lavoro
part-time uno strumento in più
per la prima volta un progetto di legge sul part-time non ha suscitato reazioni negative, ne abbiamo parlato con alcune sindacaliste
Il 19 febbraio il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge sulla disciplina del lavoro a tempo parziale (part-time). Il provvedimento accoglie gli indirizzi manifestati in materia dall’apposita commissione CEE. Si disciplina esclusivamente il lavoro alle dipendenze di un privato datore di lavoro o di un ente pubblico che svolga attività economica. Il part-time nel pubblico impiego sarà oggetto di un provvedimento separato. Il disegno di legge si compone di otto articoli. Il particolare rapporto di lavoro prevede la massima capacità di autodeterminazione per aziende e singoli lavoratori. La durata dell’orario di lavoro, che viene lasciata alla libera composizione contrattuale, non deve comunque essere inferiore al 25 per cento della durata stabilita dalla contrattazione collettiva ad ogni livello. Orario, modalità e ripartizione del lavoro dovranno essere garantiti con atto scritto: i lavoratori a tempo parziale avranno una sostanziale parificazione con quelli a tempo pieno e quindi saranno computati nel numero dei dipendenti, salvo quando si tratta di evitare ingiuste privazioni di benefici finanziari o mutamenti della qualificazione dell’impresa, nel qual caso sono computati in proporzione delle ore ordinariamente effettuate. Anche per il part-time dovranno essere coinvolte le rappresentanze sindacali aziendali, e quei lavoratori che aspirano a tale tipo di occupazione dovranno indicare la loro disponibilità al momento della iscrizione nelle liste di collocamento. Per evitare che il ricorso al part-time sia strumento di elusione della normativa vigente in materia di collocamento, oltre alla preventiva consultazione delle rappresentanze sindacali aziendali, si prevede che la trasformazione in rapporto a tempo pieno non possa aver luogo prima che sia trascorso un biennio dalla data di assunzione a tempo parziale. Inoltre è previsto un rapporto percentuale tra impieghi a tempo parziale e impieghi a tempo pieno, affidato alla contrattazione collettiva per prevenire un ampliamento eccessivo del lavoro a tempo parziale. Un salario minimo predeterminato fornirà il parametro per il versamento dei contributi previdenziali a favore dei lavoratori part-time. Ad essi, nel caso in cui prestino la loro opera per almeno venti ore settimanali saranno corrisposti anche gli assegni familiari. La retribuzione dei lavoratori a tempo parziale è corrisposta in maniera proporzionale, tenuto conto dell’orario di lavoro e della loro anzianità nell’azienda, a quella dei dipendenti con la medesima qualifica che effettuano orario completo. Il periodo annuale di ferie del lavoratore a tempo parziale è di durata pari a quello del lavoratore a tempo pieno. Nel passato ogni progetto legge sul part-time presentato dal governo o dai singoli partiti aveva suscitato reazioni fortemente negative nel sindacato, nei coordinamenti delle donne, nel movimento femminista, perchè lo si riteneva un modo per emarginare ulteriormente la manodopera femminile. Oggi le reazioni al progetto legge Di Giesi sono state nel complesso positive. Cosa è cambiato in questi anni? Ne abbiamo discusso con alcune sindacaliste che nel passato avevano manifestato forte opposizione a una legislazione sul part-time.
Ricordo che nel 1975, quando Tina Anselmi, allora ministro del Lavoro, presentò il suo progetto di legge sul part-time alla Conferenza Nazionale sull’Occupazione Femminile, fu accolta da un coro di fischi e di urla: no al part-time. Nonostante la nostra opposizione, in Italia si è avuta una notevole espansione del part-time, tanto che si calcola che oggi i lavoratori part-time siano circa 1.300.000. La dobbiamo considerare una sconfitta? Che cosa è cambiato nella realtà del mercato del lavoro? Qual’è oggi la vostra posizione?
