l’aborto e la legge 194
« L’autodeterminazione è un principio enunciato
nella legge sull’aborto, ma è ostacolata
nella sua attuazione ed è ancora una cosa da fare nostra ».
Nel dibattito sui referendum interviene
il collettivo del Consultorio femminista S. Lorenzo.
La legge 194/78 sulla ’’Tutela sociale della maternità e l’interruzione volontaria della gravidanza” sembra in pericolo, e le donne vengono chiamate a mobilitarsi per difenderla, il quadro politico è così nero, del resto, che l’unica possibilità per chi vuole l’aborto libero e gratuito pare sia quella di attestarsi nella battaglia di trincea a favore della legge: una battaglia per mantenerla e magari per migliorarla se gli equilibri parlamentari lo permetteranno. Ma è questo il massimo che possiamo proporci di ottenere? Non intravedo prospettive diverse neJl’articolo pubblicato su Effe dello scorso novembre dal Coordinamento nazionale per l’applicazione della 194. Vi si legge che « bisogna trovare momenti di impegno collettivo e aggregare un fronte il più possibile vasto per impedire che sia cancellata questa legge che garantisce l’autodeterminazione della donna». E va bene: è chiaro che non possiamo non sentirci parte di uno schieramento progressista che difende l’aborto come diritto di libertà. Ma è altrettanto chiaro che in moltissime donne c’è una insoddisfazione profonda per il fatto di dover accettare una semplificazione così grande della loro spinta a lottare. L’autodeterminazione è un principio enunciato nella legge, ma è ostacolata nella sua attuazione ed è ancora una cosa da fare mostra.
Le iniziative autonome di gruppi di donne nelle sedi più diverse ci dimostrano che l’aborto fa parte di un complesso intricato di problemi e non è mai rin- chiudibile dentro lo steccato di un diritto individuale garantito per legge, del quale ci si può accontentare di chiedere una corretta amministrazione allo Stato.
E’ importante chiederci, a partire dalle nostre esigenze (che in parte si manifestano già concretamente, in parte sono da tirar fuori) cosa significa l’attribuzione di responsabilità allo Stato, in che modo le strutture pubbliche rispondono e come sono coinvolte le donne: non ci sono soltanto le donne utenti di un servizio, ma anche rappresentanti politiche delle utenti e persone che operano nelle strutture pubbliche.
L’aborto, per chi lo affronta sulla sua pelle, è un’esperienza che mette in questione il senso dell’autodeterminazione in tutta la propria vita a partire dalla sessualità e dalla maternità; è il terreno di prova sul quale si misurano tutti i condizionamenti e le espropriazioni. Anche se vissuto nelle migliori condizioni possibili, resta una violenza, conseguenza di violenze subite o addirittura accettate come parte di noi stesse (e parte delle nostre contraddizioni).
La mobilitazione collettiva che ha accompagnato la gestione dell’aborto affidato alle istituzioni ha comportato una grossa presa di coscienza, che è destinata a andare avanti.
Quanto più è maturata la coscienza, tanto più ci si è accorte degli ostacoli che avevamo di fronte, così grandi che a volte si preferisce non parlarne. Per esempio: si è visto che i problemi affrontati in modo collettivo fuori dalle istituzioni, quando si è dentro l’istituzione sono ancora gestiti nella più completa separatezza e ignoranza delle nostre esigenze: isolamento di ogni caso individuale dall’altro, isolamento dell’aborto dalla sessualità e dalla maternità, scissione del problema da quelli della salute della donna negli aspetti fisici e psichici.
Il modo in cui si somministra, o si nega, la contraccezione, non è un fatto isolato ma rientra nei normali comportamenti istituzionali. Come è possibile che la contraccezione sia affrontata in modo corretto, quando la realtà istituzionale è costituita da. una infinita serie di momenti repressivi del corpo, di noi come persone?
E quando la situazione di chi è costretta ad abortire è ancora disastrosa dappertutto? Certe nostre richieste sono viste come un lusso o addirittura un segno di fastidiosa insubordinazione rispetto alle esigenze di funzionamento delle organizzazioni burocratiche e ospedaliere. Nel caso dell’aborto le sofferenze fisiche e psicologiche dovute al modo in cui funzionano le strutture, si sommano ad altri disagi insopportabili per chi non è garantito dalla legge (minorenni, donne che hanno superato la 12a settimana) e ai disagi ’’normali” di chi non è garantito neppure dalle proprie condizioni economiche.
