l’ombra e il principe
Nulla più si agita dentro di me il cielo sta poco a poco riconquistando il suo spazio. Lo sento salire dalle unghie dei piedi, mi accorgo che anche le ginocchia e le spalle ne sono piene. I muscoli che rendono tesa la faccia, dolente il collo sembrano ora addomesticati, si lasciano andare quasi gioiosi. Poi, d’un tratto, la mente si libera, pensiero si tira in disparte. Suoni, colori, profumi, sensazioni spogliati dal consueto chiacchiericcio cominciano ad essere.
Valeria non nasconderti dietro i soliti intellettualismi. Quando parli in questo modo non ti capisco. Cosa vorresti dirmi che a me povero ignorante non -è possibile giungere a tanto! Non ne ho bisogno. Ecco ti tocco, la mano è sul seno. Ho voglia di te, ogni tua parte questa sera deve essere mia.
Il fuoco sbadiglia e fumo ardente esce dal camino.
11 tuo odore Gianni, strofino il naso dietro le orecchie e ti conosco, riconosco questo odore. Anni, mesi, vite, lo so ci sono nata con il tuo odore e l’ho riconosciuto sai quella notte quando contando le stelle ti incontrai.
Ora lo sguardo di Gianni è compiaciuto, gli occhi non tentano più di scrutare qualcosa che .non c’è ma si infilano placidamente nei miei a chiedere non puoi fare a meno di me? Sono e sarò sempre l’uomo che ami? Sii gentile abbandonati completamente, in fondo lo vuoi anche tu.
L’attimo prima il pensiero cercava attenuanti, tentava di creare un avvicinamento diverso, si raccontava che la resistenza è dei forti. ‘Poi l’attimo cadde malamente e pensiero aggirò l’ostacolo coccolandosi all’idea di essere carezzato giù sempre più giù e ancora più intensamente tanto da confondere gli attimi che sarebbero potuti tornare.
Era la solita recita. Potevo cambiarle titolo, perché no, attori, potevo addirittura fare di me la protagonista, languida amante e già la gamba si allunga a sfiorare la sua la mano penetra nel collo della camicia, le labbra chiudono parole ovvie, ripetute per un pubblico ottuso.
Mi alzo, spengo la luce, mi spoglio, i cuscini sono per terra, il fuoco, i gesti. Il corpo prima goffamente poi sicuro impone il suo ritmo.
Il racconto di ieri sera è finito Paola. Sono accovacciata su uno dei quattro materassi di gommapiuma resi differenti dai colori delle stoffe e dai cuscini che vi galleggiano. Non ho scarpe. Stuoie e tappeti affollano il pavimento. C’è anche il brutto muso di un drago. La lingua penzoloni, rossa ma bordata d’oro. Paola, l’incomprensibile creatura dai capelli sensibili al benché minimo respiro mi guarda. Le gambe incrociate, le mani abbandonate sul grembo.
Chiudi gli occhi Valeria mi dice e riscrivi la serata come avresti voluto viverla. Conta lentamente da cento a uno, avrai voglia di dormire, di sognare… C’è nebbia, un ponte bianco, un viottolo che porta al fiume. Canneti. La rana si gonfia, si gonfia, esplode: frammenti di luna galleggiano sul fiume a riformare un’immagine notturna. Alzo la gonna fin sopra le ginocchia per attraversare il fiume. I piedi si tingono di ombre, un pesce si strofina alla caviglia. La mano non è abbastanza lesta, il pesce è sotto un sasso. Un coniglio esce dal canneto, mi strizza l’occhio poi si gira. Lo seguo di corsa oltre il ponte, oltre i tetti delle case, oltre la strada fino ad un prato. Alba ha sbadigliato, fiori, erba, terra, alberi. E’ il risveglio. Allargo le braccia al primo sole. La montagna mi guarda divertita. Valeria mi dice sgranocchiando macigni, allora ancora non sei salita? Cosa aspetti, qua proprio in cima c’è quel tuo principe, quello che coccolavi nei sogni di bambina, quello con il cavallo bianco e la piuma sul cappello. E’ tuo. Naturalmente devi salire a prendertelo. Bada, però, con il sopraggiungere della prima stella il principe scomparirà.