Annalisa Vittore (CISL): Per capire questo diverso atteggiamento del sindacato e del movimento delle donne bisogna fare un minimo di analisi su quelle che sono le dinamiche manifestatesi negli ultimi anni nella realtà del mercato del lavoro. Dinamiche che hanno interessato sia la struttura della domanda che quella dell’offerta. Sono state espresse esigenze di flessibilità sia da parte della struttura produttiva che da parte del mondo del lavoro, esigenze di flessibilità che sono state soddisfatte quasi spontaneamente in un aggiustamento informale tra domanda e offerta di lavoro e che ha dato luogo a tutti quei rapporti destrutturati di lavoro precario che si sono diffusi in questi ultimi tempi, attraverso la giungla delle contrattazioni individuali. Si è manifestata la necessità di interazione tra studio e lavoro, tra lavoro e carichi familiari, tra lavoro e uso del tempo libero. Di fronte quindi a queste nuove esigenze di flessibilità espresse da fasce sempre più rilevanti di forza lavoro, il sindacato ha dovuto prendere una coscienza diversa della problematica del part-time. Tradizionalmente il part-time veniva inteso come sistema per istituzionalizzare il precariato femminile e in quest’ottica era sempre stato rifiutato dalle donne, dentro il sindacato e nel movimento. Il part-time veniva visto come un sistema per ghettizzare l’offerta di lavoro femminile emarginandola ulteriormente nel processo produttivo. Oggi, in seguito appunto ad una valutazione diversa che c’è stata di questi processi verificatesi in modo spontaneo nel mercato del lavoro, il sindacato ha dovuto rivedere la sua posizione e inserire questo tema del part-time nella strategia più generale della ristrutturazione del tempo di lavoro, che non vuol dire soltanto riduzione dell’orario ma soprattutto gestione flessibile dell’orario di lavoro. È solo in questo tipo di strategia che il part-time trova una collocazione ed è stato riconsiderato come strumento che poteva risolvere certi problemi presentati dall’offerta di lavoro, non tanto dal sistema produttivo. Patrizia Baratto (UIL): La posizione sul part-time era troppo caratterizzata ideologicamente. Secondo me sono caduti due obiettivi. Il primo di pensare che tutti devono lavorare per 35 anni a 8 ore al giorno per 40 ore settimanali sempre con lo stesso ritmo. Ci si è resi conto che si può avere una gestione molto più flessibile dell’orario nel percorso lavorativo. È caduto poi l’obiettivo di pensare di dare una sufficiente risposta ai 2 milioni e mezzo di disoccupati. Dato che l’offerta di lavoro è cambiata in modo Considerevole anche dal punto di vista qualitativo e sono emersi segmenti di forza lavoro giovanile, femminile e gli anziani, si può ragionevolmente pensare che siano possibili periodi alternati di lavoro parziale e di lavoro a tempo pieno. Sono due obiettivi che sono cambiati nel giro di sette anni. C’è una maggiore rassegnazione di fronte alla possibilità di cambiare le cose.
part-time un diritto per tutti…
Doriana Giudici (CGIL): Tina Anselmi propose il part-time alle donne e per le donne, cercando di collegare così la domanda di partecipazione con il tradizionale ruolo. Allora tutte le donne rifiutarono di essere rinchiuse in un ghetto, continuando la funzione primaria di madre-moglie. La situazione è cambiata. Oggi si parla in generale di part-time, per tutti. Il sindacato ha alle spalle un decennio di esperienze di accordi dì questo tipo di orario che ha visto coinvolti anche uomini. Oggi la situazione economica ed occupaziona
le esige grande flessibilità per manovrare con l’orario sull’occupazione e sull’organizzazione del lavoro. La CGIL vorrebbe usare il part-time come orario privilegiato per le “nuove” leve (giovani che ancora studiano) e per le leve più vecchie (anziani prima della pensione). Dovrebbe cioè essere il canale preferenziale per entrare sul mercato del lavoro e per uscirne. Pensate che le donne siano cambiate e che oggi siano in una posizione maggiore di forza rispetto al 1975 e quindi in grado di gestire il part-time in modo diverso?
