CREATIVITÀ
creatività, cosa dicono gli psicologi
Cos’è la creatività? E’ stata definita in miriadi di modi diversi. I teorici psicoanalisti la definiscono come processo di sublimazione il cui prodotto è una nuova realtà: arte, scienza ecc. Mentre questo tipo di creatività proviene direttamente da Freud, la psicoanalisi più recente la considera un tipo di ’regressione dell’io’, funzionale al processo dell’ispirazione (Kris, 1952). I teorici dèH’associazionismo la vedono come processo di associazione per somiglianza, che sta alla base del pensiero analogico. L’aspetto intellettuale della creatività è composto quindi da due processi complementari: associazione e dissociazione.
Gli studiosi della Gestalt la definiscono come un’azione che produce una nuova idea o ’ intuizione ’ pienamente formata e che nasce dalla immaginazione, non dalla ragione o dalla logica.
Secondo le teorie esistenzialiste, la creatività è un ’ incontro cioè il processo di dare alla luce qualcosa di nuovo. Un atto creativo è « un processo, un fare: specificatamente un modo di porre in relazione la persona e il suo mondo » (May 1959). L’enfasi è sull’esperienza totale: il processo creativo e il risultato finale sono visti come una sola cosa. I teorici dei rapporti interpersonali sottolineano la importanza della dinamica tra creatore come innovatore e un’altra persona che ‘ riconosce ‘ la creazione. Per Adler, ad esempio, la creatività è la suprema utilità e gli individui che sono creativi sono anche quelli più socialmente utili.
La definizione che ci offre Fromm è la 1 capacità di meravigliarsi ’ e di ‘novità’. Lasswell (1959) sottolinea l’importanza di riconoscere che esso è un concetto legato alla cultura, che differenti gruppi sociali hanno modi diversi di definirlo.
Anche Stein (1953) insiste che la filosofia dominante di una cultura può indirizzare lo sforzo creativo, definendo quali problemi possono essere risolti. Qualunque sia la definizione che si vuol dare alla parola, bisogna operare un’ovvia distinzione tra prodotto finale e processo creativo. Se definiamo la creatività in termini di risultato finale, dobbiamo arrivare a criteri di apprezzamento ed esplorare quali valori culturali contribuiscono a dare un valore prioritario ad un prodotto piuttosto che ad un altro.
Noi preferiamo concentrarci sul processo creativo. La situazione creativa combina sia il pensiero realistico che l’immaginazione: il prodotto finale del pensiero creativo non è tanto la ‘ soluzione corretta ’ quanto quella che soddisfa i bisogni interni del creatore. Questo tipo di creatività trova la sua soddisfazione intrinseca nell’atto di creare: non ha bisogno della valutazione del riconoscimento esterno, non si basa insomma su valori estrinsechi, come raggiungimento di fama, successo, denaro. E’ fine a se stessa. Appartiene alla stessa categoria dei giochi, inventati e trasmessi da secoli dai bambini senza che nessuno venga ricordato come autore, come genio iniziale: creatività di gruppo, di massa di popolo: creatività che assomma e conguaglia l’energia e l’inventiva di tutti i partecipanti: invece di selezionarne e glorificarne individualmente l’uno o i pochi su cui vengono proiettati i bisogni e le capacità creative di ognuno. Al contrario, ora il processo di selezione inizia fin dai primissimi anni. Già nelle scuole materne i disegni, le costruzioni vengono classificate in belle e brutte e la stessa creatività del bambino viene orientata ad esprimersi solo attraverso modalità prestabilite. Il bambino non impara a vivere la propria creatività come espressione del suo vissuto singolo che si confronta con la collettività, ma come un prodotto che sarà valutato e contribuirà a farlo accettare o respingere. Così, a poco a poco, il bambino e la bambina vengono condizionati al conformismo: sfruttando il loro bisogno di affetto li si abitua a rinunciare ad esprimersi. La creatività vista soprattutto come prodotto è stata usata nella società capitalista come un altro criterio con cui dividere gli uomini; fare di pochi degli eletti proposti all’Invidia e l’ammirazione di tutti; di nuovo — come per la ricchezza materiale a cui tutti devono aspirare ma cui in un sistema volutamente a piramide ovviamente solo pochi possono arrivare — sul piano psichico la creatività viene presentata come un’aspirazione degna di tutti, ma in realtà privilegio di pochi eletti; in tal modo si rafforza la competizione e non la cooperazione. Non per niente, mentre nel periodo precapitalistica molto spesso c’erano scuole di pittori, poeti ecc., ora i prodotti sono quasi sempre opere individualistiche, al massimo di coppia. Il bisogno di primeggiare che questa società crea e mantiene in ognuno di noi ci allontana e ci separa dai nostri simili visti come avversari. Così una miriade di energie umane vengono sprecate in competizioni distruttive e pochissimo spazio vien dato invece al lavoro creativo di gruppo: le donne nei loro ricami, nei loro tappeti ecc., hanno invece fatto questo lavoro di gruppo e probabilmente è stato poco riconosciuto anche perché spezzava e diminuiva il tabù dell’individualità del genio solitario. Inoltre servendo come strumento di coesione — basti pensare ai disegni comuni dei bambini, alla creazione di uno slogan d’un gruppo di studenti — questo tipo di creatività che unisce e non separa le persone può essere pericoloso per un sistema sociale che per meglio controllare ha bisogno di dividere; di isolare proprio come fa con le donne.