo alla folla con le loro bandiere. “Asquith ha messo il veto alla nostra legge». La polizia requisì le bandiere, le strappò, spezzò i pennoni, colpì le donne con pugni e calci, le atterrò, alcune furono persino prese a calci, trascinate via e spinte in mezzo agli astanti. Questa scena durò sei ore. Di tanto in tanto tornavano alla Caxton Hall, dove dottori e infermieri soccorrevano le donne che erano state colpite. Vedemmo le donne che erano uscite tornare esauste, con gli occhi neri, il naso sanguinante, piene di lividi, distorsioni e lussazioni. Si sentiva gridare: “Attenzione, stanno portando le donne nelle vie laterali!” Sapevamo che questo aveva sempre voluto dire maggiori maltrattamenti. Vidi Cecilia Haig uscire con le altre; era una donna alta, robusta, riservata, con una buona situazione economica, che in circostanze normali avrebbe potuto vivere tutta una vita senza ricevere un insulto, tanto meno percosse. Venne aggredita con indecente violenza e morì nel dicembre del 1911, dopo una dolorosa malattia provocata dalle ferite. Henria Williams, già sofferente di cuore, non si riprese dalle percosse che ricevette quella notte nella Piazza e morì il primo gennaio. Persino alcune delle anziane signore che accompagnavano Mrs. Pankhurst nella prima delegazione, ma che furono separate da lei, vennero sottoposte a maltrattamenti. Mrs. Saul Solomon venne gettata a terra di fronte alla polizia a cavallo. Si lamentò del trattamento violento e inumano che aveva subito, e dei cui postumi continuò a soffrire per diversi mesi. H.N. Brailsford e la dottoressa Jessie Murray raccolsero le prove da testimoni, di deliberati atti di crudeltà che erano stati compiuti: torsione delle braccia, dei polsi, dei pollici, inizi di soffocamento, spinta del capo all’indietro, pizzichi alle braccia, colpi al viso con pugni, bastoni, elmetti, calci alle donne gettate a terra; donne il cui viso veniva sfregato sui binari, pizzichi al seno; compressione delle costole. Una ragazza venne condotta al commissariato di polizia con le gonne alzate. Una donna di settant’anni, fu gettata a terra da un pugno sul viso, e ne ricavò un occhio nero e una ferita dietro la nuca. Il Comitato di Conciliazione chiese un’inchiesta governativa sulla condotta della polizia, ma Churchill rifiutò. Questi dichiarò che invece di disperdere le donne con una carica di bastoni o dì lasciare che i disordini continuassero più a lungo, preferiva che le donne venissero arrestate non appena avessero commesso un atto illecito. Era stato il suo predecessore, non Churchill, a dare l’ordine di spiccare il minor numero possibile di mandati di cattura. Le sue direttive non erano state “pienamente capite ed eseguite”. Questa spiegazione fu accolta con scherno da coloro che avevano assistito alle varie scene. La contraddizione traspariva dalla dichiarazione successiva dello stesso: «Nessun ordine, scritto o orale, è stato dato, direttamente, o indirettamente da me alla polizia”. Centoquindici donne e due uomini vennero arrestati quel “venerdì nero”, come venne più tardi chiamata quella giornata. Quando si presentarono a Bow Street, la maggior parte delle accuse furono ritirate in vista delle Elezioni. Solo quelle donne accusate di aver infranto finestre o aggredito la polizia, vennero regolarmente processate. Il Parlamento delle Donne continuò la sua sessione aspettando la dichiarazione del Primo Ministro il martedì successivo. Essa suonava così: “Il Governo, se sarà ancora in carica, faciliterà nel prossimo Parlamento, un effettivo procedimento del Progetto di Legge, purché esso contempli liberi emendamenti”. Questa dichiarazione venne accolta con grida di disgusto e definita “indegna”. “Sto andando a Downing Street, venite con me, tutte quante!” ordinò Mrs. Pankhurst, e furono tutte con lei, cogliendo la polizia di sorpresa. Solo una fila di poliziotti potè