Annalisa Vittore: Quando abbiamo recepito la tematica del part-time all’interno della nostra strategia quale sindacato, abbiamo cercato di affermare un diritto per tutti, reversibile, certo e ({12 volontario, che tutti i lavoratori possono utilizzare come e quando vogliono. Questo è un fatto nuovo perchè si esce dallo schema classico dei rapporti di lavoro regolare di otto ore. Questa è dunque la nostra posizione che non si centra sul problema occupazione femminile, ma riguarda un po’ tutti i soggetti che oggi premono sul mercato del lavoro per trovare un’occupazione. Ho timore però che questo nostro obiettivo, il generalizzare questo istituto per tutti e non soltanto per assorbire manodopera femminile, venga messo in crisi dalla realtà del mercato del lavoro che vede in ogni caso i tassi di partecipazione al lavoro delle donne estremamente lievitati e non solo delle donne nubili (che rappresentano il 60% dei giovani disoccupati) ma anche delle sposate, delle casalinghe che si presentano autonomamente sul mercato del lavoro. Esiste quindi il pericolo che uno strumento del genere, in una realtà così composta si inserisca in una logica tradizionale, vale a dire che si usi la forza lavoro femminile in maniera subalterna rispetto ai processi di ristrutturazione industriale. Ci sono le donne, premono, quindi le si metta dentro con il part-time! Di qui la nostra intenzione, come sindacato di spostare tutto sulla gestione. Gabriella Camozzi (UIL): Non sono d’accordo con quanto detto da Annalisa. Anche se è vero che il dibattito che si è svolto negli anni ’70 era fortemente ideologizzato e non tutto quanto è stato detto in quegli anni era giusto, credo che oggi come sindacato ci possiamo porre in modo diverso grazie a quel dibattito all’interno del movimento delle donne e alla maturazione della società. Se oggi riusciamo a dire: sì al part-time, però a certe condizioni, e riusciamo a dire: sì a un progetto di legge come questo presentato da Di Giesi, e lo vogliamo contrattato dal sindacato, lo possiamo fare grazie ad una serie di lotte e di riflessioni che hanno caratterizzato quegli anni. Le donne sono certamente più forti rispetto a sette anni fa. Una volta la donna lasciava il lavoro al momento del matrimonio o quando nasceva il primo figlio. Questo non avviene più e ciò è dovuto in parte allo sviluppo che ha avuto il movimento delle donne in questi anni e in parte al fattore istruzione. Una donna che lavora non accetta più di tornare a fare la casalinga. Non credo ci sarà una grande domanda di lavoro part-time da parte delle donne, sia per la necessità di avere uno stipendio completo, sia perchè le donne non vogliono più sentirsi a metà casalinghe e a metà lavoratrici. Vogliono sentirsi lavoratrici a pieno titolo. Se c’è un periodo della loro vita in cui dovranno chiedere lavoro part-time a causa della mancanza di servizi sociali, non durerà a lungo. Doriana Giudici: Che oggi, come ieri, si tenti di trasformare questo tipo di orario in una sacca di forze-lavoro marginali è indubbio, ma anche qui è aperta una scommessa sul sindacato degli anni ’80. Ed in primo luogo alle lavoratrici, alle donne, è affidato il compito di uscirne vincenti. Dopo dieci anni di battaglie, oggi tutte le donne hanno maggiore coscienza dei loro diritti. Oggi abbiamo una legge per la parità sui posti di lavoro che, se utilizzata al meglio, può impedire discriminazioni. Oggi è cresciuta la scolarità per le donne ed è cresciuta la loro richiesta per una professionalità adatta alle richieste del mercato del lavoro.
…per usare meglio la legge di parità
Questo tipo di orario di lavoro deve servire per usare al meglio la legge di parità; deve servire per forzare la porta d’ingresso sul posto di lavoro a tante giovani donne e giovani uomini in cerca di prima occupazione; deve servire per acquisire tutti gli spazi possibili all’occupazione; in sintesi per passare dal tempo parziale al tempo pieno. Soprattutto per le donne, perchè solo quando la donna lavora a tempo pieno entra in crisi sia la tradizionale organizzazione familiare che l’organizzazione sociale, permettendo di porre le premesse per concreti passi in avanti sul terreno dell’emancipazione, della liberazione delle donne, in sintesi per la crescita democratica dell’intera collettività.
