donne: diritto alla tortura
Nei paesi governati da un regime oppressivo, di timbro e cultura fascista, la donna, per tanti versi ridotta a minus habens, dovrebbe almeno godere di alcuni privilegi, connaturati, per l’appunto, al suo presunto status di irresponsabilità: eppure, il sempre crescente numero di donne sottoposte, in quei paesi, a persecuzioni politiche e torture, contraddicono una simile regola: nella misura in cui la donna oggi comincia a fare politica in prima persona, in prima persona paga, duramente, il prezzo della sua ricerca di libertà. In Grecia, Adele Cambria ha raccolto storie e testimonianze di donne che, rifiutando il fascismo, ne conoscono le rappresaglie. Vanna Vannuccini ha seguito le deposizioni di donne latino-americane che hanno portato le loro drammatichetestimonianze di fronte al Tribunale Russell a Roma.
tribunale russel
La storia del Tribunale Russell è la storia di alcuni tentativi di rispondere alle sopraffazioni indicando all’opinione pubblica mondiale le responsabilità di genocidi, torture, repressioni, negazioni violente del diritto dei popoli all’autodeterminazione.
Il Tribunale Russell fu istituito nel 1966 dal filosofo inglese Bertrand Russell, un uomo la cui onestà ideale era al di sopra di ogni discussione, per indagare sui delitti americani nel Vietnam. Agisce come un tribunale vero e proprio, sulla base di testimonianze e documentazioni rigorose, emettendo il proprio giudizio in base al diritto internazionale.
In un certo senso, quindi, il Tribunale Russell corrisponde ad un sogno di giustizia libera da qualunque vincolo politico ed economico che leva la propria voce in tutto il mondo battendosi in nome dei diritti dell’uomo. Il Tribunale, come è stato sostenuto, non ha solo una legittimità morale, ma anche giuridica, in quanto “le esigenze della pubblica coscienza devono diventare fonti di diritto”. Il suo scopo non è solo quello di far prendere coscienza, ma di dare all’opinione pubblica uno strumento per intervenire nella storia; ricordiamo la sollevazione dell’opinione pubblica mondiale che seguì alle denunce dei crimini americani in Vietnam, fatte dal Tribunale Russell, e di cui gli Stati Uniti finirono per dover tenere conto. Il Tribunale. Russell II, riunito recentemente a Roma, ha indagato “sui crimini commessi contro i diritti dell’uomo in America Latina, dove ormai restano soltanto due o tre paesi che non siano in mano a regimi fascisti. Alla dittatura militare in Brasile sono seguite quelle in Uruguay, Bolivia, Cile. Il Brasile ha esportato negli altri paesi i barbari sistemi di sovversione e di repressione; in Uruguay, un paese di salde tradizioni democratiche (come era stato, fino al settembre scorso, il Cile) l’uso quotidiano del potere è la tortura: su due milioni e mezzo di abitanti, 40.000 sono in prigione per reati politici, 5.000 sono stati torturati nell’ultimo anno.
Partendo dall’indagine sulle torture e sulle violazioni dei diritti dell’uomo, il Tribunale Russell si è proposto anche di indicarne le cause: in altre parole, di mettere in luce lo stretto legame tra repressione e potere economico. Dietro i governi militari, vi sono le società multinazionali americane che sfruttano l’enorme serbatoio di mano d’opera a buon mercato che sono i paesi dell’America Latina. Lo stesso Agnelli (la Fiat è già presente in Brasile nel settore trattori, e comincerà tra breve a produrre automobili) ha detto che il Brasile “è un modello di ordine e dì sicurezza per gli investimenti”. I testimoni torturati che hanno deposto al Tribunale Russell sono il prezzo più evidente di questa “sicurezza”.
il brasile lucra le torture
In quasi dieci anni di dittatura militare il Brasile è diventato la testa di ponte dell’imperialismo americano in America Latina. Un “miracolo economico”, che ha svenduto le risorse del paese alle società multinazionali e ha portato ad una diminuzione del reddito degli strati poveri del paese (l’assoluta maggioranza), serve da alibi alla repressione. La dittatura militare si regge su selvaggi sistemi repressivi e su un apparato terroristico efficientissimo messo a punto con l’appoggio degli Stati Uniti, di cui il Brasile è il “satellite privilegiato”. Vi sono organizzazioni di polizia create apposta per la tortura e organizzazioni parallele usate dalla polizia come le famigerate «squadre della morte», vere e proprie “anonime assassini” che si dedicano quotidianamente all’eliminazione fisica dì chi si oppone al regime. L’esercizio della tortura è un’attività pianificata, istituzionalizzata; è il mezzo principale del sistema attraverso cui polizia e esercito possono perseguire ogni cittadino.
