la donna manda al diavolo il poeta
«Aphra Behn aveva un carattere aperto e generoso, a volte molto appassionato, sempre pronta ad aiutare i suoi amici. Era arguta, una donna di onore, simpatica e molto riflessiva…
Era padrona di tutte le piacevoli arti della conversazione ma le usava solo con coloro che amava completamente».
Così un biografo del ‘700 descrive la personalità della prima donna scrittrice inglese che riuscì a guadagnarsi da vivere scrivendo. Molte altre donne prima di lei avevano scritto romanzi, poesie, commedie, ma lo scrivere per loro era stato più un passatempo letterario, un amore per l’arte, nessuna ne aveva fatto fino ad allora una professione. Ancora più eccezionale è la sua figura se si considera che visse in un periodo storico, il 1600, in cui le donne, anche quelle di buona famiglia, erano praticamente analfabete. Aphra Behn conosceva il francese, l’italiano ed il latino, fece numerose traduzioni da queste lingue e nel corso della sua carriera produsse una consistente mole di lavoro: una ventina di commedie, quindi fra romanzi e racconti, poesie ed anche saggi critici.
Aphra Behn nacque a Wye, un paesino vicino Canterbury nel 1640. I primi anni della sua vita sono circondati da un alone di mistero perché le fonti dell’epoca sono spesso contraddittorie. Non si sa se fu figlia di un barbiere o di un funzionario dell’alta borghesia e non si sa nulla della sua infanzia. Quasi certo sembra invece, anche se c’è chi lo mette in dubbio, che durante la sua prima adolescenza si trasferì con tutta la famiglia nella Gualana Olandese (il Suzinam), che allora era una colonia inglese. Furono proprio i ricordi di questo periodo vissuto fra “i selvaggi”, ohe la ispireranno per il suo capolavoro, il romanzo “Oroonoko”, scritto poco tempo prima di morire, «in poche ore», come lei stessa dice, quando oramai da tempo era divenuta la “divina Astrea” dei teatri di Londra. A quarantotto anni, ricordando la sua adolescenza descrisse la natura selvaggia di quei luoghi, le foreste gli armadilli e la sua amicizia con uno schiavo di stirpe reale, Oroonoko che, anche se negro e pagano si dimostrerà più giusto e leale di molti funzionari del governo inglese.
Tornata a Londra, sposò un mercante inglese, un certo Behn appunto, che la introdusse alla Corte di Carlo II. Aphra era bella, intelligente, arguta e maestra dell’arte più apprezzata a quei tempi, quella del conversare. Si racconta che intrattenne spesso il re ed i nobili di corte con i suoi racconti delle esperienze vissute nel Surinam. Non abbiamo quasi nessuna notizia di suo marito, si pensa quindi che sia morto molto presto, forse vittima della catastrofica peste di Londra del 1666. Aphra non parlò mai di lui nei suoi scritti, possiamo quindi immaginare che, appena tornata dal Surinam, allora ancora molto giovane, fosse stata obbligata a questo matrimonio dai parenti e che non fu un’unione felice. A confermare questa supposizione sta il fatto che, quando scrivendo divenne famosa, in tutte le sue commedie condannò con insistenza i matrimoni fatti per interesse e stipulati dietro la pressione dei parenti. Vedova e senza un soldo, sfruttando le conoscenze ohe aveva a Corte riuscì ad entrare a lavorare al servizio del re e fu inviata come spia ad Anversa, per controllare i piani marittimi degli olandesi. Dopo il suo inusuale viaggio nel Surinam, la sua vita si arricchisce di un’altra particolare esperienza, ma questa volta Aphra si trovò ben presto in difficoltà: nonostante ella fosse riuscita a mandare alla Corte di Londra molte proficue notizie, il re ed i funzionari di Corte non le inviarono mai nessun aiuto economico.