Part-time quindi inteso come primo passo per giungere poi ad una occupazione a tempo pieno… Annalisa Vittore: Non come scalino per arrivare al tempo pieno ma come gestione articolata e flessibile dell’orario, per tutti. Non si tratta di lavorare metà giornata, ma una gestione settimanale, mensile dell’orario di lavoro, sia verticale che orizzontale. Come ho detto prima la realtà manifestava certi fenomeni che il sindacato tra l’altro non controllava più. Gabriella Camozzi: Questo soprattutto nella grande distribuzione in cui tra l’altro si verifica il fenomeno di una contrattazione personale tra la lavoratrice e l’azienda. Il 50 per cento delle donne nella grande distribuzione lavora part-time. E il part-time è stato a volte l’anticamera del licenziamento. Basti ricordare la ristrutturazione della Standa di cinque anni fa con 2500 licenziamenti. Le prime ad essere espulse sono state le lavoratrici part-time, dato che in quel tempo il part-time non era controllato dal sindacato. Il fatto che adesso le principali categorie che stanno affrontando il rinnovo dei contratti, meccanici, tessili, ma anche le banche e le poste, abbiano incluso il part-time nel contratto nazionale è da considerarsi un passo avanti che tutela il lavoratore in tutti i sensi. Annalisa Vittore: Alcuni atteggiamenti di rifiuto non erano più possibili di fronte ad una realtà che aveva certe manifestazioni molto evidenti di sommerso, di combinazioni tra esigenze dei lavoratori e interessi delle imprese. Questo avveniva in una logica che subordinava i primi ai secondi. Il sindacato oggi ribalta il discorso e cerca invece di recuperare il diritto per il lavoratore di tutta questa serie di flessibilità. Il part-time viene quindi inserito nella propria strategia della gestione dell’orario e diventa quindi un terreno preciso di contrattazione, senza per questo rifiutare uno strumento legislativo che dovrebbe diventare sostegno e supporto della contrattazione. Il problema è dunque quello di un giusto rapporto tra momento legislativo e momento contrattuale, non eravamo d’accordo su qualsiasi strumento legislativo, ma su uno strumento legislativo che rispettasse un rapporto corretto.
la democrazia è faticosa
E questo progetto legge lo rispetta? Come lo giudicate? Quali modifiche proponete?
Doriana Giudici: Prima di rispondere a questa domanda occorre chiarire alcune cose. Prima di tutto il Ministro del Lavoro ha compiuto nei confronti della Federazione Unitaria una scorrettezza: infatti alla Federazione Unitaria era stata presentata una bozza di disegno legge sul part-time e il sindacato, secondo il normale iter di una consultazione democratica, si era riservato di presentare proprie controproposte e di esprimere il proprio parere. Certo la democrazia è faticosa e lunga: si sono riuniti i coordinamenti femminili, si sono convocate le categorie e i regionali. Tutto ciò per poter esprimere una opinione che fosse il più possibile rispettosa di tutte le esperienze e le analisi presenti nel movimento. Ma il Ministro aveva fretta e senza attendere la risposta del sindacato ha presentato al Parlamento il suo Disegno di legge. Un disegno di legge che da un lato coglie una esigenza vera, di avere, per quanto riguarda previdenza ed assistenza, una normativa che regolasse il part-time ma dall’altro pretende di definire dettagliatamente le modalità di impiego della manodopera. Il dibattito nel sindacato aveva sottolineato la necessità di demandare ogni normativa alla contrattazione, per poter utilizzare al meglio questo nuovo tipo di rapporto di lavoro.
Annalisa Vittore: Nel progetto ci sono norme che hanno raccolto quasi tutte le nostre indicazioni e norme che sono molto più ambigue ed inaccettabili. Soprattutto quelle che riguardano la previdenza. Avevamo elaborato una proposta molto precisa e articolata che è stata portata in sede tecnica al Ministero ed è passata in maniera molto relativa. Ad esempio nel caso ci sia una trasformazione del rapporto in tempo parziale e la donna si accorga di essere incinta, noi chiediamo una valutazione degli ultimi sei mesi, considerando una media giornaliera in base alla quale calcolare l’indennità di maternità. Dobbiamo riconoscere che sono passati tutti quei principi che avevamo sempre indicato come fondamentali nell’applicazione del part-time quali la volontarietà, la reversibilità, la delega alla contrattazione su tutti gli aspetti retributivi. È passata ad esempio l’equiparazione del lavoratore part-time a una unità produttiva, e inoltre il discorso relativo all’indennità di anzianità e al diritto di ferie uguali per un lavoratore part-time e uno full-time. Alcune fondamentali questioni risolte in modo positivo ci sono quindi non possiamo dire che, una volta passato il vaglio delle Camere soprattutto se saranno accolte le nostre obiezioni, tale progetto nasca senza il consenso sindacale. Patrizia Baratto: Le vecchie proposte di legge erano tutte molto articolate e scendevano nel merito di tutte le questioni. In questo progetto tutte le modalità di applicazione del part-time, lo stesso discorso dell’orario, sono lasciate alla contrattazione. E su questo siamo d’accordo. Come UIL abbiamo fatto due obiezioni, a parte quelle elaborate in sede unitaria. Anzitutto noi vorremmo che fosse fissato un limite numerico per le minori imprese, che sono un’area di disgrazia in cui il sindacato non riesce ad essere oggetto di cambiamento. Inoltre da questo progetto di legge si deduce che l’iniziativa di avvalersi di lavorazioni a part-time sia esclusivamente del datore di lavoro. E questo non è accettabile: l’iniziativa deve essere anche del sindacato, qualora abbia verificato all’interno dell’azienda una disponibilità in tal senso.
