oh albania!

dicembre 1976

ho trovato su un testo scolastico per le medie superiori di geografia economica e politica questa descrizione dell’Albania: «L’Albania, 28.750 Kmq, 1.980.000 abitanti, si affaccia ad ovest sull’Adriatico e tutto il resto confina con la Jugoslavia e la Grecia. Gli albanesi discendenti dagli antichi Illiri, genti fiere e bellicose sono prevalentemente cattolici a nord, mussulmani e greco-scismatici al centro e al sud. L’Albania, già retta a monarchia (dal 1939 in unione personale con l’Italia) e dal 1946 una repubblica popolare a regime comunista. L’Albania trae le sue risorse dall’agricoltura. Numeroso il’ pollame. La rete stradale è di recente costruzione: nella parte meridionale l’occupazione italiana ha dotato il paese di buone vie per automezzi. L’Albania ha soprattutto importanza come via di accesso all’Adriatico». (Da: Terre, mare uomini – Ed. Cremonesi 1970). L’ignoto autore di queste informazioni è sicuramente uno dei tanti ‘ nostalgici ‘ che ancora imperversano nella compilazione dei nostri libri di testo ed oscilla tra la mala fede e l’ignoranza. E’ dal 1967 per esempio che in Albania è stata abolita ogni confessione religiosa: le chiese e ile moschee di interesse artistico sono state trasformate in musei, le altre in attrezzate palestre. (E’ stato un vero piacere per me assistere ad una partita di pallavolo nell’ex chiesa episcopale di Shkodra). Ma procediamo per ordine. Vorrei aggiungere qualche «dettaglio» storico politico per compieta-tare la conoscenza di questo paese, contribuendo così a rompere una cortina di silenzio attorno a questo Stato. Un silenzio colpevole anche delle nostre sinistre perché l’Albania è per molti la spina nel fianco del comunismo occidentale.

Cosi scomodamente vicina, così scomodamente «cinese». «Troppo ortodossa!».

Il 24 maggio del 1944, veniva promulgata la Costituzione della «Repubblica Popolare d’Albania», dopo una violenta e coraggiosa lotta popolare di liberazione dall’esercito fascista Italiano prima e dai nazisti poi. Il prezzo pagato alla liberazione fu di: ventottomila morti, dodicimila e seicento feriti, quarantacinquemila deportati ‘politici nei campi di concentramento. E questo su una popolazione di poco più di un milione di abitanti. Dal 1942 questa resistenza era promossa è guidata dal Partito Comunista Albanese e la ‘lotta per la liberazione fu la prima scuola rivoluzionaria di massa per un popolo diviso da lotte tribali e rivalità dovute alle spaventose condizioni di fame e di miseria nel quale i latifondisti, il clero e la borghesia tenevano il popolo Albanese. La Repubblica Popolare nasce e cresce anche con l’aiuto dell’Unione Sovietica allora Stalinista. L’agricoltura fiorisce anche con imponenti opere di bonifica delle pianure paludose (170.000 ettari di terreni paludosi sono stati prosciugati e messi a coltura e oggi i| 43% del territorio è sfruttato dall’agricoltura). Nascono le prime cooperative agricole assieme ai progressivi espropri delle terre. Si creano le prime industrie, centrali elettriche, scuole, ospedali. L’analfabetismo che toccava prima della liberazione l’87% della popolazione viene debellato assieme alla fame, la malaria e la tubercolosi che flagellavano la popolazione. La vita media nel 1940 non superava i 34ranmi. Nel novembre del 1960 Enver Hoxha, il leader incontrastato albanese, durante la Conferenza degli 81 partiti a Mosca, denunciò apertamente, le mire colonialistiche dell’URSS verso il suo paese. Nel gennaio del 1961 Krusciov risponde con il ritiro immediato dei tecnici e maestranze dall’Albania e con un embargo economico totale. Sono anni molto duri per l’Albania che si rivolge così alla Cina con la quale mantiene tutt’ora dei saldi rapporti economici e politici. L’influenza ideologica cinese si fa molto sentire, particolarmente dopo il 1968, anno in cui l’Albania ^abbandonò il Patto di Varsavia in segno di’ protesta contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia.

