aborto

documento da trento

Documento di convocazione della manifestazione nazionale sull’aborto – Trento – 15 febbraio 1975.

marzo 1975

Mentre l’ONU proclama «l’anno della donna» i giornali parlano di anno dell’aborto, di nuova crociata, di caccia alle streghe. Dall’irruzione della polizia nella clinica fiorentina del CISA sono ricominciati a piovere arresti e denunce. Il problema dell’aborto è ritornato alla ribalta sulle pagine dei giornali, nella mente dei politici, facendo nuove vittime fra le donne e chi si è messo al loro fianco in questa battaglia. Cos’ha in mente l’onorevole Fanfani? Di ripristinare l’ordine, di riempire le galere di donne che hanno abortito e di chi le aiuta ad abortire, di chiunque esprime un’opinione diversa dal Codice Rocco o dalla Religione di Stato. Saranno al suo fianco oltre i fascisti tutti quelli che credono che la vita dell’embrione sia l’unica da difendere, e sia invece sacrosanto sacrificare la vita di una donna per un figlio non voluto sull’altare dell’ipocrisia borghese che inneggia al valore della maternità e non vede la miseria degli aborti clandestini, delle morti per aborto, degli orfanotrofi, dell’ignoranza sessuale e contraccettiva, dei servizi per le madri e per l’infanzia che non esistono o quasi.

I partiti della sinistra si accorgono della gravità del problema, si scandalizzano, fanno nuove proposte di legge, parlano continuamente sui giornali dell’aborto, ma hanno paura a scatenare nella società Italiana, attraverso un dibattito aperto sull’aborto, sulla condizione della donna, la crisi dell’attuale sistema familiare. E’ chiaro che una volta aperta la strada alla discussione di questi problemi, molti altri ne possono venire a galla come la gestione sociale della maternità, dei bambini, degli handicappati, degli anziani, e si teme una critica profonda alle strutture sociali in cui siamo costretti a vivere da questo sistema, si teme la potenzialità eversiva della presa di coscienza delle donne Italiane su questi argomenti, si teme un nuovo e più duro 12 maggio. I gruppi della sinistra hanno fatto proprio l’obiettivo dell’aborto libero e gratuito.

Ma prima dei partiti, dei gruppi, devono essere le donne a pensare cosa realmente significa aborto per loro, a prendere posizione, a mobilitarsi su questa questione.

Prima di essere questione politica, vergogna sociale, l’aborto è un dramma che la donna vive.

Noi pensiamo che il modo in cui si fa l’amore oggi soddisfi le esigenze fisiche e psicologiche degli uomini molto più che quelle delle donne. Pensiamo che la donna abbia esigenza di esprimersi sessualmente, ricercando comunicazione e gioia in modi anche diversi da quelli che la possono far rimanere incinta. Il dramma di rimanere incinta senza averlo voluto, è il dramma del dover scegliere fra mettere al mondo un figlio senza potergli garantire quello che gli spetta (in senso materiale e affettivo) e dover infrangere una morale imposta e fare una violenza al suo corpo e alla sua mente. Noi pensiamo che l’aborto non è mai una scelta, un momento positivo in cui la donna esprime se stessa: tutt’altro, l’aborto è sofferenza, dolore fisico e psichico, una realtà alla quale nessuna di noi vorrebbe arrivare. L’aborto è una via obbligata, una costrizione a cui si giunge da precedenti situazioni di non scelta, è un’ennesima violenza alla quale ci si sottopone coscientemente, frutto della scarsa o nulla possibilità di autodeterminazione in cui si trova la donna nei vari aspetti della sua vita e, nella sua vita effettiva e sessuale.

Noi abbiamo definito l’aborto niente di più che una legittima difesa per la donna, in sé intrisa di contraddizioni e sofferenza; uno stato di necessità nel quale la donna è costretta e che lei ha il diritto di vivere nel modo meno doloroso e gravoso dal punto di vista sanitario, igienico, economico e psicologico. Di fronte al fatto che a Trento contro 263 donne è stata lanciata l’accusa di procurato aborto e che altre 40 donne a Firenze sono state fermate per lo stesso motivo, assieme a medici e infermieri, noi pensiamo di dover prendere posizione una volta per tutte contro una morale ottusa e bigotta e contro una «giustizia» che permettono la speculazione sul corpo della donna e che la costringono ad abortire clandestinamente senza offrirle una alternativa valida.

Quello che noi diciamo di fronte a questi fatti è no ad ogni processo per aborto, poiché non vogliamo che la donna, che avesse già subito il dolore ed il rischio di un’operazione, alla quale è stata costretta per una maternità non scelta, non solo non venga aiutata socialmente e confortata, ma venga addirittura sotto-posta ad un’ulteriore violenza: trascinata in tribunale, esposta al discredito della opinione pubblica e forse condannata. Condannata per un fatto a cui è stata obbligata dalla presente situazione sociale e umana, che grava e opprime tutte le donne.

Quello che noi pretendiamo oggi e subito è che non vengano più fatti processi per aborto e che ci venga riconosciuto il diritto all’aborto libero e gratuito. Con questo noi non pensiamo che l’aborto libero sia liberante per la donna, anzi continueremo a subirne da sole la violenza e la disumanità; pretendiamo però, dal momento che l’aborto è una vasta realtà oggi in Italia e una probabilità che si presenterà nella vita delle donne ancora per molto tempo, che quando siamo costrette a farlo ci venga data la possibilità di decidere di non fare un figlio non voluto, e di avere a nostra disposizione un’assistenza medica sicura e gratuita. Nostro obiettivo ultimo resta però non la liberalizzazione dell’aborto ma II «non dover più abortire». Nessuna donna ha mai voluto abortire, e noi vorremmo che nessuna donna dovesse più farlo, noi non vogliamo più abortire. Essendo però ancora costrette a sottoporci a questa pratica, pretendiamo di non dover più agire nella clandestinità, nel rischio della vita.