tempo di vita e tempo di lavoro
Come è stato accolto il progetto all’ interno della categorie? Gabriella Camozzi: Dobbiamo riconoscere che talvolta c’è una frattura tra chi è legato a vecchie posizioni di ostilità totale ad ogni forma di part-time e chi nella pratica lavorativa capisce che in certi casi bisogna avere un approccio più prammatico. Tuttavia la sperimentazione contrattuale ha sgombrato il terreno da una serie di pregiudiziali perchè ad esempio ci si è resi conto che gli aspetti previdenziali e pensionistici non venivano risolti e che quindi è giusto oggi regolamentare tutta questa parte tramite legge. Annalisa Vittore: Le categorie dell’industria sono molto più rigide della posizione confederale. Mi sembra che un problema importante sia quello di legare l’introduzione del part-time alla modifica dell’organizzazione del lavoro, alla modifica degli orari e alla migliore combinazione tra tempo di vita e tempo di lavoro. L’assunzione del part-time in questa logica scardina un po’ la struttura della produzione. Viene inserita per contestare l’organizzazione del lavoro e per dare nuove riposte alle esigenze sociali del tempo libero.
se donne, la crisi, i licenziamenti
Rimane comunque il problema della professionalità.
Patrizia Baratto: Certamente una delle conseguenze di questo tipo di contratto è che chi fa orario part-time molto facilmente viene relegato a svolgere mansioni più precarie perchè inserirlo a posti di responsabilità comporterebbe molti problemi. Noi come UIL riteniamo che bisogna affrontare l’organizzazione del lavoro con molto più coraggio rispetto al passato. E ovviamente ci si scontra con il problema della professionalità. È un rischio altissimo che c’è oggi e ci sarà in futuro e non so come si potrà risolverlo, visto che siamo i primi a dire che bisogna premiare la professionalità…
In Gran Bretagna, dove una legislazione sul lavoro part-time esiste già da alcuni anni, si è verificato che i lavoratori part-time (che poi sono in grandissima maggioranza donne) siano stati i primi ad essere licenziati, e questo con l’accordo del sindacato, tanto che la Equal Opportunity Commission ha fatto causa contro il padronato e ì sindacati. Da noi, dove peraltro non esiste una Commissione per l’Eguaglianza delle Opportunità, chi ci garantisce che le prime ad essere licenziate in caso di crisi non siano appunto le donne? Doriana Giudici: Non c’è nessuna garanzia che al momento di licenziare le donne non siano le “favorite”. Però è cresciuto “il controllo democratico” (delle istituzioni e delle donne) nel senso che meno facilmente si sfugge al giudizio o all’iniziativa perchè non vi siano discriminazioni. Ma il punto focale è, ancora, se le donne stanno nel sindacato, nelle istituzioni con una forte coscienza di sé allora si può continuare una battaglia antidiscriminazione. Se le donne lasciano alle leggi e ai contratti (per buoni che siano) di tutelarle, senza prendere parte attiva od essere vigilanti, ci può anche essere un arretramento.
È per questo che ho proposto e sollecitato iniziative unitarie dei coordinamenti femminili delle delegate (nelle zone, nei comprensori) per preparare le donne a difendere i diritti conquistati.