il rovescio della medaglia: madri nubili o abortire?
Assumersi il proprio destino di madre è la felicità più grande che la natura ha donato alle donne. Solo una donna che ha conosciuto la maternità può comprendere e misurare questa responsabilità totale nei confronti di un piccolo essere. E’ per questo, del resto, che esiste una medaglia della “madre eroica”. (1) Ma qui vogliamo parlare della madre che si è assunta coraggiosamente la responsabilità di mettere al mondo e di allevare un bambino senza padre. Vogliamo «parlare cioè della madre-nubile. Che cosa la spinge a un’azione così disperata? La sua storia, le circostanze, le motivazioni personali di ciascuna di loro sono singolari, complesse e contraddittorie. Molte donne prendono questa grave decisione senza rendersi conto che hanno scelto un’ardua strada. Alcune non hanno né la famiglia ricca, né parenti capaci di aiutarle in .questo difficile momento. D’altra parte esse sanno che non c’è molto da aspettarsi da parte dello Stato: ai bambini nati fuori del matrimonio, spetta un assegno di 5 rubli al mese. Per ottenerli, però, bisogna adempiere molte formalità e subire molte umiliazioni. Nessuno vi avverte che avete questo diritto né ve li mandano a casa. D’altra parte questa somma irrisoria non basta certo per vivere per più di due giorni. Mentre la madre nubile che non ha alcuno su cui contare se non sé stessa, ha bisogno di mezzi di sussistenza per sé e per il bambino per almeno un anno. Solo una donna che abbia accuratamente previsto tutte le difficoltà di una vita solitaria e messo da parte in anticipo una certa somma di denaro, potrà vivere senza disperazione durante un anno senza andare a lavorare.
Ma poche sono in queste condizioni, perché è praticamente assai difficile prevedere in. anticipo ciò che sarà di noi. Che accade allora a quelle che non hanno pensato al futuro? A quelle che non sanno adattarsi alle circostanze, né scendere a compromessi? E’ a prezzo di sovrumani sacrifici che esse devono difendere la loro vita e quella del bambino “futuro membro della società”. Una società che non si cura di conoscere che cosa nasconde lo slogan sonoro: “emancipazione della donna” (2). Nessuno vuol sapere a che prezzo ancora oggi una donna paga quel* la che si chiama “libertà”. Tutti ne parlano, sono stati versati fiumi d’inchiostro, ma nella vita reale non esiste. Quando il bambino compie un anno la donna conta naturalmente sullo Stato, sui nidi. Ma qui sorge un nuovo problema. Come fare per ottenere un posto al nido? Bisogna iscriverlo in una lista d’attesa prima ancora che nasca. Un’altra soluzione è quella di lasciare il proprio lavoro e andare a lavorare al nido: in questo caso si prendono anche il bambino. Ma, a meno ohe la donna abbia una funzione medica, dovrà scegliere ì lavori più sporchi, più penosi e contemporaneamente occuparsi di suo figlio. Questo è un problema perché credere di affidare un bambino a una istituzione statale, pensando che vi starà così bene come a casa propria, è un grave errore. I nidi e gli asili sono le più funeste fra le istituzioni medico-sociali del paese. Il personale è costituito principalmente da donne di mezz’età o addirittura anziane.
C’è una piccola percentuale di donne giovani ed è costituita da quelle che vi sono entrate come donne di fatica, con i loro bambini. Le anziane, nella maggior parte dei casi, non hanno bambini. E’ difficile capire che cosa le spinge qui dentro. Ma non è certo quello che si chiama spirito di sacrificio o di devozione per questi piccoli, deboli e disarmati, che hanno bisogno di tante cure. Tutto il giorno bisogna portarli da un posto all’altro, pulire il naso, lavare le mani, cambiare i letti/ imboccarli. Una infermiera e una nourse si occupano di un gruppo di 25-30 bambini. Ce ne vuole di amore e di pazienza per accoglierli ogni giorno con il sorriso e tornare a loro l’indomani con una nuova riserva di forze. Poche donne sono capaci d’un tale slancio. La maggior parte hanno altri interessi. Sanno che queste creature indifese, non racconteranno a nessuno ciò di cui sono stati testimoni muti: perché non possono ancora giudicare gli atti degli adulti nelle mani dei quali si trovano.
La gente ne approfitta. Io ho avuto a che fare con questa gente. Mai, altrove ho incontrato persone così crudeli e litigiose. E’ per uno scopo ben preciso che scelgono questo lavoro: per rubare. Tolgono il pane dalla bocca a queste creature. La carne è per metà sostituita col pane. E un cuoco intelligente quello che ha inventato le polpette. Diluiscono il latte e la crema fresca con l’acqua. E’ comodo! In estate, quando la buona stagione lo consente, vengono portati in case di campagna per far loro respirare l’aria buona e mangiare verdura e frutta fresche. Anche qui ne approfittano. La frutta, che i genitori portano ai bambini, è divisa fra il personale: ai bambini non resta altro che i biscotti e i dolciumi,
Le cure igieniche sono organizzate, che più male non sì potrebbe. Le bambine vengono lavate raramente e per giunta le asciugano con le loro vestaglie o con un unico asciugamano che serve a tutto il gruppo. Gambe e braccia non sono praticamente mai lavate e comunque vengono asciugate con lo stesso asciugamano. A questo punto, è chiaro che la donna sola che ha affidato suo faglio all’istituto, non pensa che a portarlo via e si rompe la testa per trovare il modo di sistemare il bambino senza metterne in pericolo la salute.