Dal Brasile II fascismo si è esteso a quasi tutta l’America latina, come dalla Grecia tenta di estendersi ad altri paesi del bacino del Mediterraneo o dal Vietnam del sud ad altri paesi asiatici.
In America Latina le società multinazionali hanno puntato sulla creazione di una “zona di influenza” sotto l’egemonia brasiliana, di cui l’intervento in Bolivia, in Uruguay, in Cile, la penetrazione economica in Ecuador e Paraguay sono le manifestazioni più evidenti. Quale sarà la prossima mossa?
elettrodi per lei
Denise Crispim, studentessa brasiliana, era incinta di sei mesi quando è stata arrestata dalla polizia militare. “L’unica parte del corpo dove non mi hanno bastonata è stata la pancia”, ha dichiarato; “ma hanno tentato di farmi abortire in ospedale”. Il marito di Denise, Eduardo Leita, fu arrestato qualche settimana dopo di lei, torturato, e poi gettato, morto, da un’auto in corsa davanti all’obitorio. Denise Crispim non ha avuto la forza di parlare, e ha presentato una testimonianza scritta che è stata letta alla giuria del Tribunale Russell, lei presente in silenzio. Non ha voluto dire nulla di sé; si è avuta l’impressione che non fosse in grado di parlare con nessuno. Su quello che è stato fatto al marito, riferisce la testimonianza scritta: “Era così sfigurato, mutilato, che non lo riconoscevo: un occhio era forato, le labbra gonfie e deformi, senza denti; il corpo era coperto di ferite putrefatte. C’erano cinque fori di pallottole sparate quando Eduardo era già morto per le torture, per montare, di fronte all’opinione pubblica, la farsa di uno scontro a fuoco tra estremisti e polizia”.
Maria Socorro Vigevani racconta: lei e il marito sono stati torturati uno di fronte all’altra, prima con delle scosse elettriche, con gli elettrodi inseriti sotto le unghie e gli organi genitali; poi picchiati con la “palmatoria”, una specie di spatola ruvida di legno, che porta via la pelle. Altri hanno testimoniato come gli arrestati venivano costretti a manovrare gli strumenti di tortura diretti contro i compagni; c’è perfino il caso di un bambino di quattro anni che fu costretto, picchiandolo, ad azionare le scariche elettriche contro detenuti torturati. In un altro caso, padre e madre sono stati costretti ad assistere, mentre erano interrogati, alla tortura (scariche elettriche) su un loro figlio di un anno. Non hanno resistito, si sono ribellati gettandosi contro gli aguzzini, e sono stati uccisi.
Carmen Perruti ha testimoniato che il figlio era stato usato come cavia in corsi di tecnica della tortura in cui si insegna ad adoperare tutti gli strumenti regolarmente usati, dalle fruste agli elettrodi, con l’assistenza di una équipe di medici che dosa le torture e ne illustra le conseguenze. L’efficienza della tortura è dovuta proprio alla collaborazione dei medici, i soli capaci di valutare la resistenza fisica di ogni persona e l’impatto fisiologico delle diverse torture. Ci sono sistemi di tortura — ha detto Carmen Perruti — come il “takie flaxing”, un preparato simile al curaro che blocca per un certo periodo di tempo i muscoli della respirazione: il torturato si sente soffocare, ha il senso della morte; gli si fa inalare dell’ossigeno in modo che si senta ritornare in vita, e, alternativamente, si continua a somministrargli e a togliergli ossigeno. Fino a che Punto gli si possa togliere l’ossigeno è una cosa, appunto, ricavata attraverso la ricerca medica, poiché il torturato non è più utile se muore.
Dulce Maya, ex assistente sociale a Rio, è una delle prime donne che furono arrestate dalla polizia brasiliana (fu poi liberata, assieme ad altri 40 detenuti politici, in cambio dell’ambasciatore tedesco rapito nel giugno del 1970; trovò rifugio in Cile sotto il governo Allende, ed è poi riuscita miracolosamente a sfuggire alle maglie della repressione di Pinochet). Dulce Maya fu arrestata nel 1969: “sette mesi di isolamento, dodici mesi senza poter vedere né un avvocato né i parenti, ripetutamente torturata: appesa per i piedi a testa in giù, colpita con la “palmatoria”, bruciata con candele, frustata, sottoposta ad applicazioni elettriche agli organi sessuali; questo avveniva in media tre volte alla settimana, a qualsiasi ora del giorno e della notte”.
“Ci sono tanti compagni che stanno morendo oggi nelle carceri; sono loro che bisogna salvare, ed è per loro che sono venuta di fronte al Tribunale Russell”, ha detto Dulce Maya, esortando a fare qualcosa subito, e a non limitarsi ad una enumerazione delle torture che rischierebbe di trasformarsi in un “tragico folklore”.