riprendiamoci la vita: A.A.A. offresi
Non è un modo. Non è una contraddizione. Ma ne parliamo malvolentieri e invece bisogna parlarne. E’ l’altra faccia dello stupro. L’altra faccia del matrimonio.
Venerdì 5 marzo alle 21,35 sulla Rete 2, è andato in onda «A.A.A. offresi…», un programma di: Maria Grazia Belmonti, Anna Carini, Rony Daopoulo, Paola De Martiis, Annabella Miscuglio, Loredana Rotondo, con la collaborazione e consulenza di Agnès Sauvage, autrice del libro «Donne di vita, vita di donne».
Le 6 autrici di «Un processo per stupro», il programma che ha suscitato tanto interesse e consenso (nel 1979 ha vinto il «Premio Italia» per il documentario), proseguono nella loro ricerca sul difficile tema della sessualità con il film-inchiesta «A.A.A. offresi…», un documento che ritrae dal vero una giovane donna che riceve nel suo appartamento i più svariati tipi di clienti. Ne risulta uno spaccato di realtà che riflette l’alienazione e la miseria sessuale della nostra società. Un’unica donna sulla scena. Le altre seguivano «gli incontri» attraverso teleschermi, monitors, cuffie, separate da uno specchio, preoccupate che non entrassero «in campo» i volti dei clienti, in modo da garantirne il più completo anonimato. In alcune scene, per brevi istanti, l’irriconoscibilità è stata assicurata alterando l’immagine (solarizzazione). Anche tutte le voci maschili sono state modificate attraverso l’uso di speciali filtri sonori.
Nessun commento tenta di analizzare o spiegare quello che avviene: «abbiamo preferito, come nel nostro precedente lavoro, “Un processo per stupro”, che fossero le immagini a parlare, a stimolare un dibattito e una riflessione su questo aspetto della realtà di solito nascosto e censurato».
Le telecamere colgono il ritmo delle prestazioni, la ripetitività dei gesti e delle pratiche, la tipologia della clientela, mentre il montaggio, volutamente lineare, sottolinea la monotonia di questo «mestiere» antico. Il film è scandito dalla descrizione del «contratto» che prestabilisce, regola, ritualizza le modalità dello scambio, determinando la fluttuazione del denaro e del sesso.
Nulla è detto sulla vita privata di Veronique: essa è lì, nell’esercizio della sua professione, che organizza appuntamenti attraverso le telefonate — un piano sequenza di 7 minuti ne sottolinea la frequenza — riceve sorridente, a volte dolce e materna, sempre paziente e remissiva, come l’uomo si aspetta che sia. Solo in due o tre occasioni-limite, lascia trasparire qualcosa di se stessa, dei suoi sentimenti, della sua personalità. Per il resto del film Veronique è assente come persona, assente dal rapporto sessuale. E’ il luogo in cui l’uomo può proiettare e vivere le sue fantasie e i suoi desideri. La donna lo sa: è su questa tacita intesa che si basa il «contratto»: i termini dello scambio implicano codici fissi.
I clienti si susseguono nel loro grigiore. A volte hanno voglia di raccontare di se stessi, della famiglia, della moglie, quasi a liberarsi dai sensi di colpa. Il più delle volte la conversazione scorre banale: il tempo («piove», «c’è il sole», «fa caldo», «fa freddo»), le sigarette («io preferisco questa marca», «fa male fumare»). Emergono i luoghi comuni di una sottocultura provinciale, le fantasie sessuali stereotipe, le piccole «perversioni». Veronique sembra demistificare tutto, con prudenza, con tatto.
«M’impari l’arte francese di fare all’amore?». «Quale? E’ come in tutti i paesi».
La «scena» della prostituzione si realizza in modo intollerabile per i suoi continui rinvii alla miseria umana della comunità, ai rapporti di forza e di interdipendenza che regolano le relazioni sociali, allo scambio e al «principio di prestazione» su cui si basano i rapporti umani. Per questo, o anche per questo, la prostituzione suscita ancora in molti scandalo e vergogna.
Questo è il messaggio nascosto del film. «Vorremmo stimolare nel pubblico una riflessione su una pratica che è stata a volte mitizzata, in altre occasioni condannata o tollerata, in altre epoche istituzionalizzata, ma che ha sempre determinato discriminazioni, emarginazione sociale e disprezzo soltanto nei confronti delle donne che ne fanno una professione».
«A.A.A. Offresi» è un prodotto maturo della creatività femminista, non rivendicazionista né vittimista: attraverso immagini spietate mette sotto gli occhi di tutti la miseria sessuale maschile; usando gli strumenti dell’ironia costringe 1′ «eroe» — il maschio — alle sue contraddizioni. Innova nell’immaginario i modelli degli attori: la prostituta non è né la sfruttata né l’allegra battona né la «puttana» per tendenza; LUI, il cliente, mediante questo processo di disincantamento è lì messo in ridicolo; è lì lasciato letteralmente «in mutande».
Ventidue anni fa, il 20 febbraio 1958: la legge Merlin
In Italia, dopo l’approvazione della legge Merlin, «prostituirsi non è reato». La legge punisce con l’arresto fino a 8 giorni «le persone dell’uno e dell’altro sesso che in pubblico o in luogo aperto al pubblico invitano al libertinaggio in modo scandaloso e molesto» oppure seguono per via le persone invitandole al libertinaggio.
Chi è trovato ad “adescare”, però non può essere accompagnato all’Ufficio di Pubblica Sicurezza, se è in possesso di regolari documenti d’identità. Inoltre le persone accompagnate in un ufficio di PS., non possono essere sottoposte a visita medica. Così pure, le Autorità di P.S., le autorità sanitarie e qualsiasi altra autorità amministrativa non possono procedere ad alcuna forma diretta o indiretta di registrazione nonché mediante il rilascio di tessere sanitarie.
Tuttavia, mediante l’applicazione dell’articolo 1 delle “Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità” (legge 27-12-1956 n. 1423) molte prostitute vengono “diffidate” e “schedate” come delinquenti abituali. Di conseguenza subiscono tutte una serie di limitazioni alla libertà personale che vanno dal divieto di frequentare locali e persone sospette, a uscire dopo le 24, ecc., infrangendo le quali rischiano il soggiorno obbligato o il foglio di via obbligatorio.
La gran parte delle prostitute che “battono” sulle strade sono “schedate”.
Quanto alle prostitute che esercitano in alberghi, case o appartamenti: la legge giustamente vieta lo sfruttamento della prostituzione. Accade però che la prostituta venga imputata o condannata per “favoreggiamento” se non testimonia contro l’albergatore, il gestore, ecc.
Imputata di “sfruttamento o agevolazione della prostituzione” può essere anche l’amica con cui la prostituta divide l’alloggio (!)