Cerco affannosamente un viottolo per arrampicarmi. Le parole di Montagna si sono fissate nella mente a confondere ogni altra idea. Comincio a correre in tondo e le gambe si appesantiscono. Devo arrivare in tempo, devo e già i raggi non riscaldano più il corpo e già fiore incrocia i petali, e già terra s’incupisce e già albero china i rami sotto il peso dei nidi.
Valeria mi sussurra Paola entrando nella fantasia, cercati un alleato che ti aiuti.
E già le spalle si stanno incurvando quand’ecco coniglio mi tira per la gonna.
Vieni, mi dice, segui me che conosco ogni segreto di Montagna.
Saliamo, ci arrampichiamo, andiamo avanti.
Notte ha ormai allargato il suo mantello. Non mi importa. Continuo a correre riacquistando man mano coraggio e vigore. Sono quasi in cima è l’aria più sottile che me lo sussurra è uno spazio senza più ostacoli che me lo borbotta. Il cielo è un rincorrersi di stelle, la cima della montagna un’isola senza scogli. La mente accoglie quel silenzio.
E il principe, gracchia una vocina dentro di me?
Cattiva bambina, urlano le stelle cadendo.
Sono di nuovo sulla sponda del fiume. Vedo le luci accese al castello, c’è festa questa sera. Si danza, si mangia, e si brinda. Luì il principe è tornato.
Gente chiassosa entra agitando coriandoli. Il maggiordomo è impacciato, in piedi sulla porta, vorrebbe conoscere i nomi non essere costretto a ripetere mugolii di ubriachi. Il salone è immenso, specchi, lampadari, ninnoli argentati s’inchinano a tutti quegli ospiti inattesi. Un violino accenna un do ma scarafaggi voraci lo prendono d’assalto. Poi suona un gong.
Tutto si ferma; il trono di roccia accoglie principe piumato.
Coniglio s’infila lesto tra le gambe degli invitati e si ferma ai piedi del trono con le orecchie un cenno di seguirlo.
Sono impresentabile. L’orlo della gonna è striato di fango, i piedi sono bordati di nero, la camicia pende da più parti e i capelli sono una nuvola di piccoli nodi per non parlare degli occhi gonfi per l’umidità notturna.
Il pensiero di questa immagine rende impossibile ogni movimento.
Tutti mi fissano con disgusto, alcuni mi indicano, altri ridono, il maggiordomo si sta avvicinando per pregarmi di uscire.
Non voglio, lo urlo, non mi interessa, io sono anche questa e se non vi piaccio non mi guardate. Ora strillo e quasi mi meraviglio della voce ohe risuona alle orecchie. Abbasso il tono e mi accorgo che non è poi così sgradevole questa voce. E’ la mia voce, la riconosco, la modulo rendendola soave. Le gambe ora si muovono in avanti, le mani vanno ai capelli e ne formano una treccia, gli occhi si aprono al tepore, la terra scivola dalla gonna e la camicetta è sempre rotta. Quei volti pieni idi disgusto man mano che mi avvicino al trono si scansano timorosi. Sono quasi al gradino e se alzassi la testa potrei vedere. Sono sul punto di spostare il mio sguardo che una vocina suadente mi sussurra: fai ancora in tempo a fuggire Valeria, ti consiglio di scappare chissà cosa potresti trovare su quel trono? Fuggi via prima che ti mangi.
Non ascolto, non sento più nulla. Un passo e ancora un altro.
Sono seduta sul trono. Gli ospiti s’inchinano, il violino suona, il maggiordomo serve liquori, il coniglio balla, gli scarafaggi fanno girotondo il principe piumato si toglie il cappello: sono biondi i capelli ohe scivolano sulle spalle, sono miei quegli occhi che mi sorridono e mi dicono: Valeria ti riconosci? e la festa continua.