la conferenza dell’ONU
L’Italia non è menzionata in quasi nessuno dei documenti ufficiali che saranno presentati a Copenhagen. Un questionario preparato dall’ ONU per valutare i progressi realizzati nei vari Stati si è perso nei meandri dei Ministeri.
La seconda Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulla donna avrà luogo a Copenhagen dal 14 al 30 luglio. E’ la prima volta che le Nazioni Unite organizzano due conferenze sullo stesso tema nell’arco di cinque anni.
L’obiettivo è di fare il bilancio dei risultati ottenuti in occasione dei primi cinque anni del decennio delle Nazioni Unite per la donna (1976-1985), esaminando i progressi realizzati e gli ostacoli incontrati nell’attuazione del piano mondiale d’azione approvato a Città del Messico e fissare, per i prossimi cinque anni, un programma preciso orientato verso l’azione e basato in particolare sui temi del lavoro, sanità, istruzione. La conferenza è stata preceduta da cinque riunioni a livello regionale. E’ stato quindi possibile identificare i problemi comuni ad ogni area geografica e studiare i programmi di azione necessari. Altri due questioni sono state tuttavia aggiunte per la discussione a Copenhagen: la condizione della donna palestinese e quella delle donne che vivono in apartheid. Si tratta di forzature, per far rientrare in una conferenza sulla donna temi di propaganda politica “terzomondista”. Perché allora non discutere della condizione della donna nei paesi islamici o delle-donne nell’Afghanistan occupato o delle donne sovietiche internate in manicomio per ragioni politiche, o delle migliaia ‘ di donne sudamericane sparite perché si opponevano alle dittature militari? Il rischio naturalmente è che questi temi di politica più generale possano distrarre l’attenzione della Conferenza dal suo scopo principale. Ma se l’assemblea vuole discutere anche temi più propriamente politici, varrà la pena che la delegazione italiana proponga di allargare il discorso all’intero arco di problemi dei diritti civili, della cui violazione le donne sono spesso vittime.
Per quanto riguarda la documentazione, lo strumento base è stato un questionario su 53 pagine inviato a tutti gli Stati membri. 86 paesi hanno risposto. Tra questi brilla per la sua assenza l’Italia. Al Ministero degli esteri si sta ancora lavorando alle risposte… e nel frattempo i documenti che saranno discussi sono già stati stampati e l’Italia non è mai menzionata. E’ come se in questi ultimi anni nel nostro paese non sia esistito un movimento delle donne e nel campo del lavoro, della salute e dell’istruzione non si siano ottenuti dei risultati o soprattutto non ci siano ancora molte cose da cambiare. Il fatto appare ancora più scandaloso se si considera che per un certo periodo è esistito un sottosegretariato alla condizione femminile che almeno di queste pratiche “burocratiche” avrebbe potuto occuparsi.
Al Ministero degli Esteri si sono tenute nel mese di maggio alcune riunioni per organizzare la delegazione ufficiale e decidere quale sarà la posizione del governo italiano. Naturalmente nessun gruppo o collettivo femminista era presente.
Molte proposte potrebbero essere fatte:
che una quota obbligatoria del Reddito Nazionale Lordo di ciascun paese occidentale sia destinata ai programmi di aiuto e assistenza ai paesi in via di sviluppo e che una percentuale di tale somma sia riservata ai programmi per la donna;
che presso ogni organismo di cooperazione venga istituito un ufficio avente il compito preciso di valutare Ì progetti di sviluppo dal punto di vista del loro impatto sulla condizione della donna;
che una volta ratificata la Convenzione contro le discriminazioni, la si faccia conoscere in tutte le scuole e uffici pubblici;
che presso ogni governo venga costituito — con un budget adeguato — un apposito ufficio di documentazione in cui convergano tra l’altro tutti i dati e le informazioni riguardanti i programmi e le varie iniziative prese a favore delle donne;
che questi uffici mantengano un rapporto di stretta collaborazione con l’Istituto Internazionale di Ricerca e Sviluppo per la promozione della donna, che avrà sede nella Repubblica Dominicana e che dovrà operare il coordinamento a livello internazionale;
che ogni paese contribuisca al finanziamento di tale istituto e che l’Italia in particolare non si limiti a sottoscrivere una quota simbolica, come ha fatto;
che il primo decennio per la donna venga seguito da un secondo decennio, in quanto è impensabile che progressi sostanziali vengano raggiunti in un così breve lasso di tempo.
Queste sono soltanto alcune proposte, ma molto potrebbe ancora essere fatto e l’Italia potrebbe dare un valido contributo di idee alla Conferenza di Copenhagen, se soltanto ci sarà la volontà politica.