storie di ginecologi
Che non fosse femminista, il professore, assistente del primario di ginecologia ed ostetricia d’i un grande ospedale, non avevo dubbi.
Più di una volta lo avevo sentito parlare delle donne in termini razzisti: tutte puttane, tranne naturalmente la moglie, che non amava e che cornificava proprio con le puttane, e la madre. Si diceva però un compagno, aveva la tessera del partito, ma recentemente ne era uscito per alcune sue posizioni «radicali», diceva lui, sull’aborto. Ora mostrava le sue simpatie verso gli extraparlamentari di sinistra, ne condivideva alcune posizioni, soprattutto la critica al partito istituzionalizzato ed una maggiore benevolenza verso le donne politicizzate, naturalmente quelle che «si battevano per le cause politiche, le cause che riguardano uomini e donne, la salute in fabbrica, gli anticoncezionali, l’aborto», non certo le femministe borghesi. Si diceva disponibile per qualsiasi battaglia progressista, mi aveva detto spesso di interpellarlo che volentieri si sarebbe prestato. Fu proprio per questa sua ribadita disponibilità che un giorno gli telefonai per chiedergli se volesse aiutarmi in qualche modo con la sua opera o con un contributo finanziario a sostenere il centro per la salute della donna che alcune ragazze stavano aprendo a Padova. Gli spiegai il significato del centro; «vuole essere non tanto alternativo alla struttura, bensì la struttura stessa, in effetti a Padova non c’è per ora nemmeno un consultorio prematrimoniale e vuole essere un posto dove tutte le donne trovano un consiglio, qualcuno disposto a parlare loro e ad ascoltare \ loro problemi, non solo di carattere sanitario, bensì anche psicologico, pedagogico, familiare».
Al telefono il professore-compagno sembra interessato, mi fissa un appuntamento.
Il giorno dopo ci riceve alla porta la moglie: una donna dai tratti aggressivi, maschile nell’aspetto. Come vede che poso l’ombrello, mi dice, come se fosse stata sollecitamente preoccupata: «guardi di non dimenticarselo». Certamente la frase aveva un’intenzione, io vi colgo quella di aggredirmi di fronte ad un possibile lapsus freudiano.
Il professore «stava visitando»; si fa attendere per un’ora. Poi entra nel salottino di attesa con la sua solita aria depressa, stavolta più affaticata del solito, si siede in poltrona e ci investe con una serie di invettive contro le donne, che sono «tutte puttane». Ci guardiamo in faccia, io e la compagna, imbarazzatissime, io più di lei, perché lei mi guarda ‘interrogativamente, non capisce niente, per un momento sembra dubitare della mia buona fede, crede che abbia voluto scherzare. Ma lui continua imperterrito» si, tutte puttane; ora che vanno al mare, vogliono tutte la pillola, perché “sa, mio marito sta attento — mi dicono— mentre qualcun’ altro magari no…” E allora, cosa volete fare voi femministe, far prendere coscienza a queste donne?».
lo ammutolisco, la compagna più morbidamente cerca di spiegare che se la donna si comporta così, cioè non capisce il significato politico del contraccettivo, che non è quello di scopare con chiunque, ma di controllare la propria fertilità, è perché proprio chi dà la pillola, non spiega, la dà e basta, ma non fa prendere coscienza alla donna, non la responsabilizza. Insomma la donna è ancora una volta schiava del suo corpo, una volta restando incinta, ora lo è ugualmente, pur non correndo il rischio di restare incinta. Ma la colpa è di chi vuole tenerla schiava, una cultura, un potere maschile, che oggi ile dà anche l’illusione della libertà sessuale… Ma il professore non capisce. Anzi soggiunge che dalle donne non c’è mai stato niente da sperare, oggi, poi, sempre meno, «io sono aggredito dalle donne, sono loro che vogliono venire a letto con me» continua in un delirio di discorso sempre più incredibile, sempre più sconclusionato. Cerchiamo di fargli notare l’assurdità del suo atteggiamento, si giustifica dicendo «sono esausto, sono in piedi da due giorni solo a caffè e poi voi, siete come don Chisciotte, cosa volete mai fare?».
lo non capisco più niente, non mi rendo conto di cosa possa essere intervenuto nel frattempo, da un giorno all’altro, a farlo cambiare così. Mi sorge un dubbio, ma lo caccio subito; che sia così meschino? no, non è possibile. Ma la compagna di Padova lo esprime per me, uscendo, nell’aprire l’ascensore, dice: «certo che se non voleva sganciare quattrini, poteva trovare una scusa migliore, se non altro un modo che non lo facesse così imbecille come in realtà si è dimostrato». lo ancora oggi non capisco. Ma sarà proprio così imbecille da fare 1”imbecille quando avrebbe potuto dimostrare un pò di dignità? Oppure è soltanto, irreparabilmente imbecille?