Durante il nostro viaggio organizzato dall’Associazione Italia-Albania, senza la quale ‘non è possibile entrare nel paese, la nostra attenzione (ero con altre compagne femministe) era rivolta particolarmente alla condizione della donna oggi. Per capire le conquiste e i limiti, dobbiamo conoscere il passato. La condizione della donna era tra le più arretrate e spaventose del mondo occidentale, vittima di uno dei più sfacciati patriarcati che io conosca. Patriarcato sancito e regolato da norme scritte in un codice chiamato Kanun, che risale al Concilio Patriarcale al quale presero parte clero e notabili (chiamati ”uomini liberi’). Questo codice era in vigore e soprattutto applicato fino agli anni ’40. Ecco alcuni passi più significativi: Canone della famiglia: «… I figli debbono obbedienza al genitore e sono a lui sottomessi fino alla morte; non possono davanti a lui gesticolare con le mani, né interromperlo mentre parla» «… i figli possono allontanare la madre senza darle alcuna cosa, se essa sconvolge la casa con i suoi intrighi ed i suoi pettegolezzi; alla madre allontanata dalla casa sono dovuti soltanto per il primo anno tre carichi di grano».

Canone del matrimonio: «Spetta al capo della famiglia fidanzare i figli e scegliere la sposa. Se lo sposo è adulto e capo della casa egli è libero della scelta. Ciò non avviene mai per la ragazza che deve rimettersi sempre alla decisione del padre o del congiunto maschio prossimo col quale convive». «La ragazza, anche se priva di genitori, non ha diritto di pensare al proprio matrimonio, perché tale diritto sta nelle mani dei fratelli e dei cugini. La donna è costretta a forza al matrimonio e se dovesse fuggire potrebbe essere uccisa dal marito senza diritto di vendetta. Il marito, però, deve adoperare le cartucce che il suocero gli diede come garanzia della parola data». «… L’uomo può rifiutare la sposa perdendo, però, l’anello di fidanzamento…». «La sposa viene condotta alla cerimonia nuziale sul dorso di un mulo e chiusa completamente dentro un sacco». «Il marito ha diritto di consigliare e rimproverare, di bastonare e di legare la moglie; non ha mai diritto di ucciderla ad eccezione che nel caso di adulterio. Egli deve provvedere al mantenimento della moglie ed alla tutela del suo onore e deve cercare di non farla lamentare». «La moglie non ha diritto né sui figli me sulla casa». «La moglie è un otre da riempire». (Tanto per non avere dubbi, n.d.r). «La moglie deve salvaguardare l’onore del marito, servirlo con coscienza, essergli sottomessa, corrispondere ai doveri del matrimonio ed allevare i figli con onore, accudire alle faccende di casa, tenere in ordine gli abiti e la biancheria, non intromettersi nel fidanzamento dei figli e delle figlie. Ha diritto agli alimenti ed agli indumenti necessari».

Dal Canone del Delitti e delle Pene: «Ad un reato, ad un torto deve corrispondere una pena» … «Per l’uccisione o il ferimento di persona appartenente alla propria bandiera (clan) si paga una multa pari al prezzo del sangue dell’ucciso o del ferito» … «La morte in seguito a ferita importa sei borse senza altra multa e se il colpevole aveva pagato prima il prezzo della ferita deve solo la differenza» … «La donna vale la metà di un uomo; Il prezzo del suo sangue è quindi di tre borse .