Non ci si può meravigliare se incontriamo tante difficoltà nel mettere a fuoco obiettivi comuni, data la complessità dei nodi che si vanno a toccare e, anche, la diversità delle posizioni in cui le donne si trovano dentro e fuori le istituzioni. Per questo sarebbe importante affrontare il problema delle istituzioni da una esperienza come l’aborto. Non mi riferisco alle istituzioni in astratto ma alla loro sostanza quotidiana, quindi anche alle esperienze delle operatrici sanitarie: donne il cui specifico professionale è intrecciato con lo specifico femminile, in modi di cui soltanto loro possono parlarci.
Le controparti istituzionali di chi vuole abortire sono ’’strutture” e, concretamente, uomini e donne in veste di medici, infermieri, psicologi, amministratori ecc. Le lotte sull’aborto hanno fatto intravvedere la possibilità di affrontare collettivamente le strutture pubbliche come ospedali, consultori e cliniche. Anche se la realtà della paziente è ancora quella dell’isolamento e della repressione qualcosa ha cominciato a muoversi nell’atteggiamento di alcuni operatori, e si è visto che le lotte sono servite almeno a modificare certi comportamenti delle persone che fanno parte delle istituzioni.
Ma anche quando la gestione vuole essere aperta e ’’comprensiva” si incontra una barriera che sembra invalicabile ed è quella che separa l’utente dal tecnico o dal burocrate, difesi dal guscio del proprio ruolo (un guscio che ha significati estremamente vitali per loro in termini di sicurezza psicologica e materiale, di sapere-potere ecc.).
Come vivono tutto questo le donne che devono abortire? Il fatto che ci sia una legge in cui la gestione dell’aborto è definita compito dello Stato, ha finito per legittimare ancora di più, se possibile, la necessità della fiducia e della delega da parte delle utenti alle persone specializzate a cui è affidata l’attuazione della legge. Dall’esterno si può chiedere a quéste persone di fare il proprio dovere in modo responsabile, ma non si può interferire nel loro lavoro, che è anche coperto parzialmente dal segreto d’ufficio. Quando il personale è aperto alle esigenze delle pazienti, si è grate dell’attenzione come di un grosso favore che risparmia gratuite sofferenze. Le donne che hanno funzioni di medico, ostetrica, infermiera, psicoioga o impiegata ecc., in questa situazione si trovano a svolgere un ruolo di cui viene ribadita la separatezza. Quando va bene si dimostrano amichevoli e disposte a dare un buon servizio (sempre nei limiti permessi dalle strutture); quando va male invece si rifugiano dietro le difese della burocrazia e i vincoli della specializzazione. Tanto più che loro poteri in genere sono piccoli a paragone di quelli di chi occupa posti di comando (in particolare, MEDICI con la ”M” più o meno maiuscola).
Qualche esperienza
A Roma (come in altre città) gruppi di donne si sono organizzati in alcune circoscrizioni per cercare di rendersi conto di come andavano le cose nei consultori, ospedali e cliniche, e per cercare di cambiarle: così per esempio al San Giovanni e al San Camillo.
Quella più vicina al consultorio autogestito di S. Lorenzo è un’esperienza che riguarda il Policlinico Umberto I, e che ci sembra molto indicativa rispetto ai nodi prima accennati.
Il Coordinamento Donne U.S.L. della 3* circoscrizione ha cercato di collegarsi con un reparto che vuole essere considerato aperto ai bisogni delle donne dopo l’occupazione che vi si è svolta due anni fa: è il reparto di Piccola Chirurgia ostetrica e ginecologica, presso la I Clinica ostetrica e ginecologica. Il prof. Marcelli è responsabile del ’’repartino”, mentre il prof. Carenza è direttore della Clinica.
Come si sono svolti questi contatti?
