manichini a New York
Un itinerario nella pornografia made ’81 della 42a strada: ruote, filmini, sigarette accese e donne-manichino.
Una denuncia delle femministe degli Stati Uniti.
Tra poco su questo schermo: “Penetrazione”. Una violenza inaudita… doppiamente eccitante… Lui fa sempre male a colei che ama. Ed alcune donne se lo meritano.
Pubblicità cinematografica, USA
New York, 42= Strada. Sono le 10, l’ora del caffè per i lavoratori portuali irlandesi di questo rione di palazzine sciatte, che distano qualche isolato dai grattacieli imponenti dei banchieri di Manhattan. Per i disoccupati, che sono nella maggioranza neri, è già ora per il primo turno dei passatempi. Ci sono le macchine elettroniche giapponesi ed i minibazar del pomo, grondanti i soliti oggettini dei piaceri sessuali: riviste, filmini, vibratori, biancheria intima più comica che eccitante, curiosità come i dildo.
Ma la pièce de resistance, un vero affare per chi ha tanto tempo da ammazzate, e pochi soldi da spendere, è la ruota. Per solo 250 lire si può piazzare dietro ad una finestra coperta da una tendina, al di là della quale gira la ruota. La tendina si apre; arriva una donna, una donna vera in pelle ed ossa, nuda, supina. Per il lasso di tempo che la ruota, girando impiega per attraversare la luce della finestra, la donna della ruota può essere tastata, palpeggiata, e, perché no?, un po’ stuzzicata, magari con l’onnipresente sigaretta accesa.
Questa ruota l’ho vista nel corso di una visita guidata a cura delle femministe di New York. La visita fa parte della loro battaglia contro la pornografia; hanno persino allestito un ufficio proprio sulla 42a strada.
L’assalto femminista alla pornografia risale ad un decennio fa, quando si protestava contro il concetto della donna-oggetto, una frase tanto ripetuta che ha perso molto del suo carattere pungente. Ma la lotta riprende slancio nel 1975 in seguito ad una campagna di pubblicità sotterranea a beneficio di un film, distribuito privatamente, e intitolato, “Snuff”. Girato in Argentina, “Snuff” significa spegnere. In questo contesto ciò che veniva spento era, dopo essere stata torturata e stuprata, una donna.
E fin qui niente di nuovo. La novità in questo film — così come si diceva in giro — era che si trattava di una vera donna: di un vero stupro, di un’autentica tortura, di un vero assassinio. Il prezzo del biglietto, secondo una pubblicità che passava di bocca in bocca arrivava fino a L. 500.000.
In passato le donne si erano dimostrate sufficientemente assuefatte alla pornografia. A differenza da altre forme di violenza alle donne, la pornografia non era un fatto privato, ma pubblico: la pornografia si vende legalmente e pubblicamente.
Ciò comportava che la pornografia veniva considerata, tutto sommato, “normale”.
Dopo “Snuff” e le sue imitazioni, le. donne sono state costrette a guardare più da vicino a tutta l’industria della pornografia”.
Gruppi femministi hanno dimostrato contro “Snuff” con un volantinaggio. “Snuff”, dicevano, “è un oltraggio: è oltraggioso che la violenza sessuale vada presentata come un divertimento; è oltraggioso che l’assassinio e lo smembramento del corpo di una donna sia materia per un film commerciale”. E — hanno aggiunto — sarebbe altrettanto oltraggioso anche se l’assassinio della donna di “Snuff fosse, come qualcuno sostiene, simulato.
La lotta femminista contro la pornografia ha incontrato dei seri ostacoli anche politici. Fino ad allora, esistevano due soli modi per considerare la pornografia. C’era chi, opponendosi ad ogni riferimento esplicito al sesso, e considerando il corpo e l’erotico peccaminosi, era contrario alla diffusione della pornografia. E c’era chi invece, richiedendo una vita erotica liberata da vecchi pregiudizi, difendeva la pornografia come un diritto anche alla libera espressione di opinione e di stampa, più in là questi ultimi parlavano di distinzioni tra pomo buono e pomo di cattivo gusto. Ma respingevano l’idea di cancellarne uno per non metterne in rischio l’altro.
Le femministe americane, invece, mentre auspicavano una piena realizzazione della vita erotica, vedevano in ogni tipo di pornografia una componente integrale di violenza contro le donne, e denunciavano la pornografia come un’abuso del diritto alla libertà della stampa.
Le femministe si sono dunque trovate schierate assieme a molti tradizionalisti conservatori per la prima volta, e contro alcuni eminenti intellettuali americani, in un rovesciamento di alleanze politiche.
C’eravamo accorti — scrive Laura Lederer nella presentazione a Take Back the Night — che negli ultimi cinque anni la pornografia si era alterata, lasciando dietro il cosiddetto “bel porno” alla Playboy per diventare sempre più apertamente ostile alle donne: molto più violenta”.
Il nesso tra la violenza visibile nei mass media e l’aumento della violenza messa in atto contro le donne non è stato ammesso da tutti. Anzi. I difensori dell’industria fiorentissima della pomo-grafia sostenevano che semmai la violenza filmata oppure in fotografia agisce come una catarsi. La pornografia dunque sarebbe utile per la protezione della donna e dei bambini dalla violenza maschile.