«Per l’uccisione della donna Incinta si paga il prezzo della donna di tre borse ed il prezzo del feto secondo il sesso di questo…». «La ferita di un maschio si calcola mezzo sangue come ‘l’omicidio della donna; la ferita della donna 750 piastre». «La multa di 500 piastre è dovuta: per il maltrattamento a sangue della moglie, l’uccisione di un cane da guardia o di un gallo, per aver montato un cavallo altrui senza permesso…».

La donna era la prima ad alzarsi la mattina e l’ultima a coricarsi la sera dopo aver lavato i piedi a tutti ì membri della famiglia ed anche agli eventuali ospiti, di buon’ora usciva di casa per provvedere agli approvigionamenti della famiglia e per recarsi al lavoro nei campi; sulla base del principio «la donna deve lavorare più dell’asino perché l’asino mangia il fieno e la donna mangia il pane» a questa aspettavano tutti i lavori più pesanti che l’uomo impegnato in eterne vendette sanguinarie disdegnava. Nonostante queste terribili condizioni di sudditanza e di asservimento all’uomo, la donna albanese ha sempre combattuto contro le varie dominazioni subite dal paese. L’Albania ha avuto cinque secoli di dominazione turca terminata agli inizi del nostro secolo. Ebbene nelle zone occupate la donna viveva costantemente nella contraddizione di essere spinta in avanti nell’azione contro i dominatori, per la sua forza e il suo valore e respinta e sottomessa dalle norme della società feudale-patriarcale all’interno del clan. La donna albanese ha sempre avuto una funzione di trasmettitrice e creatrice delle tradizioni nazionaliste, trasmettendo di generazione in generazione i canti di guerra accompagnandosi con degli strumenti musicali dei quali solo lei ne aveva il segreto e il monopolio.

Nell’ultima lotta di liberazione dai nazi-fascisti troviamo più di seimila donne partigiane in prima fila e un lungo elenco di episodi eroici e di martiri. (I nostri fascisti oltre a costruire qualche chilometro di strada — caro autore di libri di testo — hanno incendiato oltre sessantamila abitazioni e distrutto ottocentocinquanta villaggi), È dalla liberazione in poi, con la costituzione, dell’UD.A. (Unione donne albanesi) che inizia un grosso e difficile processo di emancipazione della donna. La «nuova donna albanese» chiamata a protagonista dal nuovo potere popolare porta ancora con sé e attorno a sé le contraddizioni del passato. L’inserimento nell’attività produttiva era ed è’una tappa obbligata per il suo riscatto, l’emancipazione attraverso la quale arrivare alla liberazione. La costruzione degli asili nido è stata molto importante in questo processo — ci dice la responsabile dei rapporti culturali con l’estero deH’lLD.A. — anche se si è dovuto vincere la diffidenza iniziale delle donne a portare i loro bambini. Il numero degli asili nido è in continua crescita: 139 nel 1960, 2.240 nel 1975. E questo vale anche per i giardini d’infanzia 434 mei 1960, 1.634 nel 1974. Dobbiamo rendere le nostre donne — prosegue la compagna Bakuria — capaci di esplodere con tutte le loro energie fisiche e mentali in tutti i campi della vita. Certo, sì inizia appena ora ad affrontare il problema “della socializzazione del lavoro domestico attraverso piani di investimento. Oltre che a persuadere l’uomo che aiutare me Ile faccende domestiche non è una cosa vergognosa. La lotta è lunga, ma in Albania si cammina in fretta.

Ho potuto notare che la prassi della discussione continua, delle assemblee all’interno delle fabbriche delle scuole ecc., ha messo in atto un inarrestabile processo di rivoluzionarizzazione dei rapporti uomo donna, processo che sarà inevitabilmente portato dalla donna stessa all’Interno del famoso «privato».

Riporto alcune dichiarazioni rilasciate da donne albanesi tratte dal libro «La lunga marcia del popolo Albanese» ed. Cultura: Eleni Pashko, vice Ministro dell’Industria: «la donna non costituisce semplicemente la metà numerica della popolazione, ma una metà piena di energia rivoluzionaria e di capacità creatrice… La partecipazione della donna al lavoro produttivo non deve mai essere considerata dal punto di vista economico, ma per l’indispensabilità del suo apporto all’edificazione del socialismo».

