a te l’ago a me il martello
«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione…» recita l’articolo 3 della Costituzione della repubblica italiana in vigore dal 27 dicembre del 1947.
Benché l’Italia uscisse dal fascismo, periodo di grandi persecuzioni razziali, fu messo prima l’accento sulla parità tra i sessi che sulla parità tra le razze o le religioni il che farebbe pensare ad una presa di coscienza da parte dei politici della necessità di garantire giuridicamente una parità che non era mai esistita né prima né durante il fascismo.
Il primo ottobre si sono riaperte le scuole e proprio lì dove la Costituzione dovrebbe essere insegnata verrà ancora una volta disattesa e in particolare verrà proprio trascurato quel dettaglio che rendeva i cittadini uguali. Quando a 11 anni ci si iscrive alla scuola media pubblica statale si è tenuti a dire di che sesso si è; da ciò dipenderà il futuro scolastico. Ma perché dover dire di che sesso si è se siamo tutti uguali davanti alla scuola pubblica? Ma vogliono anche sapere la razza e la religione? «No, che diamine, il fascismo è finito da un pezzo» ci sentiremmo rispondere a questa domanda; e allora cosa dovrà ancora finire perché non si venga più discriminate in quanto appartenenti ad un sesso? Por noi femministe la risposta è nella storia. Ma a che serve alla scuola sapere di che sesso sono i propri alunni? Lo fanno per facilitare le statistiche? No, lo fanno perché alle bambine dovrà essere insegnato a ricamare. Ebbene si, oggi nel 1974 noi donne sopportiamo ancora che le nostre figlie vengano costrette a lavori noiosissimi e ripetitivi quali metri di orlo a giorno che ha ben poco di creativo e che vengano separate dai compagni durante l’ora di applicazioni tecniche che nella scuola statale obbligatoria uguale per tutti è divisa per sessi.
Immaginiamo ora cosa potrebbe accadere il 1° ottobre un preside si presentasse agli alunni è dicesse: «Orsù i ragazzi con gli occhi azzurri nell’aula a sinistra e quelli con gli occhi scuri in quella a destra perché avrà inizio l’ora di applicazioni tecniche. I bambini con gli occhi azzurri verranno istruiti da un insegnante anch’esso con gli occhi azzurri e pari- menti accadrà per gli altri. State ben attenti a non mischiarvi, e se trovo un biondo tra i bruni o viceversa lo espello dalla scuola». Se succedesse questo si griderebbe allo scandalo e il preside verrebbe tacciato di essere nazista, le mamme offese e indignate cercherebbero di allearsi contro questa palese ingiustizia e riuscirebbero ad impedire questa forma di discriminazione. Oppure pensate cosa accadrebbe se il preside della scuola media romana che è nel Ghetto decidesse che gli ebrei devono fare un tipo diverso di applicazioni tecniche perché «in media si sa che da grandi gli ebrei vengono indirizzati a certi tipi di attività e quindi è bene che imparino fin da piccoli alcune cose particolari». Anche in questo caso balzerebbe agli occhi l’ingiustizia e la stupidità di un tale provvedimento. Eppure anche quest’anno migliaia di giovani verranno divisi secondo un criterio altrettanto stupido di fronte al sapere: il sesso. Le bambine faranno una materia, i bambini un’altra e nessuno lo noterà neppure.
Siamo infatti tanto abituate ad essere «diverse» che ci sembra naturale venir separate anche nella scuola. Ma perché una classe mista fa matematica tutta unita e poi viene divisa per fare applicazioni tecniche? Chi ha detto che la matematica non ha sesso e il martello invece si? e tutto questo a chi serve? serve a perpetuare la divisione del lavoro nelle case che porta anch’esso al mantenimento del ruolo subalterno anche in quelle coppie che lavorano all’esterno per lo stesso numero di ore. Quando la scuola statale obbliga ad imparare a cucire a quelle bambine che fossero riuscite ad evitarlo in famiglia, crea una schiera di persone che da adulte verranno ricattate con la solita frase «e cucimelo tu che lo sai fare» e poiché non ci ricordiamo che a noi è stato imposto e a loro no accade talvolta che ci venga il sospetto che il cucire sia veramente una «attitudine innata della donna». Noi femministe non credo si disprezzino i lavori manuali e molte di noi cuciono e sferruzzano qualche volta. Ma proprio perché usare l’ago è altrettanto importante che usare una tenaglia vorremmo che la materia di applicazioni tecniche fosse comprensiva di quelli che attualmente sono i programmi divisi per sesso e venisse frequentata da tutti indistintamente. Abbiamo la forza di imporlo se ci mobilitiamo su questa che non è certamente una lotta avanzata e proprio per questo può essere portata avanti da tutte. Resteremo stupite di vedere quanta gente non ci aveva mai fatto caso e di quante difficoltà incontreremo per ottenere una cosa che è già nella legge.
Che quindi le madri più sensibili, e quelle che leggono questa rivista dovrebbero esserlo, si mettano in contatto tra di loro o attraverso i gruppi femministi o il giornale stesso.
Ci si mobiliti per questa riforma indolore e che non costa nulla per far sparire un pezzetto di medio evo dalla scuola italiana.
Ma attenzione donne perché vi può succedere di tutto. Perché se un uomo in questa nostra Italia si fa paladino dell’uguaglianza tra i sessi è ritenuto un avanzato, un progressista; una donna fa invece insorgere immediatamente l’atroce sospetto «sarà lesbica?».