- 13 ottobre ’80 c’è stato un incontro fra il Coordinamento e gli operatori del reparto, che hanno concordato alcune modifiche del servizio inerenti alla applicazione della legge 194. In particolare è stato deciso che lo scottante problema delle prenotazioni fosse regolato non mediante le liste di prenotazione (come era avvenuto fino a quel momento) ma con una graduatoria stabilita in base a visite da effettuare il giorno stesso in cui le donne si presentavano per l’aborto.
Nel periodo compreso fra il 15 ottobre e il 14 novembre ’80 le donne che si presentavano hanno ricevuto la visita e la certificazione quando ne erano sprovviste: è stata data la precedenza alle ’’urgenze organiche e psicologiche”, alle minorenni e alle utenti dei consultori. Le richiedenti che non potevano essere assorbite dal reparto sono state segnalate al Centro di Coordinamento regionale presso il S. Camillo per lo smistamento verso altri ospedali.
Il 10 novembre si è avuto un secondo incontro con gli operatori del reparto e qui il Coordinamento Donne ha dato un giudizio positivo sui risultati, ma ha detto che il collegamento dovrebbe con tinuare e proporsi ulteriori obiettivi perché, come si legge in un volantino: « E’ indubbio che questa nuova organizzazione che accorcia i tempi di attesa e che offre la possibilità di socializzare un problema che la società ha sempre fatto vivere alla donna in maniera drammatica e individuale è solo un primo passo avanti verso un’applicazione corretta della legge 194 intesa non solo come intervento tecnico ma anche come momento di recupero dell’aspetto sociale e di prevenzione. Com donne vogliamo avere un rapporto più costante con il reparto I.V.G. e dare un contributo affinché il servizio sia sempre più rispondente alle esigenze delle donne ». Perciò il Coordinamento ha chiesto al Comitato di gestione della U.S.L. che gli venga riconosciuto con atti formali il diritto di accesso e di controllo al reparto. Controllo, dicono le donne del Coordinamento, che è necessario per verificare il rispetto degli accordi raggiunti e per stabilire una collaborazione con gli operatori della struttura: non solo su aborto e contraccezione ma poi. inevitabilmente anche sui servizi relativi a; parto, alle analisi; (ecografia, pap test ecc.), e a ogni altro aspetto del funzionamento.
Ora gli interlocutori cominciano a spaventarsi. Di fronte alle richieste di controllo avanzate dalle donne, tutti fanno marcia indietro. La direzione dell’Istituto I Clinica Ostetrica è in allarme, ma lo sono anche sanitari e funzionari di partiti e sindacati, per i quali è normale che le esigenze delle donne siano sempre interpretate da qualche ’’responsabile” e attraverso filtri istituzionali che tendono a smorzarle, incanalarle, guidarle. La struttura sanitaria è un insieme di centri di potere che nessuno può facilmente tentare di rimettere in questione.
La cosa più paradossale è che le ragioni della struttura burocratica, politica, sanitaria, sono state difese immediatamente dal sindacato (UIL) e da alcune donne che si sono espresse a nome della Federazione provinciale del PSI in appoggio a una ostetrica del Policlinico privata di alcuni dei suoi poteri in conseguenza dell’abolizione della lista delle prenotazioni. Per la verità questa donna, che aveva lasciato da parte funzioni sanitarie specifiche che le sarebbero spettate per svolgere una mansione burocratica si era trovata spiazzata veramente ed era diventata il capro espiatorio.
Sia le donne del PSI che il sindacato hanno chiesto alle autorità responsabili (Presidenza della USL, Sovrintendenza del Policlinico, Istituto di Glinica Ostetrica) di affrontare nuovamente con loro, e con i legittimi rappresentanti politicoistituzionali, le questioni organizzative inerenti all’adempimento della legge. La questione è ancora aperta. L’ultima riunione fra Coordinamento e personale del repartino ha fatto emergere l’inconsistenza dei ’’capi di accusa” sollevati dai rappresentanti politici e sindacali. Le donne del Coordinamento hanno detto di essere disposte al confronto in qualsiasi momento; però non sono disposte a delegare ad altri la rappresentanza in prima persona che hanno faticosamente cercato di costruire.
Consultorio Femminista S. Lorenzo