forse non è completamente inutile
Dai 14 al 30 luglio avrà luogo al “Belle Center” di Copenaghen la Conferenza Mondiale del decennio delle Nazioni Uniti per la donna: Uguaglianza, sviluppo, pace.
Nel 1975, anno internazionale della donna, gli articoli pubblicati su Effe a proposito della Conferenza dell’ONU a Città del Messico, avevano denunciato la sostanziale inutilità di una iniziativa, il cui interesse reale “non risiedeva in quel che veniva detto sulla donna, ma nel gioco degli equilibri tra i vari paesi e i vari blocchi…”.
Anche la Tribuna parallela alla quale avevano partecipato le organizzazioni non governative, sembrava essere stata organizzata in modo tale da “rendere il più possibile innocua la questione… dando spazio alle leaders di un femminismo annacquato e irrisolto, che annaspa tra lo yoga e i canti di protesta, che si sperde in mille rivoli, chiedendo un giorno una cosa, un giorno un’altra-…” e quindi di fatto inutile, inefficace, inoffensivo.
La conferenza di Città del Messico era terminata però con una Dichiarazione molto puntuale e ben articolata sull’ eguaglianza delle donne e sul loro contributo allo sviluppo e alla pace. Si chiedeva di eliminare ogni forma di discriminazione non soltanto per mezzo delle leggi ma anche attraverso la rimozione di ostacoli culturali, utilizzando i mass media e la scuola. La dichiarazione di Città del Messico era integrata da un Piano d’azione, molto particolareggiato, su quanto avrebbero dovuto fare i singoli paesi a livello nazionale per migliorare a breve, medio e lungo termine, la condizione della donna.
In un giudizio retrospettivo, il giudizio che fu allora espresso risulta troppo severo. Oggi, infatti, anche se rimangono Ì nostri dubbi sull’azione di un organismo come l’ONU, superburocratizzato, tribuna di battaglie ideologiche e di potere, e sull’inutilità che spesso possono avere le centinaia di pagine sfornate ogni anno dalla stessa organizzazione, contenenti affermazioni e dati il più delle volte generici, bisogna ammettere che qualche cosa dopo Città del Messico ha cominciato a muoversi, soprattutto per le donne che vivono nei paesi del Terzo Mondo.
Non si tratta di un fatto marginale se si pensa che la stragrande maggioranza delle donne vivono in quelli che eufemisticamente vengono definiti “paesi in via di sviluppo” e che, seppur diversi per collocazione geografica, lingua, tradizioni, regimi politici, hanno in comune l’organizzazione dualistica dell’economia — economia tradizionale / economia moderna — e i problemi tipici del sottosviluppo: sottoalimentazione, malattie croniche, elevata mortalità infantile, frenetica urbanizzazione, adozione di modelli di consumo di imitazione occidentale.
In questi paesi, in maniera molto più netta di quanto non accada nel mondo occidentale, i problemi della condizione femminile appaiono inseparabilmente collegati a quelli di tutta la società, oltre che a quelli dello specifico gruppo sociale dì appartenenza.
Ciò detto, non bisogna tuttavia dimenticare che — pur nel quadro gravissimo del sottosviluppo generale della società — i problemi delle donne di questi paesi rimangono problemi specifici che dipendono non solo dal suo status economico-sociale, ma anche dal suo ruolo all’interno della famiglia.
La vita di queste donne è scandita dalle stagioni: la loro giornata non ha mai sosta. Non esiste tempo libero. Coltivare i campi, allevare il bestiame, raccogliere legna, andare a prendere acqua, trasformare i prodotti agricoli, cucinare, allevare i figli. Per queste donne un miglioramento nelle condizioni di vita è rappresentato da un pozzo d’acqua più vicino a casa o da una stufa al kerosene.
Si può obiettare che, nel Terzo Mondo, la vita degli uomini è anch’essa difficile. Ma è altrettanto vero che essi godono, nei confronti della donna dì un certo numero di privilegi. La struttura di queste società è basata essenzialmente sul concetto tradizionale di inferiorità della donna e sull’abitudine a negarle completamente ogni partecipazione attiva nella vita sociale. Una delle conseguenze positive della Conferenza di Città del Messico è stato perciò il riconoscimento dell’esistenza di una “questione femminile” come pur del fatto che non sempre il cosiddetto sviluppo economico porta automaticamente ad un miglioramento della condizione della donna.