La ragióne di questo stato di cose negli istituti pre-scolari è legata all’intero sistema sanitario e all’organizzazione del lavoro del personale. Sono i bassi salari che determinano l’insufficienza del personale. Una infermiera prende 80-90 rubli al mese una donna di fatica 75! Il lavoro delle donne chiamate ad allevare e educare la nostra futura generazione e a dare loro la salute non dovrebbe avere prezzo. Ma le autorità sovietiche ti danno il diritto di scegliere. Se ci si rende conto di non avere la forza di mettere al mondo e allevare un figlio, si può decidere di non averlo. L’aborto in Unione Sovietica è libero. In 10-15 minuti (il tempo dell’operazione) ed eccovi libere e senza i problemi che può creare la nascita di un bambino.
Ma che tortura e che sofferenza durante quei minuti! La maggior parte delle donne, specie che hanno subito una volta questa esperienza, rifiuterebbero questo crudele intervento, se non ci si trovassero costrette. E tuttavia la società non ha ancora compreso perché una donna abortisce. Quando entra in ospedale, mentre riempie i numerosi formulari per l’aborto le chiedono perché non vuole tenersi il bambino. Le risposte sono quasi sempre le stesse: cattive condizioni di alloggio o un salario troppo basso. Queste risposte non si sa dove vanno a finire. E del resto? In ogni caso la nostra società “umanitaria” ha fatto tutto il possibile perché la donna sovietica “emancipata” provi internamente la sua libertà, in tutti i suoi aspetti! Comunque, se è decisa ad abortire, deve affrontare una vera “via crucis”. Comincia l’umiliazione: bisogna andare alla visita ginecologica dopo aver riunito un mucchio di carte. Le parlano con sufficienza e anche con disprezzo. Poi l’umiliazione delle tappe successive, che devono essere affrontare per arrivare all’intervento. In una immensa sala, quasi buia e senza aria, le donne con i vasi assorti sono sedute su dei banchi disposti lungo il muro. Bisogna aspettare: un’ora, un’ora e mezzo, due ore. Così, si avvicina, ora per ora, alla tortura ohe le assegna il suo “destino di donna”. Arriva all’abortarium, ohe si trova sulla via Lermontov: è un edificio enorme. Le donne lo chiamano “il macello”, Vi si fanno 200-300 abortì al giorno. Grandi sale comuni per dieci-quindici pazienti, dei letti con cortine. Ma le tende mancano sempre e le donne devono ricorrere a dei veri e propri giochi di prestigio per servirsi dell’unica tenda per coprirsi. E questo in un ambulatorio medico dove si effettuano interventi chirurgici. Ma le donne che arrivano qui non prestano troppa attenzione a queste scomodità preoccupate piuttosto per le implicazioni psicologiche che comporta l’imminente intervento. Venuto il momento fatidico, le donne si mettono in fila davanti la sala operatoria. Gli aborti sono effettuati due per volta: nella sala dove si trovano nello stesso tempo sei donne. Le sedie sono disposte in modo che ciascuna può vedere tutto ciò che accade, la sofferenza che deforma il viso, la materia sanguinolenta che viene estratta dalle viscere delle donne. Nella sala operatoria, ci sono due medici e un’infermiera. “Svelta, svelta” — dice l’infermiera — La donna tremando di paura e di apprensione sale sulla poltrona: i suoi movimenti sono incerti. Frettolosamente il medico indica in che posizione si deve mettere. La donna si sistema e il medico comincia l’intervento. Le viene fatta una iniezione, ma fa poco effetto, perché si tratta di una piccola dose di novocaina e non aspettano neanche che faccia effetto. Senza anestesia il dolore è atroce. Alcune svengono. L’infermiera che deve servire due medici per volta, non ha il tempo di aiutarle. Le fanno rinvenire e le conducono fuori. Tocca alle donne che aspettano il loro turno di accompagnarle. Per un’ora e mezzo continuano a torcersi per il dolore, per le nausee a volte vomitano. Le dimettono la mattina successiva, senza badare al loro stato. Il sistema sanitario in URSS è basato sulle capacità a sopravvivere del malato stesso e funziona come istituto di beneficenza. Gli sì assicurano le prime cure, per il resto deve contare esclusivamente su se stesso.
(1) Istituita con decreto del Soviet Supremo dell’8 luglio 1944 “sull’incremento degli aiuti dello Stato alle donne gravide, sul rafforzamento delle misure a favore della maternità, sull’introduzione del titolo di ‘madre eroina’, dell’ordine ‘gloria della maternità’ e della ‘medaglia della maternità’ ” (n.d.r.)