essere radunata per Sbarrare l’ingresso di quelle donne alla strada dove risiedeva il Primo Ministro. L’ispettore, di fronte alla sua inferiorità numerica, cercò di parlamentare con la Pankhurst; anche noi due, in piedi sul tetto del tassì, gridavamo alle donne che erano rimaste indietro. “Venite avanti”. Mrs. Ha-verfield, sul furgone, gridò: “Avanti ragazze!” In un attimo le fila della polizia furono rotte. Le piccole bandiere rosse vennero avanti. La polizia fece arrivare i rinforzi. Nella mischia comparve Asquith in persona, ignaro di quanto stava succedendo, che si trovò circondato da donne furiose. La polizia si affrettò a trovargli riparo in un tassì, mentre una donna introduceva un pugno attraverso uno dei finestrini. Anche Birrell si imbatté in alcune donne, e nel tentativo di fuggire si storse un ginocchio. Mrs. Pankhurst e più di cento altre donne vennero arrestate. Nella notte, gruppi di donne infransero le finestre dei ministri allora al governo. Gli arresti salirono a 159. Il mercoledì, un ulteriore tentativo di raggiungere la Camera portò ad altri 18 arresti, mentre il giovedì successivo, a seguito di finestre infrante, vennero spiccati altri 21 mandati di cattura, in tutto 285 arresti in tre giorni di azione militante.
Un altro “grande flagello”: miseria e sfruttamento
Quanto fosse esagerato l’allarmismo che vedeva nella sifilide la causa prima dell’alto tasso di mortalità infantile, è stato dimostrato dalla sensibile riduzione di detta mortalità che è stata finalmente raggiunta. La creazione di Cliniche e Centri Assistenziali per le madri e i bambini, come pure altri servizi sociali contribuirono a ridurre l’allora alto tasso di mortalità. La nostra Federazione di East London si assunse gran parte del Tavoro. A parte i meriti intrinsechi, un grande vantaggio della propaganda contro il “Grande Flagello” agli occhi del W.5. P.U. fu che, come il voto, snelliva la normale procedura dei programmi del Partito. Non offendeva la sensibile coscienza di quei delicati fiori di serra, i Conservatori, che sostenevano il Suffragio alle Donne, che il W.S.P.U. era desideroso di incoraggiare. Con la sua natura sensazionale, questa propaganda incoraggiava le febbrili emozioni, il senso di intollerabile errore, necessari a spronare le donne alle azioni più serie di distruzione. Christabel esaltava ora la guerra dei sessi precedentemente deprecata e sconfessata dalle Suffragiste più anziane. Mr. Lawrence aveva spesso affermato di essere con le donne militanti affinché la lotta delle Suffragette non si trasformasse in “guerra fra i sessi”. Era chiaro, non tanto dai discorsi di Mrs. Pankhurst che ebbe sempre il dono di una grande comunicativa con i suoi ascoltatori, ma dalle colonne di “Suffragette”: le donne erano più pure, più nobili, più coraggiose; gli uomini erano un sesso inferiore, fortemente bisognoso di purificazione; questa si sarebbe verificata attraverso il W.S.P.U.. Numerose donne, soprattutto appartenenti alla borghesia, avevano questo atteggiamento, pur rimanendo al di fuori dell’Unione. Le cose erano cambiate dai tempi dell’umiltà femminile di vittoriana memoria. E sarebbero cambiate ancora.
La propaganda a favore della purezza sessuale esercitava una forte attrattiva sul clero e su chi lavorava in campo sociale. Costoro erano a stretto contatto con i tristi effetti della prostituzione e della violenza sessuale sulle bambine. Mrs. Fawcett, sempre moderata nelle sue osservazioni, testimoniò che il voto alle Donne aveva fatto grandi progressi nel clero negli anni 1913-14, il periodo in cui il W.S.P.U. aveva diffuso questa propaganda sulla “castità maschile”, declinata in tutte le chiavi di veemenza ed eccitazione. Numerosi membri del clero, convinti sostenitori del W.S.P.U., tentavano dei discorsi dalle sue tribune, contribuivano ad esso, esaltando le sue militanti come eroine e martiri.