Negli archivi di Corte ancora oggi sono conservate molte lettere che Aphra inviava al re per richiedere i compensi che le spettavano. Solo grazie alla sua intrapendenza, la nostra scrittrice riuscì ad ottenere un prestito e a tornare a Londra dove di nuovo si trovò in difficoltà per restituire i soldi che le erano stati prestati. -«Signore, se lei potesse immaginare le pene del mio animo sono sicura che avrebbe pietà di me. Domani dovrò essere rinchiusa in prigione, il tempo è scaduto e, nonostante abbia cercato in ogni modo fino a ieri di avere ancora un po’ di giorni di libertà, non è stato possibile perché, dicono che sto perdendo tempo… Mi sento come morta, vorrei avere il coraggio di andare dal re e non alzarmi finché non ha pagato per i miei debiti, ma mi sento malata e debole e non riesco a farlo…». Così scriveva a Lord Killigrew uno dei funzionari di Cirthe ohe aveva curato la sua misisone ad Anversa. Ma tutto fu inutile, ed Aphra fu rinchiusa in prigione. Il suo soggiorno nelle prigioni londinesi però non fu molto lungo, qualcuno pagò per lei e dopo questa sventura iniziò il .periodo più felice e più brillante della sua vita. Aveva allora circa trent’anni e aveva vissuto intensamente, non senza momenti difficili e soprattutto questi anni le avevano insegnato a cavarsela, ad ottenere quello che desiderava, sapeva quello che voleva: fama, successo, amore, era cosciente che le sue due più importanti qualità erano il suo fascino e la sua penna e non si fece più alcuno scrupolo nell’usarle per ottenere ciò che voleva.
In breve tempo Aphra Behn divenne una scrittrice di teatro di fama. Nel 1670 venne rappresentata la sua prima commedia “The forced marriage” (Il matrimonio forzato). Le sue opere teatrali venivano replicate anche per cinque o sei giorni, e questo era un grande successo in quell’epoca, quando anche le commedie di Dryden non venivano rappresentate mai più a lungo di una settimana. Dal 1670 al 1680, Aphra, quasi ogni anni, scrisse e rappresentò una commedia e tutte le sue opere riscossero una grande popolarità. La “divina Astrea”, così veniva chiamata dai suoi ammiratori, era arnica di Dryden, Congreve, Etherege, di tutti i maggiori drammaturghi di quell’epoca. Nonostante la stima che era riuscita a guadagnarsi e l’ammirazione di molti, non le mancarono certo critiche e accuse da parte di altri che guardavano con risentimento e pregiudizio il fatto che una donna si mettesse in competizione con gli uomini, letterati da sempre, nello scrivere; e nessuno ormai poteva negare ad Aphra Behn di essere una vera professionista del teatro. La critica più grave che le veniva rivolta era quella di scrivere in maniera oscena e sconcia. Non si può negare che, come in tutte le opere teatrali della sua epoca, nei suoi scritti non ci siano battute a doppio senso, volgarità, ma erano proprio queste le cose che il pubblico amava maggiormente per le quali si divertiva. Aphra scriveva perché voleva avere successo, guadagnare, affermarsi socialmente. Diversamente da quello che avevano fatto tutte le donne ohe avevano scritto fino ad allora ella non scrisse mai (o quasi mai) per esprimere i sentimenti del proprio animo, per raccontare la propria storia; le sue opere, ed in particolare le sue opere teatrali, rispecchiano completamente le regole del teatro della sua epoca, ed anche le battute a doppio senso facevano parte del gusto di allora, Perché allora accusare Aphra di “una colpa” ohe era di tutti gli scrittori? Ma Aphra già nel 1600 sapeva bene difendersi da sola, e sapeva che la causa degli attacchi che le venivano fatti era solo dovuta al suo sesso.
Nel 1686 pubblicò “The Lucky Chance”, la sua ultima opera teatrale preceduta da questa introduzione: L’impegno che ho preso con alcuni poeti della ditta mi ha messo nelle condizioni di dover difendere la mia commedia dagli attacchi che le sono stati fatti, dalla malizia e dalla natura malvagia di alcuni.
Questi dicono che non sia adatta alle signore come se le signore fossero obbligate a sentire le indecenze solamente dalle loro penne e nelle loro commedie; quando, alcuni di loro, le hanno trattate altrettanto rudemente senza ricevere di questo il minimo rimbrotto; alcune delle loro commedie più elaborate le hanno intrattenute con cose che le avrebbero fatte arrossire alla sola lettura. Eppure non se ne tiene conto perché sono state scritte da un uomo; arrossirebbero invece se le stesse cose provenissero da una donna.
Se avessi un giorno o due di tempo da perdere — e non è facile perché ho avuto a mala pena il tempo di scrivere questa introduzione — raccoglierei tutte le vostre amate commedie e tutto ciò che viene in queste sorvolato solo perché sono state scritte da uomini. Simili iniziative maschili a me non sono permesse. Ma è inutile convincere i critici ostinati con argomenti razionali o con esempi dal momento che il loro mestiere è trovare difetti se non addirittura inventarli con fervida e grossolana immaginazione; se non trovano una facezia se la devono inventare.
