le cortigiane, arte e prostituzione
“…data è dal cielo la femminil bellezza; perchè ella sia felicitate in terra di qualunque conosca gentilezza…”
il mondo della produzione culturale sembra, in alcuni momenti, scosso dalla presenza della donna prostituta, come figura femminile inquietante, esplicitamente in grado di mettere in scena attraverso il linguaggio dell’arte il soggetto creativo femminile.
Le cortigiane giapponesi ci raccontano con i loro scritti la storia, (Diari di dame di corte dell’antico Giappone) la loro presenza artistica testimonia un modo di vivere la socialità che le immagini di Uta-maro suggeriscono.
Quasi a dimostrare che l’arte non è un valore in sé, ma una possibilità di vita, le cortigiane del rinascimento denegano una presunta opposizione realtà, finzione, prostituzione, verginità e riproducono precisi rapporti sociali nello scambio sesso, denaro, arte. E dove il corpo della donna viene vissuto dalla donna stessa in quanto determinazione sociale, l’arte si manifesta come godimento possibile. Forse ancora il neoplatonismo di Tullia D’Aragona, la famosa cortigiana romana, è un esplicito richiamo alla contraddizione verginità/prostituzione, o meglio amore «onesto» amore «volgare». Ma non si può esorcizzare il problema, lo scambio è chiaro, il denaro (il potere) significa autonomia per quelle donne che possono gestirlo. E le cortigiane, libere dagli obblighi familiari, possono suonare, comporre musica, secondo la moda rinascimentale dell’improvvisazione, (quanta musica di anonimi è stata composta da donne?) scrivere, dipingere, cantare, danzare, giocare con tutte le forme dell’arte, esprimere una loro socialità. «…Data è dal ciel la femminil bellezza, perché ella sia felicitate in terra di qualunque conosca gentilezza »
Canta Veronica Franco, poetessa e cortigiana veneziana. Veronica vive il suo tempo, il rinascimento, in tutte le sue contraddizioni, accetta e riconosce la sua condizione sociale di cortigiana senza troppe angosce e moralismi e rivendica una poesia femminile contro chi l’oltraggia definendola «meretrice intellettuale”. Del resto nessuna si salva tra le poetesse e scrittrici del tempo, perfino Veronica Gambara, considerata dai contemporanei donna dai costumi casti e puri, viene chiamata dall’Aretino «meretrice laureata», per non parlare di Tullia D’Aragona, la più odiata tra le cortigiane «oneste» definita «una fredda prostituta di mente». Nelle ricche e raffinate corti rinascimentali le cortigiane, già nel ‘400 iniziano ad affermare la loro presenza e a detenere un reale potere giocato non esclusivamente nello scambio sesso/denaro, ma essenzialmente sulla capacità, comune a molte tra queste donne, di vivere come soggetti liberi i rapporti sociali, politici e culturali di quel particolare momento storico. In «quella terra di donne” come veniva allora chiamata Roma, ma presto anche nelle altre città italiane e in modo particolare nella aristocratica e raffinata Venezia la condizione sociale ed economica delle cortigiane appare mutata.
Fiammetta, Imperia, Lucrezia da Clarice attestano il passaggio al nuovo stato di cortigiane «oneste» con il diritto a propri beni e all’autonomia finanziaria e sociale, che le emancipa dal ruolo di vere prostitute. L’intelligenza, la bellezza, l’astuzia, la cultura, la conoscenza permettono di conquistare il mondo del potere e del denaro.
Ma è solo con la seconda generazione delle cortigiane, le cortigiane intellettuali, che i termini della sfida si fanno più chiari.
Tullia D’Aragona è il simbolo di questa nuova figura di cortigiana. Ella gioca il suo potere non sulla bellezza, — era lontana dall’ideale di donna del rinascimento — ma sulla intelligenza, raffinatezza, cultura che le permettono di confrontarsi da pari con gli intellettuali e gli artisti «ella sua epoca.
Per la prima volta infatti in tutta la storia della letteratura italiana le donne in numero vasto e vario producono cultura.
La nostra maggiore poetessa Gaspara Stampa vive nel ‘500, così Veronica Franco, Tullia D’Aragona e le altre, moltissime, più o meno conosciute. Diventare cortigiane era la sola possibilità offerta alle donne delle classi medie e povere per sottrarsi alla dura disciplina sociale e per vivere una vita autonoma dalla dipendenza economica dell’uomo; troppo spesso la sola alternativa era il convento. Del resto quella stessa società che riserva alle cortigiane privilegi mai concessi alle donne emana leggi per distinguerle dalle altre donne. L’obbligo di portare sempre un velo giallo e i cataloghi pubblici con il prezzo delle loro notti. Tullia ottiene infine, per meriti letterari, il permesso di abbandonare il velo giallo delle cortigiane e può «osare» sfidare l’ira del frate francescano Bernardino Occhino, in difesa dei piaceri e delle gioie della vita.
«… Or le finte apparenze, e il ballo, e ‘l suono,
chiesti dal tempo e da l’antica usanza, a che così da voi vietati sono? Non fora santità, fora arroganza, torre il libero arbitrio, il maggior dono che Dio ne die ne la primiera stanza”.