Nell’East End, dove le case erano misere, i lavori di fortuna e mal retribuiti, e masse di lavoratori provavano le privazioni più dure, la vita aveva un altro I aspetto. Il giogo della povertà che pesa-j va un po’ su tutti, era un fattore che nessuna propaganda di qualunque orienta-1 mento, poteva trascurare. Le oratrici che j venivano dai quartieri poveri lottavano dalla mattina alla sera con sventure che per altri erano solo “sentito dire”. Qualche volta un gruppo di loro veniva con me nei salotti di Kensington, e di Mayfair; i loro discorsi facevano raccapricciare quelle signore che appartenevano ad un altro mondo, alle quali il duro lavoro manuale e la mancanza delle cose più necessarie era sconosciuto. Molte delle oratrici del W.S.P.U. tornarono da noi: Mary Leigh, Amy Hicks, Theodora Bonwick, Mary Paterson, Mrs. Bouvier, la coraggiosa, testarda russa, e molte altre. ; C’era, fra di loro, la saggia e logica Charlotte Drake del Custom House, che rimasta orfana con fratelli e sorelle più piccoli, aveva lavorato come cameriera al banco, cucitrice a macchina, e che ricordava incidenti curiosi, divertenti, e tragici della sua vita, che sconvolgevano il suo pub-plico dell’East End per la loro veridicità. Raccontati con la sua incisiva, inimitabile acutezza, avrebbero fatto la fortuna di un romanziere verista. “Devi nutrirti” furono le prime parole che mi rivolse quando venne al mio fianco mentre mi trasportavano in barella, dopo uno dei miei scioperi della fame, per consentirmi di parlare. Moglie di un operaio, e madre di cinque bambini, aveva letto dei libri di fisiologia che spiegava ai suoi figli. Melvina Walker era nata a Jersey ed era stata la cameriera di una signora; conosceva molte storie vere che aveva appreso osservando il “Bel Mondo”. Fu, per lungo tempo, una delle più popolari oratrici fra quelle che parlavano all’aperto dei vari movimenti di Londra. Mi faceva pensare ad una donna della Rivoluzione Francese. La immaginavo sulle barricate, mentre sventolava il bonnet rouge, mentre incitava i combattenti con grida appassionate. Quando era all’apice della sua eloquenza, sembrava l’incarnazione della donna proletaria, lavoratrice, tormentata dai morsi della fame. Alle volte era così bizzarra ed eccentrica, in quei primi tempi, che scherzando dicevo: “Quando scoppierà la rivoluzione, il mio primo pensiero sarà di ordinare l’arresto di Mrs. Walker”.
Poi mi disponevo a sistemare le intricate faccende di cui era protagonista; una tempesta in un bicchier d’acqua che si risolveva facilmente. Mrs. Schiette, che aveva abbondantemente superato i sessanta, venne avanti per fare il suo primo discorso senza esitazioni; e fu capace di tenere desta l’attenzione del suo pubblico per un’ora e mezzo di seguito. Mrs. Cressal, più tardi Borough Councillor; Florence Buchan, una ragazza che era stata licenziata da una fabbrica di marmellata per motivi che così venivano spiegati dalla sua caporeparto: “Vuole solo fare il diavolo a quattro con le Suffragette”; Mrs. Pascoe, una delle nostre carcerate che, facendo lavori domestici, manteneva un marito tubercolotico e un orfano da lei adottato — solo una delle tante che avevano imparato a dare voce alla loro protesta.