Irfan Cocoli, collaboratrice scientifica presso l’istituto di studi marxisti-leninisti. «Il nostro partito parte dal principio che noi non possiamo attendere l’edificazione completa della società comunista per superare automaticamente la contraddizione nella condizione della donna in quanto lavoratrice madre e moglie. In primo luogo tale problema deve essere considerato sotto il profilo politico-ideologico per arrivare alla liquidazione di concetti retrogradi, e reazionari che impedivano alla donna di partecipare attivamente alla sfera sociale…». Nefo Myftiu, codirettrice della Radiodiffusione e televisione.

«La nuova famiglia socialista non nasce dalla sera alla mattina, tutta pronta e perfetta, all’indomani della rivoluzione socialista. Anche la lotta per il rafforzamento della famiglia da noi è prima di tutto una lotta ideologica, una lotta per liberare completamente la donna dal sentimento di inferiorità nei confronti dell’uomo e, nello stesso tempo, liberare l’uomo dalla mentalità del «pater familias». Liri Tashko, membro della presidenza dell’UDA.

«Le donne albanesi, come tutte le donne rivoluzionarie e anti-imperialiste non si concilieranno mai con le posizioni delle dirigenti revisioniste del F.D.I.D. (federazione democratica internazionale delle donne — filosovietica —) che, attualmente si trovano ad avere tradito gli interessi delle masse femminili del mondo. Le donne albanesi seguono con ammirazione e sostegno la lotta delle donne d’Asia, d’Africa e America Latina, il muovo movimento rivoluzionario delle donne che sta per sorgere. L’Unione delle Donne d’Albania ha contatti e procede a scambi con organizzazioni e sezioni femminili di donne progressiste e rivoluzionarie in 72 paesi nel mondo». A questo punto è stato grande il nostro rammarico e stupore quando durante la conferenza sulla donna albanese, la compagna Bakuria ha fatto un accenno — per altro non sollecitato da noi — al movimento femminista. Riporto le parole tratte da una registrazione: «Il compagno Enver Hoxha ha detto nel secondo Plenum del comitato centrale del partito che la piena emancipazione della donna In Albania, non è un movimento femminista come nei paesi capitalisti, ma è la marcia trionfante della donna albanese fianco a fianco con l’uomo in armonia di sentimenti, di ideali verso il comunismo. D. Perché nella tua relazione hai fatto riferimento al movimento femminista? R. Ho fatto questo riferimento perché il nostro partito dice che <\a> nostra lotta per la piena emancipazione della donna ha compiti e obiettivi completamente differenti dai movimenti femministi esistenti nei paesi capitalisti. La profonda differenza tra il movimento femminista dei paesi capitalisti, e la lotta per la piena emancipazione della donna A. consiste in questi punti: 1) abbiamo sistemi diversi; 2) chi dirige la lotta femminista e chi dirige la lotta per l’emancipazione della donna A., da noi dirige il Partito del Lavoro Albanese; 3) una profonda differenza di obiettivi. Noi sappiamo che uno dei principali obiettivi del movimento femminista nei paesi capitalisti è la lotta contro l’uomo, contro il marito!

Ci rammarica molto questa superficialità d’informazione su quelle che sono le istanze rivoluzionarie di gran parte dei movimenti femministi europei. Un grosso interesse hanno invece dimostrato i cinesi verso il movimento femminista e le compagne che sono state in Cina. Ci sono stati numerosi viaggi di gruppi femministi in Cina che hanno avuto una serie di ‘incontri con donne cinesi. In Albania al contrario abbiamo vissuto il disagio di non poterci manifestare come femministe (se non a rischio di essere bollate come revisioniste e borghesi), sia verso il gruppo composto prevalentemente da aderenti al gruppuscolo del P.C.d’I. (partito comunista d’Italia) in pellegrinaggio, sia nei contatti ufficiali con gli albanesi. Non abbiamo comunque mai potuto avere contatti diretti con la popolazione.

