creatività

il vaso di pandora

«la funzione sociale dell’artista non deve rimanere confinata in un’astratta teoria ma diventare uno strumento per comunicare con le altre donne soprattutto con quelle che non hanno ancora preso coscienza della nostra condizione di oppresse e del grado della nostra oppressione».

ottobre 1977

siamo un gruppo di donne artiste napoletane che ha deciso di lavorare insieme, più per la specificità di essere donne che per quella di essere artiste. Vogliamo dire che abbiamo costituito il gruppo non sulla base di una comune linea di tendenza formale ma sulla base di una linea politica, e per politico intendiamo tutti i bisogni e le problematiche nuove e rivoluzionarie di cui le donne sono portatrici nella società contemporanea.
Ognuna di noi ha fatto delle precedenti esperienze artistiche individuali che certamente non rifiutiamo, anzi continuiamo a praticare parallelamente al lavoro di gruppo per arricchirlo maggiormente del nostro contributo culturale e formale e per trovare un linguaggio finalmente femminile.
Ci siamo rese conto però della difficoltà di creare un segno da donna e per le donne rimanendo nel chiuso dei nostri studi, dove anche con le migliori intenzioni si corre il rischio di ottenere una gratificazione narcisistica di tipo maschile e favorire pratiche di mercato che ci dividono, ci rendono competitive, e ci indeboliscono come soggetti storici.
Noi vogliamo che la funzione sociale dell’artista già tante volte prospettata non rimanga confinata in un’astratta teoria, ma diventi per noi uno strumento per comunicare con le altre donne, soprattutto con quelle che non hanno ancora preso coscienza della nostra condizione di oppresse e del nostro grado di oppressione.
Non vogliamo che la nostra creatività rimanga confinata nella sfera dell’estetico ma vogliamo che impronti tutta la nostra vita, che diventi coscienza di una nostra identità che diventi un mezzo di comunicazione politico che metta in discussione gli equilibri che consentano il consumo del prodotto estetico.
Naturalmente sarebbe falso dire che fra di noi esiste un idilliaco consenso sulle scelte e sui modi di operare.
A volte abbiamo tempi diversi per la maturazione di certi problemi, altre volte qualcuna di noi ha bisogno di isolarsi per una necessità di riflessioni o per motivi che riguardano la sua sfera personale.
Comunque il gruppo ha una sua tenuta e da questo alternarsi di contributi creativi deriva il suo carattere aperto, dialettico non settario e disponibile ad altre aggregazioni.
Eravamo in cinque quando abbiamo progettato e realizzato l’azione del vaso di Pandora (Mathelda, Eia, Rosa, Bruna, Anna).
Abbiamo voluto riattraversare il mito, all’inverso, stravolgerlo e riproporlo come una favola (ma non troppo) raccontata da donne alle altre donne.
L’occasione ci è venuta dall’invito a partecipare al 4 giugno popolare vesuviano.
Allora ci siamo recate a S. Giuseppe Vesuviano e a Terzigno e con l’aiuto di una compagna del luogo abbiamo cominciato a prendere contatto con le donne di un rione.
Vi spieghiamo il mito e l’azione così come l’abbiamo trascritto nel manifesto (vedi foto n. 1).
Secondo il mito greco il mondo era popolato unicamente dagli uomini che vivevano felici sulla terra; Prometeo che li aveva creati senza il consenso di Zeus, rubò il fuoco sacro dall’Olimpo per animare con quello le sue creature: e allora Zeus, adiratissimo, decise di punire il colpevole, e con lui tutti gli uomini.
Ordinò ad Efesto di creare con la creta una figura femminile che non avesse nulla da invidiare alle dee per la bellezza: l’opera riuscì superiore ad ogni elogio, e la donna (la prima donna mortale) fu chiamata Pandora che significa «tutti i doni» perché gli dèi l’adornarono dei doni più vari. Atena le diede il cinto e le vesti, le Grazie e Pito i monili d’oro, le Ore corone di fiori, ma Mercurio, dietro suggerimento di Zeus, le diede l’astuzia, la capacità di mentire e la superficialità.
Zeus infine le fece il regalo superiore a tutti gli altri: un vaso contenente tutti i mali, da destinare all’umanità. Pandora arrivata sulla terra, tolse il coperchio al vaso e i mali si sparsero per il mondo.
Rimase nel vaso solo la Speranza, perché Pandora riuscì a chiudere il coperchio prima che fuggisse anch’essa.

Ma da poi ch’ebbe Pandora
di propria mano
scoperchiato il vaso,
che i mali in sé chiudea,
questi si sparsero
tra i mortali
e sol dentro vi rimase
all’estremo dell’orlo
la Speranza, perché
la donna subito,
il coperchio riposto,
il volo a lei contese.
A stuolo a stuolo
vagano intanto i mali,
e n’c ripiena la terra e il mare;
assalgono le genti
il dì e la notte
insidiosi e taciti…

Noi capovolgiamo il mito; abbiamo costruito il vaso con le nostre mani, e sarà riempito dei mali che raccoglieremo andando in giro per il mondo.
Giriamo per le case e le strade, parliamo con le donne, non accettiamo la leggenda maschile che vuole la donna rovina dell’umanità; i mali sono stati creati direttamente da Zeus che ne fece clono al mondo e soprattutto alle donne; ma noi donne vogliamo rimandargli indietro il regalo’, e una volta riempito il vaso dei mali che siamo riusciti a raccogliere dopo lunga ricerca, lo rispediamo all’olimpo con una lunga corda e una carrucola, lasciando sulla terra la Speranza per tenerla sempre con noi come arma nel caso qualche altro male che non siamo riuscite a trovare e ci fosse sfuggito e vaghi ancora per il mondo.
Rivalutiamo il termine Speranza che per noi non è incompatibile con la lotta: Speranza non come attesa passiva, ma come fiducia, partecipazione, impegno.

Ma da poi ch’ebbe Pandora
di propria mano
ritrovato i mali,
nel vaso li chiudea,
questi che sparsi erano
tra i mortali
e sol fuori lasciò
sulla terra
la Speranza, perché la donna subito,
il coperchio levando,
il volo a lei concesse.
A stuolo a stuolo
raccolti infine i mali,
a Zeus furon mandati
per liberare la terra e il mare…

L’azione si è svolta nel quartiere «La Zabatta» di S. Giuseppe Vesuviano; ha richiesto da parte nostra un’indagine preliminare e un intervento politico nel quartiere: scelta del luogo (il cortile a viti) contatti con le donne: casalinghe, lavoranti a domicilio, bambine; studio della struttura architettonica del luogo, di tipo spontaneo, rustico, mediterraneo, adatta al mito antico da rappresentare.
Abbiamo costruito il vaso con carta pesta, garza, colla, duco e lustrini.
Il racconto viene comunicato oltre che per iscritto (su fasce di garza) anche a voce: il sistema della trasmissione orale appartiene tradizionalmente alle donne: le nenie, le favole, le canzoncine, le ninne nanne, le storie sono state raccontate e trasmesse di generazioni in generazioni.
Vogliamo recuperare questo tipo di comunicazione, più immediato e partecipativo, accoppiandolo al messaggio scritto e all’immagine, come fanno i cantastorie.
Il manifesto n, 2 lo abbiamo realizzato in occasione del convegno di Bologna sulla repressione.
È una spirale di repressioni che ha la sua origine nel maschio.