Ero appena rientrata da Parigi quando furono indette le elezioni straordinarie a Poplar. Avevamo già un ufficio permanente e una sala per riunioni nel East India Dock Road. Nelle prime ore della mattina, quando sapevo che i poliziotti facevano una breve pausa, mi introduce-vo furtivamente. Potevo così condurre la mia campagna contro l’On. Sydney Buxton, un conservatore, parlando agli incontri delle donne che si tenevano al chiuso, e a grandi folle all’aperto, dalle finestre. Alla vigilia delle votazioni, marciai pubblicamente in un corteo e parlai all’entrata delle banchine. La folla era enorme. I poliziotti erano numerosissimi, ma lasciavano che la gente si tenesse ad una distanza di sicurezza. Sembrava inopportuno spaccare la testa agli elettori la sera prima che questi si recassero a votare.
Quando il nostro distacco dal W.S. P.U. fu definitivo, Zelie Emerson mi si avvicinò e con la sua voce suadente mi disse: “Voglio che tu dia vita ad un giornale”. Il Suffragette prestava poca attenzione alle particolari esigenze di donne come noi. Avevamo bisogno di un organo di informazione, e ora che eravamo tagliate fuori dal W. S.P.U., eravamo libere di pubblicarne uno. I nostri fondi, tuttavia, non erano sufficienti. Alcune delle ILP di provincia pubblicavano dei volantini che venivano distribuiti gratuitamente, porta a porta. Accettai di avventurarmi nell’impresa di un giornale. Zelie Emerson consultò degli editori e ottenne dei preventivi e dei menabò, titolati come io avevo proposto: The Woman’s Banner (Il Vessillo delle Donne). Finalmente scegliemmo un’impaginatura molto più grande di quanto io avessi previsto: diciotto pollici per ventiquattro, in tutto quattro pagine. Calcolammo che ogni pollice di pubblicità avrebbe coperto il suo spazio e quello di una notizia. L’idea era meravigliosamente semplice, ma non funzionò. Zelie riuscì ad assicurarsi solo tre pollici di pubblicità. Alla fine mi chiese di stampare un numero zero in modo da avere qualcosa di meglio da presentare che un menabò. Non mi scoraggiavo facilmente, e nell’eccitazione di passare alla stampa, Zelie ci assicurò grosse pubblicità della Neave’s Food e del Cacao Lipton per tre mesi, e questo fu il suo unico successo sul fronte della pubblicità. Il giornale non sarebbe stato uno strumento pubblicitario. I negozianti locali ci assicurarono che non facevano mai pubblicità, e questo era generalmente vero. Le aziende del centro di Londra, non avevano nulla a che fare con noi. Venne convocata una riunione generale della Federazione per approvare il progetto e scegliere il titolo del nuovo giornale. Penso che fu Mary Paterson a proporre Workers’ Dreadnought. Non ero particolarmente favorevole, ma le partecipanti lo accolsero con entusiasmo, per cui accettai. Avrei preferito The Workers’ Male (Il Compagno dei Lavoratori), un titolo che mi venne in mente più tardi? “Male” (Compagno) era uno dei modi preferiti con cui ci chiamavamo nell’East End, e a me suonava come una forma cordiale e affettuosa.
Mosse dalla sana oculatezza delle madri della classe operaia, i nostri membri insistettero affinché il giornale venisse venduto, non distribuito gratuitamente. Arrivammo ad un compromesso: il giornale sarebbe stato venduto i primi quattro giorni dopo la sua pubblicazione, e poi distribuito, porta a porta, verso la fine della settimana. 11 prezzo era di mezzo penny, mentre altre pubblicazioni di propaganda erano generalmente vendute ad un penny. Il numero zero che era costituito di otto pagine, fu pubblicato l’8 marzo, il primo numero il 21 marzo 1914. Vennero pubblicate ventimila copie settimanali fino allo scoppio della guerra, quando alla fine di agosto, per gli alti costi della carta, le copie furono ridotte al numero attuale. Il Dreadnought, che nel frattempo aveva aumentato le dimensioni e le vendite, continuò fino al luglio del 1924. Il mio più ardente desiderio era che il giornale desse voce alle lavoratrici, anche se analfabete, e fosse il luogo dove esse potessero trovare difesi i loro interessi.