Se comprendo la fase culturale che l’Albania sta attraversando in questo periodo e le sue esigenze di difesa dal mondo capitalistico e non che la circonda, non posso assolutamente giustificare che le compagne del P.C.D. che vivono in Italia e che hanno insistentemente cercato contatti con il movimento femminista, facciano — ad esempio — circolare in Italia ciclostilati di provenienza Albanese in cui c’è scritto tra l’altro che le femministe si interessano di moda e di canzoni napoletane (SIC.!).

Anche nei libro di L. Menegatti «La lunga marcia dei popolo Albanese» ho trovato alcune considerazioni sul femminismo che mi lasciano perplessa: «…questa situazione ben rivestita dalla logica allenante dell’attuale società capitalista, non ha risposto che in termini sterili lo stesso movimento femminista, il più radicale. D’altronde il grado di disorientamento, di dispersione di infruttuosa mobilitazione su obiettivi ribellistioo-esistenziali di tante forze femministe della nostra società industriale, testimonia chiaramente che non vi può essere liberazione per esse (lui invece sta nel pianeta felice del marxismo-leninismo!) all’interno di una società repressiva….». «… I prolungamenti che persistono di questi miti, sulla famiglia patriarcale o sul femminismo decadente o modernista sono da considerarsi per quello che sono: ferree rotaie piantate rigidamente per l’organizzazione capitalistica del lavoro». Ma proseguiamo.

Il mio conflitto tra femminismo e marxismo è anche quello di molte compagne di lotta, ed è sintetizzato nel nostro slogan: «non c’è liberazióne della donna senza rivoluzione, non c’è rivoluzione senza liberazione della donna». Durante la nostra visita siamo state spesso ricevute da donne che occupano importanti posti dirigenziali. L’ingegnere responsabile del più grosso complesso chimico Albanese ad Elbasan, è una giovane donna. L’agronomo capo della più importante azienda agricola di stato è una donna. La percentuale di occupazione femminile è altissima (47%) e non esistono problemi di sottoccupazione o lavoro dequalificato. Anzi la donna è spinta dal partito ad occupare posti di responsabilità. La sua presenza all’interno del partito è notevole, il 33% dei partecipanti delle assemblee popolari sono donne. Il 41 % di tutti i dirigenti di organizzazioni di massa, come il 25% dei laureati, sono donne.

Anche se stupite e orgogliose di tante conquiste le nostre domande puntavano ostinatamente sul «privato»: la sessualità, gli anticoncezionali, l’aborto, la socializzazione del lavoro domestico ecc.

Per quanto riguarda l’aborto: è vietato anche se l’aborto terapeutico è abbastanza applicato. Per gli anticoncezionali, riporto una intervista tratta da «Vento dell’Est» di maggio al direttore dell’ospedale di Girocastro, A. Harxhi:

D. Abbiamo visto che il governo albanese mette in opera una politica demografica attiva, vi sono molte forme di sostegno alle famiglie numerose. Ma esiste una «pianificazione familiare»? Quali metodi vengono adoperati, e in quali casi.

R. Avrei dovuto introdurre io stesso questo argomento che è molto importante. Noi siamo contrari all’aborto, che è vietato per legge. Ma questo non significa che non abbiamo una politica demografica, soprattutto verso le famiglie numerose, e in considerazione delle condizioni di lavoro e dello stato di salute dei coniugi. Il tasso di natalità in Albania è molto elevato. Oggi è del 24 per mille, subito dopo la liberazione era addirittura del 40. Va decrescendo ma siamo un popolo ancora molto prolifico: la media è di tre-quattro bambini a famiglia. Nella nostra propaganda sanitaria vi è anche questa Idea che troppi figli nuocciono alla donna; noi insegnamo a prevenire la gravidanza.

