le segretarie
la catena di montaggio
Fare la segretaria,come fare l’hostess,é stato per molte -durante il boom della società consumista e efficientista,sulle orme del modello made in Usa – la ‘summa’ delle aspirazioni |il ‘mestiere’ privilegiato., l’isola dorata, all’ombra dei VIP, respirandone la ricchezza e il prestigio«Ma da qualche tempo le segretarie stanno prendendo coscienza che le loro ‘isole dorate’ sono soltanto ghetti, e spesso neppure di lusso, dove la condizione di inferiorità e di sfruttamento della donne é più mistificata che altrove ma non meno pesante e logorante. Anche tra loro, quindi, sta nascendo l’esigenza della ‘liberazione’.
La professione o il mestiere di segretaria, proprio perché professione femminile, non è stata definita nelle sue qualifiche come le professioni maschili. Mentre ad esempio di un ingegnere si dirà che è abile nel calcolare o nel progettare, di una segretaria si dirà che ha presenza, discrezione, stile, lealtà, ecc. Questo conferma il fatto che la segretaria in genere esercita una professione, diremmo, senza professionalità.
Il modello è dato generalmente da manualetti americani redatti sempre da uomini, cioè dagli stessi capi, che non sono altro che un interminabile elenco delle qualità che dovrebbe avere la «loro» donna ideale, moglie, figlia, sorella o segretaria, fa lo stesso. Questi manuali che non possono certo servire alla segretaria per trovarvi delle indicazioni utili per la sua professione, ripropongono quindi alla donna di assolvere nell’azienda la stessa funzione già codificata nell’ambito della famiglia. In pratica essi dicono: tu puoi avere un certo potere in determinati casi, ma questo tuo potere è in funzione del tuo capo, te lo limita lui, e non è riconosciuto da altri. Su uno dei manuali, infatti, un capitoletto è proprio intitolato «The power behind the throne», quel potere dietro le quinte, che poi è lo stesso «subdolo» potere attribuito alla madre di famiglia. Per questa ragione mentre la donna operaia conosce bene il proprio sfruttamento, la segretaria ritiene spesso di avere una posizione quasi di privilegio. Per la segretaria o per l’impiegata in generale, l’isolamento in cui lavora le rende molto più difficile collegare certe sue convinzioni individuali di sfruttamento o di semplice disagio alle questioni-di lavoro in senso collettivo. Le cose stanno cambiando con i pools, i quali se da una parte hanno incrementato lo sfruttamento, hanno dall’altra provocato una maggiore capacità di coscienza da parte delle segretarie, Che cosa sono i pools?
Dal 1970 comincia a farsi strada in Italia il concetto, già applicato in paesi come gli Stati Uniti, che una segretaria per un solo capo con mansioni direttive è sprecata. Un dirigente trascorre la sua giornata passando da una riunione all’altra, viaggiando spesso, dettando al registratore durante i suoi spostamenti le lettere che deve scrivere, leggendo rapporti e corrispondenza nei ritagli di tempo, ecc. Basta dunque organizzare al posto della segretaria singola, che avrebbe troppo spesso poco lavoro, un servizio di segreteria nello ambito dell’azienda utilizzabile da tutti i dipendenti dell’azienda stessa. Ecco come sono nati i «pools» di segretaria.
Per la prima volta in Italia le grosse multinazionali che hanno finora curato soltanto la formazione professionale e l’aggiornamento degli impiegati, e mai speso una lira per le loro impiegate, cominciano ad inviare gruppetti di segretarie a frequentare dei corsi, per apprendere l’uso e il funzionamento di una macchina da scrivere speciale, una specie di mini-calcolatore, su cui agire per correggere errori, inserire frasi o capitoli in un rapporto già battuto, dargli una bella forma, e batterne innumerevoli copie solo schiacciando un bottoncino.
I pools sono una centralizzazione dei servizi di segreteria ottenuta riunendo gruppi di segretarie in una sola stanza dove il lavoro viene coordinato da una capo-pool. Il pool lavorerà per molti uffici diversi fornendo servizi di battitura, di stenografia, di traduzioni, ecc. I capi inviano il testo registrato di un rapporto o di una lettera alla capo-pool la quale lo distribuisce alle singole ragazze fornite di cuffia per ascoltare le bobine, e di pedali per interrompere o iniziare la registrazione. In questo modo da una parte vengono completamente eliminati i tempi morti e, dall’altra, si ottiene una considerevole riduzione del personale. Naturalmente il calcolo dei tempi è essenziale e su di esso si basa la valutazione del rendimento di ogni singola persona: le pause di lavoro sono stabilite in un determinato numero di minuti, le uscite regolate, annotati i tempi di assenza dalla stanza, ecc. Se non si tiene conto dei problemi dell’occupazione (si calcola che il pool nel giro di pochi anni è capace di dimezzare i posti di lavoro), della dequalificazione professionale, del lavoro alla catena, la lotta contro i pools può sembrare a prima vista una lotta di retroguardia. È importante notare invece come questa lotta assume una caratteristica nuova, di essere portata avanti collettivamente dalle donne che per la prima volta rompono l’isolamento della segreteria che o non riconosce il proprio sfruttamento oppure, se lo riconosce, non ha la forza di opporvisi. Le ragazze dei pools non sono come prima isolate nei vari uffici, ma sono tutte insieme, e scompare con il pool il rapporto così ambiguo e frustrante della segreteria con il proprio capo. Nell’ambito di alcune società, in vari punti d’Italia, si sono formati collettivi o gruppi di donne che elaborano documenti, si riuniscono e discutono i loro problemi. A dirlo così, sembra un’insurrezione generale, invece nessun gruppo sa dell’esistenza dell’altro, occupato com’è a cercare di parare le prime mosse della propria azienda e a sensibilizzare le compagne. I dirigenti cominciano a guardare con una certa preoccupazione alle assemblee di sole donne, alla circolazione per i vari uffici di bollettini ciclostilati che fanno il punto della situazione e alle riunioni periodiche dei collettivi, ottenendo spesso, come primo risultato, che il programma pools venga sospeso per qualche mese.