In questi ultimi anni si sono intensificati gli studi e le ricerche sulla donna nei PVS, e pur dovendo rilevare che molto spesso le inchieste sono condotte in base ad ipotesi di partenza, metodi di analisi e strategie di intervento ancora lontani dalle realtà studiate (molto spesso infatti non sono le donne ad essere interrogate, ma i loro mariti, i capi famiglia, o i capi villaggio) si sta incominciando a colmare quel vuoto dì dati ed informazioni economiche e sociali che rendevano estremamente difficile ogni analisi-Molte agenzie di sviluppo hanno oggi un ufficio sulla donna. Si tratta spesso di un ufficio molto piccolo, con un budget limitato e che di norma funziona solo grazie alla buona volontà e agli sforzi delle donne che vi lavorano; ma essi comunque rappresentano un passo avanti rispetto alla situazione di cinque anni fa.
Serva come esempio l’Ufficio dell’Adviser on Women in Development, creato presso la Banca Mondiale, (e che riteniamo forse il più utile e quello da imitarsi) che ha come compito di esaminare i progetti di sviluppo durante il loro stadio iniziale di preparazione, per valutare se gli stessi rispondono ai bisogni delle donne, e per stabilire il loro impatto sulla condizione della donna come parte dell’analisi costi e benefici.
Tutti i progetti che riguardano il campo dell’istruzione sono così esaminati, come pure quelli che riguardano lo sviluppo agricolo e rurale, lo sviluppo urbano, la piccola industria (soprattutto le attività artigianali), la salute, la nutrizione e il controllo delle nascite. L’utilità di questo ufficio potrà essere valutata con precisione solo tra qualche anno quando i progetti da esso approvati saranno stati terminati. Sì spera che in tal modo vengono evitati casi come quelli in cui l’introduzione di tecnologie moderne si è risolta in un aumento del carico di lavoro della donna e in un peggioramento del suo ruolo economico e sociale.
Le idee circolano, e non c’è oggi conferenza internazionale sullo sviluppo economico — e non solo quelle organizzate per il decennio sulla donna — che non sì concluda con la constatazione che non c’è stato abbastanza progresso e con una serie di raccomandazioni che riguardano la posizione della donna nella società.
E’ troppo facile liquidare tutto ciò con l’argomento — di natura qualunquistica — che si tratta del solito bla-bla-bla e che le agenzie di sviluppo, nazionali o internazionali che siano, svolgono soltanto un’azione di neocolonialismo e di imperialismo economico e di spionaggio nei confronti dei PSV.
A Copenhagen, dove — dal 14 al 30 luglio — avrà luogo la seconda conferenza del decennio per la donna, organizzata dall’ONU, sarà possibile fare una prima valutazione delle iniziative e dei progetti in corso. Particolarmente utile saranno i documenti preparati dall’Istituto Internazionale di Ricerca e Sviluppo per la Promozione della Donna, creato con i contributi di alcuni stati nel 1976 e concepito come una clearing house di dati per la elaborazione e la diffusione di informazioni sui programmi, sulle azioni e sulle organizzazioni che sì occupano delle donne.
“A Copenhagen sarà vitale cercare di stabilire una maggiore comprensione tra le diverse regioni del mondo, cercando di individuare i tratti comuni che esistono tra dì loro — ha detto Lucilie Mair, segretaria generale della conferenza — …i problemi riguardanti la condizione della donna, i rapporti delle donne con gli uomini, con le loro società e le loro economie, saranno l’elemento unificante tra donne provenienti da varie regioni e da stati con diversi regimi politici”. Per questo a Copenhagen sarà essenziale l’interazione tra Assemblea — dove è inevitabile che le singole delegazioni, formate dai rappresentanti dei Governi, si concentrino sulla loro esperienza nazionale e cerchino di dare priorità alla politica dei loro governi — e la Tribuna, dove le donne provenienti dai vari paesi potranno discutere sugli stessi temi con maggiore libertà e senza le costrizioni ufficiali.
Per questo riteniamo importante che il pubblico dei paesi membri dell’ONU che parteciperanno a livello governativo e non governativo sia informato sulla conferenza e sui suoi sviluppi. Nel nostro paese niente è stato fatto in tal senso. Nessun giornale o altro mezzo di comunicazione ha per esempio dato notizia della Convenzione adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 18 dicembre 1979 e che diverrà operante dopo la ratifica di almeno venti paesi. Questa Convenzione sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne può servire come punto di riferimento per i gruppi e le organizzazioni di donne all’interno dei vari stati, soprattutto di quelli in cui più lentamente le idee femministe si vanno facendo strada.
Non riteniamo dunque inutile andare a Copenhagen e portare la nostra voce e la nostra esperienza e confrontarla sia con quella di donne che vivono in paesi più simili al nostro, sia con quella di donne che vivono in realtà sociali ed economiche molto dissimili, cercando di far sì che uguaglianza, sviluppo e pace — i temi base della conferenza — non siano parole vuote di significato ma rappresentino obiettivi di lotta concreta.
Solo le donne possono stabilire l’unità attraverso la diversità e possono cercare di raggiungere una comprensione tra di loro senza negare questa loro diversità. Il femminismo questo lo sta già facendo da diversi anni