Ebbi molta difficoltà nel correggere e sistemare i loro manoscritti, sforzandomi di preservarne lo spirito e la freschezza. Volevo che il giornale fosse, il più possibile, aderente alla realtà; nessun argomento arido doveva trovarci posto, solo una vivida presentazione dei fatti così come stavano, partendo dal particolare, per passare a princìpi più generali. Non si presentarono casi particolarmente dolorosi, ma Dreadnought sarebbe stato disposto, a farsene il portavoce e, se possibile, a cercare di porvi rimedio. Quanto grandi fossero i bisogni che esso cercava di soddisfare, quanto certo fosse il suo richiamo, poteva essere misurato dalla reazione. Da tutto il East End, e anche da più lontano, la gente che lottava o che era oppressa dai datori di lavoro, padroni, agenti assicurativi, uffici governativi, autorità locali, ospedali, o case di cura, avvocati o società ferroviarie, raccontava i suoi problemi perché venissero resi pubblici, e ad essi fosse trovata una soluzione.
Il fratello di una giovane donna, accusata di infanticidio, ci scrisse raccontandoci fatti essenziali di cui la sorella, non aveva parlato al processo. Li indirizzammo al settore competente. Perfino un detective ci scrisse in risposta alle proteste delle Suffragette contro il personale del Dipartimento di Polizia Criminale, ammettendo e deplorando la presenza, nel corpo, di persone malvagie, e citando esempi della loro cattiveria. Le nostre croniste volontarie, nell’indagare sulle diverse condizioni, traevano resoconti molto più veritieri dei loro colleghi di Fleet Street, perché sapevano come porre le domande, e come conquistarsi la fiducia della gente che soffriva. Spesso venimmo minacciate con dei libelli. Solo una volta fui convinta di ricorrere ad un avvocato, e, in quell’occasione, pagammo 20 sterline. Di regola, rispondevo che se mi avessero convinta che avevamo pubblicato un falso, mi sarei subito corretta. In genere però, non erano in grado di convincermi. Ero a conoscenza dei rischi, sia di una diffamazione, che di un procedimento giudiziario intentatomi a livello governativo. Del giornale ero responsabile io, non il comitato federativo. Questo, in quanto io stessa direttrice, mi dava una libertà che avrei esitato ad esercitare se altri avesse corso dei rischi. Per me, Dreadnought è stato un onere, in quanto ero io responsabile di reperire, con donazioni, quanto mancava per finanziare il giornale (1). Riducendosi il tempo nel quale mi guadagnavo da vivere, la mia situazione economica peggiorava. Inoltre cedevo volentieri la maggior parte dei miei introiti — provenienti da scritti o discorsi che tenevo per altre organizzazioni — per mandare a-vanti il lavoro. Le mie esigenze personali erano limitate; mi riposavo solo quando non ero più in grado di lavorare. Dopo il lavoro non ero solita concedermi svaghi. Il giornale mi prendeva molto, e nella seconda metà dell’anno, che passai al ‘Cat and Mouse” Act, fu forse la mia salvezza, perché fui costretta, almeno in una certa misura, a risparmiare le mie forze. Non potevo fare nessuno sciopero del sonno in prigione finché non avessi finito di scrivere, per Dreadnought, quanto mi ero proposta.
(1.) Norah Smyth, col passare del tempo, condivise sempre di più con me quest’onere, cedendo gradualmente al giornale e all’organizzazione quasi tutto ciò che aveva ricevuto in eredità.