D. Con quali sistemi?

R. Non usiamo la pillola perché ha effetti secondari. Questo della politica demografica è un importante problema sociale. Riguardo ai figli esiste un atteggiamento di classe diverso: come ha spiegato Lenin nel 1913, sono ì coniugi borghesi che hanno paura della vita e non vogliono mettere al mondo figli. Per la classe operaia, mettere al mondo dei figli è naturale. La elesse operaia la pensa così: noi abbiamo lottato e vinto, i nostri figli potranno lottare e vincere ancora di più. I maggiori cambiamenti sono avvenuti nelle campagne… Comunque ogni coppia risolve questo problema come meglio desidera.

D.: Ma a questa propaganda sull’uso dei metodi anticoncezionali partecipa anche l’organizzazione delle donne?

R.: Sì, fa un grande lavoro in proposito. Si organizzano discussioni; vi sono consultori per i giovani. Le ostetriche che operano nei luoghi di lavoro e nelle cooperative sono le più attive in quest’opera di educazione sessuale; sono loro soprattutto che organizzano corsi e spiegazioni. Comunque, dopo un accurata indagine visto che sull’argomento anche con noi erano piuttosto evasivi, abbiamo accertato che almeno i preservativi — di marca cinese — ci sono. Per quanto riguarda la vita matrimoniale e familiare abbiamo posto alla rappresentante dell’UDA che ci ha tenuto la conferenza sulla donna queste domande:

D. Abbiamo visto da statistiche ufficiali che nel 1970 il 52% dei divorzi sono stati richiesti dalle donne. Vorremmo sapere: l’età media dei matrimoni. Quali sono le cause più frequenti di divorzio, e se è ammessa la convivenza.

R. L’età media del matrimonio è di circa 20 anni per le donne e 24 anni per l’uomo. Per le cause di divorzio il motivo è l’incompatibilità di carattere (ci aspettavamo delle motivazioni più politiche come quelle delle donne cinesi che richiedono il divorzio per «atteggiamenti feudatari del marito» — ad es. —).

Per quanto riguarda la convivenza da noi non esiste. Si arriva al matrimonio attraverso: un amicizia vera, la conoscenza, l’amore, il matrimonio.

D. Nel nostro paese esistono serie discriminazioni verso le ragazze madri ed i loro figli. Come viene affrontato nel vostro paese questo problema? R. Nel -nostro paese esistono le ragazze madri, ma sono casi molto rari e comunque non hanno nessuna discriminazione.

Le risposte non sono complessivamente confortanti. Anche storicizzando al massimo l’osservazione della condizione della donna albanese oggi, mi è sembrato che il processo di emancipazione sia a buon punto e che la «liberazione» sia ancora lontana. Non cadiamo nell’illusione che il cambiamento dei rapporti economici e di potere in una società socialista porti con sé automaticamente la liberazione della donna. Anche se questo tipo di società dà potenzialmente alla donna più strumenti per realizzarla. Comunque, se per noi femministe la libertà di scelta dell’individuo donna verso la maternità è un cardine imprerscindibile della nostra liberazione, .ci , chiediamo come sia possibile conciliare questa libertà con i condizionamenti culturali, psicologici, le gratificazioni politiche che anche in società socialiste indicono ancora la donna ad essere usata in funzione demografica.

Vorrei concludere con una considerazione della compagna Alessandra Kollontai, datata luglio 1926, con la quale termina la sua autobiografia di combattente al servizio della rivoluzione russa e della liberazione della donna: «Qualunque lavoro mi troverò a svolgere in futuro, mi è perfettamente chiaro che la meta della completa liberazione della donna lavoratrice e la creazione dei fondamenti di una nuova morale sessuale rimarranno sempre la meta suprema della mia azione e della mia vita».