E avrò il coraggio di dire ciò che segue anche se contrari alla mia natura perché pecca un po’ di vanagloria: se le commedie che ho scritto fossero state firmate da un uomo e se non si fosse mai saputo che erano mie — mi appello ad un imparziale buon senso — avrebbero detto che queste commedie sono eccellenti così come sono quelle scritte da un uomo qualsiasi in questo periodo. La donna manda al diavolo il poeta.
Tutto ciò che chiedo è il privilegio per la mia parte maschile, il poeta che è in me, di percorrere gli stessi sentieri che i miei predecessori hanno seguito, di usare gli stessi ritmi a cui gli scrittori antichi e moderni mi hanno iniziato e coi quali hanno allietato il mondo. Se, a causa del mio sesso, non mi è possibile avere questa libertà — libertà che mi usurpate per tenerla tutta per voi — depongo la penna e non sentirete più parlare di me.
Abbiamo detto che Aphra scrittrice di teatro rispecchiò interamente le regole della sua epoca, però differentemente da tutti i suoi colleghi, Aphra mantenne sempre un filo conduttore una sorta di insegnamento morale in tutte le sue opere: tutti i suoi scritti denunciano la tirannica ingiustizia dei genitori che obbligano i figli a matrimoni forzati, non scelti. Incita tutti, uomini e donne a sposarsi solo per amore. “Il matrimonio è la rovina dell’amore come per l’amicizia è fatale il prestare soldi”.
Dal punto di vista politico il personaggio di Aphra Behn può apparire strano, ambiguo, confuso, ma per comprendere correttamente la sua posizione bisogna calarsi nella realtà sociale di quel tempo. In quegli anni, che sono quelli del periodo della Restaurazione, i tories più degli whigs appoggiavano l’arte e gli artisti, ed in particolar modo il teatro; quini Aphra come tutti gli scrittori teatrali della sua epoca fu molto vicina alla casa reale, e fu una Tory. Le sue idee personali, la sua visione del mondo, però si distaccarono molto dalla ristrettezza conservatrice del moralismo dei Tories. Aphra rivendicava per tutte le donne il diritto di sposarsi per amore, le spingeva a contraddire il desiderio dei parenti. Con la sua vita e il suo lavoro dimostrò che anche il “gentilsesso” poteva rivendicare uno spazio sociale ed economico. Nei suoi scritti condannò la falsità della religione e le ingiustizie compiute in suo nome, la mancanza di onore, la slealtà e la tirannia di molti governanti. Il suo romanzo “Oroonoko” fu la prima opera di denuncia dello schiavismo e del razzismo.
I suoi rapporti con i suoi amici, con gli uomini erano sinceri, non avevano pregiudizi morali, per lei “tutti i desideri di amore reciproco erano virtuosi”. Si innamorò spesso, ma forse un solo uomo rappresentò per lei una vera e propria passione amorosa, un certo John Hoyle che però non ricambò mai completamente il suo amore. A lui dedicò questa poesia:
L’amore è assiso in favoloso trionfo
e strisciano intorno a lui cuori insaguinati
per recenti ferite da lui stesso generate,
rivelando degli strani e tirannici poteri:
dai tuoi occhi luminosi prese il suo ardore
che poi, scherzando, lanciò un po’ dovunque
Ma dai miei carpì il desiderio
quanto ne bastava per mandare in rovina il mondo dell’amore
Da me egli ha carpito singhiozzi e lacrime,
da te il suo orgoglio e la crudeltà;
Da me gli struggimenti ed i terrori
mentre a te ogni freccia capace di uccidere
In questo modo sia io che te abbiamo fortificato il dio
rendendolo divinità;
ma ora solo il mio povero cuore è addolorato,
vittorioso e libero il tuo”.
Irene Agnello e Marina Tomaghi
Alla metà di aprile si potrà trovare in libreria il romanzo di Aphra Behn “Oroonoko”, pubblicato dalla Amanda Editrice, a cura di Marina Tomaghi ed Irene Agnello.
“Oroonoko” è il primo romanzo moderno di denuncia dello schiavismo e del razzismo, in questo sta la novità dell’opera che si stacca nettamente dalla tradizione del romanzo seicentesco e settecentesco, che non aveva mai prima di allora affrontato simili temi.