Le Delegate della Federazione dell’East End
incontrano il Primo Ministro (20 giugno 1914)
All’esterno del n. 400 di Old Ford Road, una folla di donne aveva gridato ed esultato per tutta la notte. Squillò il telefono. Mrs. Payne si precipitò fuori, il suo viso era dolce e sorridente, per comunicare la notizia. La reazione fu di giubilo. La strada, quando arrivai, era intasata. Quanti festeggiamenti! Quanta allegria ed emozione! Mrs. iPayne mi abbracciò, ci baciammo sorridendo. Quanta baldoria ed eccitamento! Non riuscimmo a dormire. Il giorno seguente preparai un discorso che sarebbe stato pronunciato da Mrs. Julia Scurr. Toccava a lei guidare la delegazione. Non ci tenevo ad andarci. Era meglio che queste lavoratrici madri fossero loro a parlare; era per questo che mi ero battuta. Il discorso che si sarebbe letto era solo l’inizio, sarebbe servito a rompere il ghiaccio. Ci avevo messo dentro quanto sapevo essere nei loro cuori. Furono fotografate, prima di partire, davanti alla nostra porta. La vecchia e robusta Mrs. Savoy, che 1 fabbricava spazzole, allegra e coraggiosa I nonostante l’idropisia e le palpitazioni, I un esempio per “les malades imaginaires”; “La donna migliore di Old Ford” diceva di lei George Lansburg. A dispetto della sua indigenza, stava crescendo i due bambini adottivi, era sempre pronta a dividere il suo pezzo di pane, o ad l aiutare un vicino a far nascere un bambino, a pulire la casa, o a badare ai bambini. Si era battezzata “Mrs. Hughes”, per I quel giorno, perché il marito, un uomo I eccentrico, non voleva che il suo nome 1 comparisse sui giornali. Mrs. Payne materna e ansiosa. Mrs. Bird, la moglie di 1 un trasportatore che riusciva a mandare 1 avanti la casa per lui e i loro figli con 1 25 sterline alla settimana. Mrs. Parsons, una donna fragile e minuta, che avendo I il padre malato, aveva lavorato per aiutare la madre a mantenere i suoi fratellini dall’età di dodici anni; e ora con un marito che guadagnava un misero stipendio, manteneva le sue due bambine e una nipote orfana. Mrs. Watkins. Mrs. Scurr che fino al momento del primo apparire delle Suffragette nel 1905-1906, era stata una “tranquilla casalinga” e che sentiva ora un senso di dovere pubblico, come spesso mi diceva e che era una vigile Poor Law Guardian. Erano tutte state scelte nel corso delle riunioni generali, I perché conosciute e rispettate nel quartiere dove vivevano. Esse descrissero al I Primo Ministro, in parole semplici e 1 commoventi, la dura vita delle donne j proletarie. L’Alien Immigration Board i (Ufficio di Immigrazione) aveva recentemente rifiutato il visto ad una ragazza russa che voleva trasferirsi nel nostro Paese, perché il suo futuro datore di lavoro, le aveva offerto un salario settimanale di sole 13s. e 6d; l’Ufficio dichiarò che la ragazza non si sarebbe potuta mantenere a Londra con un salario inferiore a 17s. e 6d.
Eppure nessuno degli uffici per il commercio, costituiti per migliorare le condizioni salariali delle donne lavoratrici, aveva stabilito un salario minimo settimanale superiore alle tredici s. e sei d. e nella maggior parte delle industrie l’orario era ridotto. Mrs. Savoy che aveva lavorato 43 anni a fabbricare spazzole, veniva pagata solo l,25d. per una spazzola che le richiedeva due ore di lavoro. Il Primo Ministro e i suoi colleghi furono sbalorditi, quasi la notizia fosse stata una bomba, quando la Savoy pose sul tavolo una spazzola con i suoi 200 fori. “Faccio tutto il lavoro, mando avanti la casa, non è giusto che io abbia il diritto di voto?”. Da ragazza, Mrs. Parsons aveva guadagnato solo 18s. alla settimana, e molte avevano famiglie più numerose della sua. “Il marito sa a mala pena come vengono spesi i soldi” disse una di loro. “Un uomo porta a casa i soldi, li poggia sul tavolo, e poi può uscire. Ci sono tutte le spese di affitto, di cibo ecc. e poi i vestiti si consumano, e bisogna trovarne altri per i bambini, e le cose che diventano vecchie, bisogna 1 cambiare anche quelle”. “Capite che non viviamo, cerchiamo solo di sopravvivere”. Parlavano delle penose condizioni delle loco case, i cortili dove si raccoglieva la spazzatura. “Dobbiamo lasciare i nostri figli sulla strada”. Fu solo qualche giorno dopo, che il figlio di una delle nostre socie venne investito da un autobus. “In uno sciopero, è la madre che deve fare la ricerche”. “I nostri mariti muoiono, di media, prima degli uomini di altre categorie; l’industrializzazione moderna uccide i nostri uomini o per il troppo lavoro o per via degli incidenti. La Poor Law non ha avuto pietà di noi. E’ odiata da tutte le donne povere. In molti casi si rifiuta soccorso alla vedova e alla moglie abbandonata; rimane la Workhouse, che significa separazione dei figli. Quando poi viene offerto soccorso, questo è dato in modo umiliante”.
