rai: rete tre
“la parola donna”
«per tutto l’inverno e la primavera scorsi il lunedì mattina siamo andate al microfono del terzo programma della Rai. Avevamo il diritto a parlare per quindici minuti e poi di aspettare le telefonate per un’ora. All’inizio questa possibilità c’è sembrata enorme, poi ci è sembrata sempre più piccola e insufficiente; lo spazio l’abbiamo chiamato “la parola donna”».
Elena lavora alla RAI, è giornalista di professione e da due anni cerca, con la caparbietà tipica di chi è nato come lei sotto il segno dell’ariete, di ottenere piccoli spazi radiofonici per il movimento femminista; non quello del salario, non quello dei radicali, non quello della sinistra, ma tutto il movimento delle donne. Al microfono si sono succeduti collettivi di alcune città, collettivi di quartiere, donne con particolari esperienze su qualche argomento.
Chi ascoltava ha reagito chiamando, dandoci ragione o torto, chiedendo indirizzi per collegarsi a collettivi e ai gruppi di donne più vicini. Noi abbiamo dato più indirizzi che pareri, abbiamo tagliato corto con 1 maschi che invece telefonavano per parlare bene o male del femminismo. Con le linee occupate dagli uomini si friggeva perché una donna poteva non avere un contatto; forse non lo avrebbe poi trovato tanto facilmente. Per gli indirizzi l’unico strumento da usare era Effe. Ci siamo rese conto allora quanto un po’ di organizzazione {tanto malvista) qualche volta sia indispensabile. Il gruppo inizialmente era costituito da 8 donne più Elena che era la RAI. Da principio non si riusciva a vedere in Elena, non dico una femminista, che tanto settarismo mi è noto, ma una donna. Come poteva un funzionario RAI essere una donna? Dietro lei vedevamo macchinazioni, via del Babuino, i soldi da dividere; insomma quello che ha sempre divise anche le donne cioè il potere. Ci sono voluti mesi per digerire che la trasmissione era veramente in diretta, che era veramente uno spazio libero, che Elena si intestardiva perché quella cosa non le sembrava rendesse al microfono e non perché glielo consigliava il grande capo. Poi con i grandi e piccoli capi abbiamo avuto a che fare tutte: tutto il gruppo ha sentito lusinghe, promesse, dinieghi e infine silenzi, sì, perché questa storia è finita così senza che nessuno si degnasse di chiamare queste 8 donne che avevano «collaborato» con la RAI per tanti mesi, senza che si sapesse se la trasmissione riprenderà, da qualche giornalista maschio (tutto è possibile), se ci hanno censurate.
A Elena è stato comunicato a un certo punto che alla fine di giugno tutte le trasmissioni sarebbero state ristrutturate senza che sulla nostra si dicesse niente e niente si è più saputo. Le promesse erano state tante e non ce le aveva fatte l’usciere. Ad un certo punto sembrava ci volessero far condurre un’ora intera il lunedì, poi mezz’ora il lunedì e mezz’ora il giovedì, poi abbiamo tremato di spavento: sembrava ci volessero dare due ore a settimana. Il tutto condito da ore in attesa del capo che non si ricorda l’appuntamento, che ha cose più importanti da fare. Abbiamo comunque conservato per tutto il tempo i 15 minuti iniziali qualche volta stiracchiati a 20. Non tutto è sempre andato bene ma a mano a mano che arrivavano i problemi e la stanchezza la formula della trasmissione ci si è cambiata da sola nelle mani.
Le prime trasmissioni le abbiamo fatte noi otto con tante cose da dire elaborate da anni nei collettivi dove avevamo lavorato. Poi ci siamo sentite «le esperte» ed era arrivato il tempo di dare voce alle altre. Abbiamo organizzato così la presenza dei collettivi di Lauria (Salerno) dove si teneva un processo per aborto, del consultorio di San Lorenzo (Roma), del gruppo «per la salute della donna» e tanti altri.
Quale criterio usavamo nello scegliere un gruppo? Il caso, la richiesta, l’urgenza di un avvenimento. Unica discriminante (e per questo forse non ci hanno molto amate nella RAI) era che i gruppi fossero di femministe autonome da partiti o ideologie. Alla RAI ci sono altri spazi dedicati alle donne, anche spazi in cui si parla di femminismo, ma non ci sono spazi per il movimento femminista, questo pezzo di storia così difficile da definire ma non per questo poco concreto. Noi quando parliamo di movimento femminista non abbiamo problemi a capire di che cosa si parla. Un piccolo capo un giorno ci ha anche chiamate intorno ad un lungo tavolo in una stanza fredda e ci ha posto il grande quesito: di quale realtà eravamo rappresentative? perché non chiamavamo mai l’UDI o l’MLD? E noi per amore di questo spazio dai a fare lezioni di storia del femminismo a questo uomo che non ne sapeva niente ma che pur si sentiva tanto esperto da criticare. La nostra forza, dicevamo, è che noi non siamo legate a questo o a quel partito, che siamo femministe e per ora basta. Spazi di donne di partito alla RAI ci sono; gliene troverete altri se non altro per dire che questo o quel programma ha una femminista in più ai microfoni; ma chi aveva organizzato uno spazio per i gruppi che fanno lavoro femminista e non politica sulle donne? Ma questa nostra forza è stata rispetto alla RAI la nostra debolezza. I partiti si spartiscono tutto ormai: dai ministeri alle banche, alla RAI. Per il movimento non c’è spazio perché chi lo controlla? e poi neppure la censura che pure avremmo credo in parte accettata non è per loro sufficiente. Il pericolo è proprio fare usare la RAI dalle femministe come loro strumento per un loro collegamento nazionale. Così la RAI ha oggi un aggancio in meno con la realtà, noi siamo tornate ai nostri posti di lavoro creative più che mai. Elena aspetta un figlio.