I versi di Tullia appaiono per lo meno spericolati, se si tiene presente la sua posizione di donna libera e «sola». In generale la vita per le cortigiane non doveva essere troppo facile esposte come erano agli attacchi moralistici e alle satire infamanti.
Gaspara Stampa e Veronica Franco vivono nella splendida e raffinata Venezia rinascimentale problemi simili e la stessa difficoltà nel gestire una libertà e una autonomia difficile per le donne del tempo. E le loro rime, le loro lettere rivelano un’indipendenza di spirito, un controllo sulle loro condizioni sociali di esistenza quotidiana, un desiderio incolmabile di libertà, da presentarsi come un documento tra i più interessanti nella storia dell’emancipazione femminile. Così Veronica non esita a sfidare con la sua penna e il suo coraggio chiunque voglia oltraggiarla Gaspara nel suo verso famoso «vivere ardendo e non sentire il male” testimonia le sue vicende umane, la sua concezione della vita. Le immagini poetiche di Gaspara sono ritmi, suoni, accordi musicali «lo stile, l’arte, l’ingegno, sensi, spiriti, pensieri, voglie, alma e core» rimandano la dolce armonia della sua poesia; e la «virtuosa», la musica eccellente guidano la poetessa. Più in generale il linguaggio della poesia vive per Veronica, Tullia, Gaspara e le altre, del piacere, del godimento della musica. Suonare e cantare è per le donne del tempo un modo di esprimersi nella loro società. Alla musica sono assegnati poteri quasi magici e la musica rinascimentale, la musica d’insieme, la polifonia, così vicina alla sensibilità femminile restituisce i mille rumori e i suoni della natura. Ogni strumento suona secondo i propri colori, ogni esecutore secondo la propria sensibilità… alle donne il liuto, il virginale, le viole. Sembra quasi di scorgere nelle sonorità dei madrigali, dei ricercari, delle pavane… i dolci colori dal cremisi al viola delle vesti delle cortigiane…. E le cortigiane eccellono nell’uso degli strumenti e nel canto. A Ferrara alla corte di Margherita Gonzaga, la giovanissima e raffinata moglie di Alfonso d’Este assistiamo ad uno straordinario fenomeno musicale: il concerto di dame. (Tante volte riprodotto dalla pittura del tempo. Tintoretto, il pittore delle cortigiane). Nella seconda metà del ‘500 la corte di Ferrara diventa il centro di un’intensa attività concertistica femminile, considerata dai contemporanei «meraviglia tra le meraviglie della corte estense». Laura Peperara, Livia D’Arco, Anna Guarini, come prima Tarquinia Molza e Lucrezia Bendidio danno vita ad una interessante e ricca ricerca musicale, «la musica segreta delle dame” sperimentata dalle musiciste in un intenso e creativo lavoro quotidiano. Il piacere per tutte le forme dell’arte segue da vicino un altro aspetto del godimento per le gioie della vita: le feste come momento di socializzazione: e le città, le piazze, diventano i luoghi delle rappresentazioni teatrali, delle feste, dei famosi carnevali rinascimentali. In questa particolare atmosfera le donne dello spettacolo ottengono un grosso potere giocato sul riconoscimento che le corti assegnano a tutte le forme dello spettacolo, come «luoghi» di espressioni di potere e. fastosità dei principi e di consenso sociale. Il travestimento è il massimo livello dello spettacolo ed infatti costume comune tra le cortigiane è indossare abiti maschili, piacere del travestimento e sfida alle regole sociali. Nonostante i divieti la moda di indossare abiti maschili continua ad essere seguita dalle cortigiane, segretamente sotto le ampie gonne femminili. I calzoni, alla galeotta, come è chiamato quell’abito tanto contestato, sono forse il simbolo di un potere reale. Il rinascimento è anche l’epoca delle potenti regine nelle famiglie reali non si fa distinzione di sesso. Il sogno dell’impero universale si fa reale nella figura di Elisabetta Tudor. Elisabetta è Pandora, Gloriana, Belphoebe, è la dea lunare, Cinzia o Diana «regina e cacciatrice casta e bella» secondo Ben Jonson, ma è soprattutto Astrea, la dea della giustizia. Il mito della renovatio rinascimentale è una donna: La Vergine-Astrea-Elisabetta. Se le donne, ancora nel ‘500, possono affermarsi come protagoniste della loro creatività, questa libertà verrà presto limitata dalla controriforma in poi. Lo spirito controriformista e poi l’illuminismo, il soggetto borghese (maschile) impedirà ancora una volta alla dolina di esprimersi. Del resto il pericolo era sempre presente. Veronica Franco e Tullia D’Aragona sono accusate di far uso di pratiche magiche, per distruggere il cuore delle proprie vìttime e per arricchirsi. Le cortigiane e le streghe sono accomunate da un identico destino, essere rifiutate dalla società in cui vivono. Il rinascimento è un epoca di grande diffusione delle pratiche magiche e dell’alchimia, ma le donne, un tempo anche fate, chiamate ora streghe, sono private del loro straordinario potere nelle pratiche mediche, ovvero nella conoscenza e nel controllo del loro corpo di donne. La medicina si trasferisce definitivamente nelle Università e nelle mani degli uomini. Mentre Tullia D’Aragona nel suo dialogo «Dell’Infinità dimore» si domanda «… per quali ragioni filosofiche gli uomini reputano le donne men degne e perfette d egli uomini”.