“..Le votanti donne del governo locale, sono solo un sesto dell’elettorato. Il Board of Guardians è costretto ad amministrare le leggi dell’Ufficio Governativo Locale, che è controllato dal Parlamento”. Mrs. Payne, confessò il suo grande rammarico: “Dovetti lavorare al fianco di mio marito, che faceva le scarpe, e stare dietro a mia figlia che aveva bisogno di tutto, dalla nascita alla morte, non riuscì a pettinarsi; era minorata, e morì a ventisette anni…. Una volta che mia figlia stava particolarmente male, andò alla Poplar Workhouse. Mio marito pensò di essere costretto a mandarcela. Quando ci andai, la mattina seguente, seppi che l’avevano messa in una cella imbottita. Chiesi al dottore perché fosse stata messa lì. Mi disse che non avevo voce in capitolo. Non dovevo fare domande, solo il padre aveva questo titolo”. Mrs. Parsons aveva dei pregiudizi sulla vaccinazione, ma quando cercò di spiegarsi, venne zittita — solo il padre era il genitore. “Sappiamo che ogni anno molte donne finiscono in prigione, perché non hanno pagato le tasse. Alcune sono donne anziane, che hanno lavorato sodo tutta la vita e che non hanno mai avuto a che fare con la giustizia”.
L’alto tasso di malattie fra le donne sposate e lavoratrici, fu rivelato ai funzionari governativi dai lavori del Insurance Acts, l’Ufficio di Collocamento, la legge relativa ai Separation Orders e agli Affiliation Orders; dai contatti giornalieri con dolorosi casi familiari, di cui era nota l’amarezza. La triste piaga delle donne non sposate, l’irrisolta questione della prostituzione, e il White Slava Traffic (Traffico degli Schiavi Bianchi) non erano favole; le vittime erano conosciute. Mrs. Watkins raccontò una storia nota “Una mia amica, in una fabbrica, il suo superiore… era andata a partorire in una Workhouse. Quando uscì non aveva dove andare. La portai con me. Divise il mio letto e la mia stanza. I soldi erano pochi, e piuttosto che togliere il pane di bocca ai miei figli, preferì andarsene. Non la rividi che tre giorni dopo, quando fu ripescata dal fiume Lea insieme a suo figlio”.
Continuavano a chiedere un posto riconosciuto nella costituzione. “Sappiamo che alcuni disprezzano il Governo rappresentativo, e dichiarano inutile il voto; ma non possiamo credere che voi, Signor il Primo Ministro- condividiate questo punto di vista.»
“… Chiediamo un sistema di franchigia per le donne, che voi avete ripetutamente affermato di comprendere, e che avete dichiarato la vostra intenzione stabilire per l’uomo nel prossimo futuro. E’ la posizione che il vostro partito sembra sostenere — il voto ad ogni donna sopra i ventun’anni.
Le grandi dimostrazioni pubbliche che ci hanno spinto a venirle a parlare oggi, hanno deciso all’unanimità che avremmo dovuto rivolgere a lei la richiesta di un provvedimento immediato del Governo che desse il voto ad ogni donna che avesse superato i ventuno anni. La nostra richiesta è quella di gran parte della classe lavoratrice in tutto il Paese. Là classe operaia ha fatto da lungo tempo questa richiesta e per molti anni i Sindacati e più tardi il Partito Laburista si sono dichiarati favorevoli”.