(Se fosse vero, ha ribattuto il Comitato femminista contro la pornografia a San Francisco, che ha organizzato la prima marcia notturna contro la violenza alle donne, allora i governi dovrebbero creare appositi centri cinematografici dove si possono vedere dei filmati di bambini torturati, per far cessare la violenza contro i bambini).
Il New York Times tutto sommato si trova d’accordo con gli intellettuali. In una recensione del dicembre 1980 di Take Back the Night il quotidiano più autorevole degli SjU. prende in .giro le autrici perché, secondo lui, sembrano troppo alienate dagli uomini. (“Queste donne sono delle arrabbiate… Si citano luna con l’altra… Si vede che non amano molto gli uomini”. Leggi: sono lesbiche).
“Quegli stessi progressisti così sensibili all’antisemitismo oppure alle offese ai neri nella pubblicità e nella televisione semplicemente non le vedono quando si tratta di donne”, dice Susan Brownmiller, l’autrice di Contro la nostra volontà: Uomini, Donne e Stupro.
“Vorrei proprio sapere cosa essi direbbero se la 42a Strada, invece di essere dedicata alla tortura, lo stupro, l’umiliazione della donna, lo fosse invece ad una propaganda sistematica a favore dei piaceri sadici dell’uccisione degli ebrei o dei neri”.
Con l’internazionalismo dei materiali pornografici; la distribuzione attraverso tutte le frontiere dei films delle luci rosse, delle foto per riviste porno (il testo è solitamente scritto “in casa” e le fotografie acquistate senza testo); e la nuovissima diffusione delle videooassette porno per i divertimenti casalinghi, il dilemma americano è anche un problema italiano.
E’ un problema per la donna che torna a casa sola nella nebbia milanese.
Per quella turista giapponese cinquantaduenne che, mentre aspettava un’autobus a Roma, è stata trascinata in tuia macchina e stuprata con un fucile puntato alla testa. Per la studentessa romana trascinata in un portone di Corso Vittorio a mezzogiorno e violentata a pochi metri da dove si svolgeva il tran-tran quotidiano.
Si può star certi che i vari “Snuff” made in Argentina prima o poi saranno venduti anche in Italia. Certo è che l’Italia abbonda di riviste di porno duro disponibili ovunque nei chioschi sotto il banco, ma anche sopra, dove la pornografia “morbida” tipo Playboy ed il made in Italy (esportato in America) Play-men sono ben in vista.
Sono dannosi anche questi ultimi oppure innocui? Secondo Adrienne Rich, la pornografia — ogni pornografia — è dannosa perché ha come soggetto la schiavitù. “Il fatto è — sostiene la Rich — che né umanisti né marxisti prendono sul serio la schiavitù femminile. Essi difendono films come l’Histoie d’O oppure gli scritti del Marchese de Sade sul piano artistico oppure come espressione di una filosofia politica. Non vedono in che modo la loro ripetuta tematica — la riduzione della donna attraverso la violenza fino a diventare carne letteralmente odiata, ad essere escremento — porta e ci riporta all’Olocausto, ai campi di lavoro in Siberia, alle atrocità del Vietnam, all’Iran, al Cile, al dovunque si è tentato e spesso realizzato l’annichilimento dell’anima umana. La pornografia è il messaggio dal padrone allo schiavo. Dice. “Ecco quello che sei, ecco quello che io posso fare a te”.
E’ facile ribattere ohe tra le foto nude di Laura Antonelli apparse nel Playmen o il napalm del Vietnam c’è una enorme distanza. Eppure questa distanza ha una frontiera sfocata e che tende a sminuire con l’assuefazione.
Le riviste come Playboy “vendono la de-umanizzazione della donna”, sostiene Judith Bat-Aba, docente universitaria che svolge ricerche nel campo della pornografia. “Nella socializzazione della visione della donna come un oggetto sessuale non reale, Playboy e gli altri hanno contribuito all’aumentato antagonismo e alla conseguente violenza tra maschi e femmine metodicamente”.
Le vittime non sono solo donne. Sempre più diffusa oggi, forse anche in relazione alla diffusione di idee femministe, è la pedofilia. La sua propaganda è regolarmente riflessa fino a giungerci nella pubblicità nei settimanali di attualità politica italiana.
E’ una tendenza che ha già portato ad un aumento, in California, di malattie veneree orali nei bambini al di sotto di cinque anni.
L’industria della pornografia ormai coinvolge alcune decine di migliaia di bambini, secondo l’Agenzia stampa americana Associated Press.
Anche l’incesto è un tabù che cade, e che viene fatalmente propagandato attraverso i canali della pornografia morbida e dura. Penthouse non la chiama nemmeno più “incesto”, bensì “il sesso di casa e famiglia”, in modo addolcito. Su Playboy, poi, è apparsa una vignetta con una bimba che sta coccolando la sua bambola. Sotto c’era scritto: «A lei piacciono naturalmente i tipi forti». Quei tipi forti, si capisce, che altrove non vanno più.
Nelle parole della Bat-Aba, “L’attuale propaganda dell’incesto fa parte di tutto un processo in cui un particolare tipo di immagine passa attraverso tutti i mass media fino al punto di .saturazione, quando un nuovo livello di degradazione è stato raggiunto”.
La pornografia non è certo la causa iniziale della violenza contro le donne ed i bambini, ma nell’abituarci ad accettarla, è un supporto fondamentale: è il condizionamento che la rende, che rende tutto, “normale”.