gli uomini sono più uguali

DURA LEX

giugno 1974

La Corte di Cassazione, chiamata a decidere se una donna che non riveli al futuro marito di non essere più versine sia in colpa o no, ha stabilito, con sentenza n. 2007 dell’I 1 luglio 1973: “Può costituire — tenuto conto di vari elementi (ad es. la sensibilità morale e religiosa del marito e l’ambiente familiare e sociale in cui i coniugi sono vissuti) — ingiuria grave, infetta allo sposo, il subdolo celamento, da parte della sposa, della perdita della verginità, il quale, quindi, costituisce motivo di separazione personale per colpa della moglie”.

Quindi, poiché la tradizione patriarcale condanna ancora in molti ambienti la donna che giunga al matrimonio non illibata, la sposina che celi questo fatto è in colpa anche per la legge. Perciò, come giudicare severamente il marito che si faccia esecutore materiale della punizione e, magari eccedendo un po’, uccida la “colpevole”, come ha fatto alcuni mesi fa Salvatore Nappo? Ecco giustificato e incoraggiato, se ce n’era bisogno, il delitto d’onore, autorizzato dal non ancora abrogato articolo 587 del codice penale.

Nel costume patriarcale — di cui la Corte di Cassazione ha riconosciuto, con questa sentenza, l’autorità — per l’uomo, al contrario che per la donna, le esperienze sessuali precedenti al matrimonio non sono una colpa da confessare, anzi per lui sono più che ammesse, addirittura di rigore. Prima della chiusura delle case di tolleranza, il padre stesso, senza perdere della sua dignità, vi mandava o accompagnava il figlio maschio a farvi un apprendistato igienico ed economico con le prostitute ivi messe a disposizione, e anche ora i bravi padri di famiglia scrivono preoccupati ai giornali, invocando il ripristino dell’antico “ordine”. Questa diversità di valutazione delle esperienze sessuali prematrimoniali, secondo che si tratti dell’uomo o della donna, implica che per l’uomo esse sono considerate appunto “esperienze”, attraverso le quali si è formata la sua personalità, cui danno profondità e “spessore”, il fascino dell’uomo “vissuto”. Come diceva Napoleone, “l’uomo va giudicato dalla cintola in su». La donna invece non èche un oggetto, che, come si sa, perde di valore se è già stato usato, cosa che, secondo le buone regole commerciali, dev’essere dichiarata all’atto del contratto di vendita. Il matrimonio si rivela qui come l’istituto che dà all’uomo la proprietà della donna: il marito padrone, al quale sia stato celato questo difetto del suo acquisto, si sente truffato, come se gli avessero rifilato una merce di valore inferiore a quello dichiarato. Può restituire l’oggetto, chiedendo la separazione, o disprezzarlo al punto di desiderarne la distribuzione: ecco il delitto d’onore.